Festa della Donna o giorno di protesta e lotta? L’8 marzo si celebra la Giornata Internazionale dei diritti della Donna

Difficoltà di accesso al mercato del lavoro, gap salariale, lavoro domestico e di cura che grava principalmente sulle loro spalle anche quando un lavoro fuori casa c’è. Senza aprire il terribile capitolo degli abusi e delle violenze, sul lavoro e in famiglia, dei femminicidi. Vivere nei panni delle donne non è, ancora, un gioco da ragazzi. Oggi, domenica 8 marzononostante le misure adottate per contenere il diffondersi del Coronavirus abbiano stoppato gli eventi e le celebrazioni di piazza – si celebra la Giornata internazionale della Donna.

Per molte, questa data è associata alle mimose e alle serate di festa tra amiche in qualche locale. La “parità” è sembrata per certi versi ormai raggiunta e allora, che senso può ancora avere oggi, in Italia nel 2020, celebrare l’8 marzo?

Lo abbiamo chiesto a Ionne Guerrini, storica esponente dei movimenti femminili e femministi ravennati e socia della Casa delle Donne di Ravenna.

ionne guerrini

“Innanzitutto è bene ricordare – spiega – che l’8 marzo non è la festa della donna, ma una giornata di protesta e di lotta. Infatti la Giornata Internazionale della Donna è nata con un forte significato politico sociale, dalle lotte del movimento socialista internazionale e dal movimento delle donne agli inizi del ‘900 e poi ufficializzata dall’ONU nel 1975 per “la necessità del pieno raggiungimento dei diritti delle donne”, obiettivo da cui siamo ancora ben lontane”.

Invece è diffusa la convinzione che la parità tra uomo e donna, almeno nei Paesi occidentali, sia ormai un dato acquisito. Cosa ne pensi?

“La parità tra uomo e donna, o meglio l’uguaglianza dei cittadini e delle cittadine, è un principio costituzionale, che diverse leggi approvate tra il 1960 e il 1990 grazie alle lotte delle donne, hanno permesso di affermare concretamente. E questo è un dato storico importantissimo da ricordare, nel senso che non sono arrivate per gentile concessione. Ancora oggi però permangono molteplici forme di violenze, abusi, discriminazioni e sfruttamento che segnano pesantemente la vita delle donne ogni giorno. Ne sono un esempio la catena ininterrotta di femminicidi (l’ultimo proprio alla vigilia dell’8 marzo, poco lontano da qui, ad Imola, n.d.r.), violenze fisiche, sessuali e psicologiche fuori e dentro la famiglia e un sistema economico, quello liberista, sempre più ingiusto e disumano, che opprime tutti, ma in particolare le donne perché, pur essendo le più istruite, sono anche le più precarie, malpagate e gravate dal lavoro di cura non riconosciuto.

Purtroppo nel nostro Paese dobbiamo registrare un pesante silenzio da parte degli uomini su tutti questi temi. Possiamo dire che, a parte pochi meritevoli casi, gli uomini non hanno assunto una parola pubblica, una parola significativa e forte rispetto alla violenza che il genere maschile impone alle donne e non hanno riflettuto abbastanza sulla propria sessualità, non si sono interrogati sui modelli di relazione con le donne, modelli introiettati dalla tradizione patriarcale.

I più consapevoli ci sono accanto, esprimono solidarietà e vicinanza nei confronti dei movimenti femminili e femministi ma non basta. A fronte di questa inadeguatezza maschile voglio sottolineare l’impegno di tante donne operatrici dei centri antiviolenza, psicologhe, assistenti sociali, avvocate, giudici, giornaliste, sindacaliste, attiviste che hanno assunto su se stesse la fatica di lottare per una società più giusta per tutti e tutte”.

Le lotte femministe hanno portato nei decenni passati a conquiste importantissime, come il diritto al divorzio e all’aborto, che per altro periodicamente vengono rimesse in discussione. Quali sono le sfide di questi anni? Le battaglie che i movimenti per i diritti delle donne portano avanti sono efficaci?

“Nonostante gli ostacoli, io guardo con fiducia ai movimenti femminili e femministi in Italia in Europa e nel mondo, perché in questi anni ultimi anni sono le donne e i giovani protagonisti delle lotte per cambiare società ancora patriarcali, ingiuste e oppressive, dall’Iran all’Iraq al Libano al Cile all’India.

Il movimento NON UNA DI MENO continua a denunciare la violenza sistemica sulle donne e lo fa con il linguaggio delle giovani generazioni, diretto, ironico e radicale. Riempie le piazze e diventa marea in tanti Paesi perché riesce a mostrare la strada del cambiamento, della fine del patriarcato che ingabbia la vita di uomini e donne”.

