Come se la passano i ravennati in quarantena: storie di tutti i giorni ai tempi del coronavirus

C’è chi è single, abituato ad una vita sociale piuttosto intensa, improvvisamente costretto tra le mura domestiche e all’opposto, chi è costretto ad andare a lavorare e si ritrova alle prese con un’organizzazione quotidiana complessissima, con i figli a casa da scuola da seguire. Poi c’è chi lavora da casa, in smartworking e cerca di barcamenarsi tra lavoro e figli. E i bambini, appunto, come la vivono questa stranezza del restare senza scuola, senza amici, confinati in casa?

Non c’è dubbio, le sfide più grosse in questo momento le affrontano gli ammalati, al pari di infermieri e medici, in prima linea nella gestione dell’emergenza sanitaria, seguiti a ruota dai decisori politici, costretti a prendere scelte impopolari ma necessarie e delle quali solo a posteriori si potrà valutare l’efficacia. Affrontare questa quarantena non è però una passeggiata anche per ognuno di noi: abbiamo stravolto completamente le nostre abitudini e viviamo nell’incertezza di quanto potrà durare. Per sapere come se la stanno vivendo i ravennati, abbiamo chiesto loro qualche parere.

“Non è poi una grande sofferenza restare in casa, non ci si annoia – dice Chiara, 42 anni, single di Ravenna, che lavora per un’azienda del comparto agricolo -. Io ho una vita sociale piuttosto intensa, voglio dire, ho tanti amici, esco spesso di norma. Ora la mia vita è tutta casa e lavoro, ma per ora me la passo benone. La mattina vado in ufficio, sono da sola e posso andare in sicurezza. Dopo il lavoro, sto rispolverando tutte le attività lasciate indietro prima, per mancanza di tempo. Ho finalmente iniziato i libri che avevo acquistato e non ancora letto, mi sono fatta consigliare film da un amico appassionato di cinema, che ha creato una lista ad hoc, condivisa tramite mail con il nostro gruppo di amici”.

“Il week end scorso – aggiunge – non potendo vederci, io e i miei amici ci siamo dati un “appuntamento virtuale”: ognuno da casa propria e tramite una videochat, abbiamo “fatto l’aperitivo” insieme. Più per scherzo che per necessità, ovviamente, però è stato un modo simpatico per mantenere i contatti. Diciamo che si possono fare le stesse cose di prima, ma tra le mura domestiche: la tecnologia aiuta. Poi sto sperimentandomi ai fornelli, cosa che prima, dovendo cucinare solo per me, ho sempre trascurato. Mi diverto con le ricette”.

“Penso sia necessario rispettare le regole, ma non ho paura, né per me né per i miei genitori – conclude -. Temo piuttosto per quel che sarà dopo sul fronte economico e lavorativo. Ora viviamo in un tempo sospeso, un giorno per l’altro, senza fare programmi, ma prima o poi finirà e non riesco ad immaginare cosa ci lascerà questa esperienza. Sono un’ottimista per natura: voglio credere che impareremo a trattare meglio l’ambiente, visto che l’inquinamento pare sia calato, a riorganizzare il lavoro, la produzione e a litigare meno, sia i politici che noi gente comune”.

Al capo opposto, si può dire, abbiamo sentito il parere di un’altra donna, madre di due figli adolescenti, impiegata nel settore della distribuzione alimentare e dunque al lavoro a contatto con il pubblico in questi giorni.

“Io sono una di quelle che all’inizio sdrammatizzava – spiega Francesca -, non credevo saremmo arrivati a queste conseguenze. Quando però sono subentrati tutti i divieti, mi è cresciuta la percezione del pericolo e per questo sono sinceramente un po’ arrabbiata con tutti i clienti, spesso anche anziani, che vengono a fare la spesa praticamente tutti i giorni, anche senza mascherina, solo per prendere un pezzo di pane fresco. Ci vorrebbe più consapevolezza delle restrizioni che ci sono state imposte: io al lavoro ci devo andare per forza, ma chi può evitare di uscire dovrebbe prendere la cosa più seriamente. Mi da fastidio che la negligenza altrui possa mettere in pericolo anche me. Se verrà confermata la possibilità di prendere il congedo parentale, lo farò. Sia io che mio marito dobbiamo andare al lavoro, i nonni cerchiamo di lasciarli il più possibile lontani per proteggerli, ma non è che possiamo abbandonare i figli a casa da soli!”.

“Uno è alle elementari, l’altro alle medie – conclude -, gli insegnanti si stanno attrezzando per mandargli compiti e lezioni via web, ma se non li seguiamo non possiamo aspettarci che facciano da soli. Magari riuscissi a fare quello che vorrei, passare più tempo con loro, fare attività insieme, ma lavorando non è possibile. Per i bambini è difficile capire questo periodo di reclusione, si cercano modi per restare in contatto con l’esterno. Il più grande se la cava chattando con gli amici, con i compagni di scuola del più piccolo domenica abbiamo allestito una tombolata tramite videochat, insomma, ci si organizza con la tecnologia”.

“Anche lavorare in smartworking con i figli a casa da scuola non è che sia proprio semplice – racconta Laura-. Certo, meglio che essere costretti ad uscire e mettersi a rischio di contagio, senza dubbio. Però se i figli ti vedono presente, sollecitano la tua attenzione continuamente: per loro, soprattutto se ancora non troppo grandi come i miei, è impossibile capire che è come se fossi in ufficio. Io e mio marito lavoriamo entrambi col pc da casa, i bambini fanno del loro meglio per giocare tra loro e stiamo sviluppando moltissimo il concetto di “resilienza”: resistiamo alle avversità, cercando di non farci prendere dal nervosismo e provando a tirare fuori il meglio da questa esperienza. Loro sono sempre stati abituati a chiedere molta attenzione; in questo momento, pur essendo a casa, riusciamo a dargliene forse meno di prima, perché siamo travolti dal capovolgimento dei ritmi abituali, ma forse anche per loro potrà essere un’occasione per imparare a fare più da sé, a contare di più sulle loro risorse, anziché chiedere aiuto per ogni cosa, anche quelle alla loro portata”.

“Stamattina il grande mi ha raccontato di un sogno che ha fatto – chiude -: diceva che si trovava su un’isola deserta con i compagni di scuola e c’era un nemico piccolo piccolo che arrivava su una piccola barchetta, loro scappavano. Sarà psicologia da quattro soldi, ma ho pensato che si riferisse al Coronavirus, che fosse il suo modo per affrontare i dubbi e le paure che avverte e che non sempre noi adulti riusciamo a spiegare fino in fondo. Hanno di certo bisogno di noi per affrontare questo periodo”.