Rispetto, parità di trattamento e di valore tra uomini e donne: di tutto questo si dovrebbe parlare soprattutto ai giovani. La scuola sembra però impermeabile a questi temi, come è possibile?

“Uno dei temi più incandescenti del movimento femminista è quello del sessismo presente in modo trasversale nella comunicazione, nei media e nel modello educativo.

E’ proprio sul versante educativo che si sta giocando da anni una delle partite più serie e difficili, tra chi intende davvero trasformare la cultura che alimenta la violenza sessista contro le donne e chi invece contrasta ogni tentativo di intervenire su quella che è la sua radice profonda: le diseguaglianze tra i generi nelle strutture economiche e sociali e gli immaginari che le rafforzano e riproducono.

Insegnanti e dirigenti che promuovono iniziative di educazione alle differenze, al rispetto, alle pari opportunità, si trovano spesso ad affrontare pressioni fortissime perché cancellino queste attività, accusate di fare indottrinamento “gender”.

Il recente rapporto del GREVIO, il Gruppo di Esperte sulla violenza contro le donne che opera per l’applicazione della Convenzione di Istanbul parla espressamente di un “clima intimidatorio” di cui sono responsabili associazioni religiose integraliste e forze politiche di destra che da anni diffondono disinformazione e manipolano l’opinione pubblica sul tema.

Un percorso era stato avviato, a partire dal famoso comma 16 art. 1 della legge cd. “Buona Scuola” del 2015, che prevedeva l’introduzione “nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Ne erano seguite iniziative a livello ministeriale, come il Piano per l’educazione al rispetto (2017), non accompagnate però da modifiche normative capaci di rendere obbligatori questi contenuti in tutti gli istituti. Il risultato è che all’ex ministro Bussetti è bastata una circolare per affondare l’intero percorso: una circolare del 2018 che sancisce l’obbligo per le scuole di esonerare da progetti scolastici su materie “sensibili” gli alunni i cui genitori non esprimono il proprio consenso informato. Che io sappia, i successivi avvicendamenti ai vertici del MIUR non hanno modificato questo stato di cose”.

Tu sei una delle socie fondatrici della Case delle Donne di Ravenna. Esperienze analoghe sono diffuse in tutta Italia, ma cosa sono e cosa fanno nel concreto le “Case”?

“Le Case delle Donne sono luoghi indispensabili dell’autonomia femminile, per discutere e organizzarsi. In questi luoghi si producono un’infinità di attività che non si possono valutare con la logica del mercato, perché hanno un enorme valore sociale, culturale, politico, educativo e di crescita per le città dove si trovano. Sono sedi di Associazioni femminili, di archivi storici, di Centri antiviolenza, di servizi per la salute delle donne. Sono luoghi di contrasto al sessismo e al razzismo e di sostegno alla produzione culturale delle donne.

casa delle donne di ravenna

Purtroppo le Case spesso devono lottare contro sfratti e revoche, come sta succedendo a Roma con la Casa internazionale delle Donne e gli spazi del collettivo Lucha ySiesta. Anche noi a Ravenna sosteniamo la Campagna LA CASA SIAMO TUTTE e cerchiamo di stare in relazione con le reti e le altre Case delle Donne che sono presenti in molte città in Italia.

A Ravenna, siamo alla viglia del nostro settimo compleanno, infatti la Casa delle Donne di Ravenna è stata inaugurata il 9 marzo 2013 e da allora non ci siamo mai fermate”.

LE TAPPE DELLE CONQUISTE DELLE DONNE IN ITALIA IN PILLOLE

1946 – Introduzione del diritto di voto alle donne (suffragio universale)
1968 – l’adulterio femminile non è più reato
1970 – viene introdotto il divorzio (legge che verrà poi sottoposta a referendum abrogativo nel ‘74)
1975 – le donne possono intraprendere la carriera di magistrato
1978 – viene approvata la L.194 (per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, meglio conosciuta come legge sull’aborto)
1981 – Dal diritto penale viene abolito il cosiddetto “delitto d’onore”
1996 – La violenza sessuale diventa reato contro la persona (prima era contro la morale)

Commenti

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  1. Scritto da Giovanna

    Ho sempre pensato che il ruolo della donna nella società sia sempre stato, volutamente, non adeguatamente riconosciuto: siamo indispensabili in ogni ruolo e capaci anche di sforzi fisici ma… . E’ la famiglia che dovrebbe insegnare il rispetto e l’importanza di noi donne in ogni ambiente ma la scuola dovrebbe far notare come la donna e l’uomo siano parimenti indispensabili per una umana società. Sino a quando la materia RISPETTO non sarà materia obbligatoria di studio ad ogni livello si dovrà ricordare con questa data quale è realmente il nostro ruolo. Non è una festa ma una necessità per non essere calpestate. Chiedo scusa per la schiettezza ma, alla mia età, si deve esporre con crudezza la realtà sul tema.