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Luca Maggio: Il centenario di Georges Mathieu e il mosaico di Ravenna

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u un mosaico rivoluzionario quello che Georges Mathieu pensò e realizzò nel 1959 per la Mostra dei Mosaici Moderni curata dal professor Giuseppe Bovini, che poi lo avrebbe intitolato Omaggio a Odoacre[1], intuendone la natura energetica, caratteristica del geniale pittore informale.

Questo lavoro, oggi conservato per il museo MAR di Ravenna, fu carico di conseguenze per le nuove generazioni di mosaicisti non solo ravennati che, sull’esempio del maestro francese, capirono che con le antiche tessere si poteva fare un’arte nuova facendo coincidere ideatore ed esecutore dell’opera nella figura di un unico artista, senza più bisogno di bozzetti o cartoni preparatori di famosi pittori che poi ci si limitava a tradurre più o meno efficacemente. Insomma il mosaicista d’ora in poi non sarebbe stato più un semplice artigiano, ma poteva creare da sé, in piena e originale autonomia, la propria arte.

Com’è noto, Mathieu non era un mosaicista, però accettò la sfida sul finire di quei suoi meravigliosi anni ’50, sconvolgendo la vicenda moderna del pensare il mosaico: ne risultò un’opera che, come detto, rivoluzionò questo linguaggio, nel rispetto delle caratteristiche di questo autore: dalla velocità di esecuzione, alla capacità di concentrazione zen, al suo personalissimo vitalismo, unito all’eleganza del suo segno-gesto.

La lentezza tipica del fare mosaico saltò. Non solo: il soggetto – scenografie pirotecniche e centrifughe – riuscì a mantenere l’irruenza pittorica di Mathieu, nonostante qui si tratti di materiali vetrosi ben più pesanti dei suoi pennelli da airone della tela. Ci sono ben tre esplosioni stellari con prevalenza di raggi in vetro bianco e una, la più alta, in rosso, tutte giocate su piani cartesiani imperfetti. Esse vanno oltre la bidimensionalità musiva, simulano la pittura spremuta dal tubetto e propagano la loro forza su uno sfondo tachiste in tre colori di tessere irregolari: il nero, quello dell’universo stesso, poi il rosso, quasi una tenaglia a nord e a sud dei tre fuochi centrali, e l’oro, la luce che arriva o che fugge all’estrema sinistra del quadro. Nell’insieme pare quasi una mappa, forse il disegno di un golfo – uno dei porti di Ravenna antica? – con i colori, rosso e oro, provenienti da Roma, poi divenuti i medesimi anche dell’ultima capitale dell’Impero occidentale.

È doveroso ricordare però che Georges Mathieu venne a Ravenna grazie al noto mecenate e collezionista ravennate Roberto Pagnani (1914 – 1965), suo grande e stimato amico, che ne segnalò il nome a Giuseppe Bovini per la mostra del 1959 e in quello stesso anno lo ospitò in casa propria per un lungo periodo prima e durante l’esecuzione materiale dell’opera in questione, continuando poi mantenere ottimi rapporti con l’artista per il resto della sua purtroppo breve vita. Di questa amicizia preziosa danno testimonianza lettere, telegrammi e fotografie, tutti materiali esposti in questa occasione e provenienti dall’Archivio-Collezione Ghigi Pagnani, seguito con ammirevole cura e attenzione da Roberto Pagnani, omonimo nipote del collezionista scomparso in un incidente d’auto.

Così, dal 18 settembre al 10 ottobre 2021, è nata una doppia mostra (documentata dall’ottimo catalogo graficamente curato da Euroa Casadei) che ha visto coinvolte due gallerie di Ravenna per celebrare il centenario della nascita di Mathieu (1921-2021): presso la niArt gallery di Felice Nittolo è stata esposta la formidabile sequenza fotografica che dà conto della realizzazione dell’Omaggio a Odoacre, mentre presso la galleria Pallavicini 22 di Claudia Agrioli è stato presentato l’emozionante e inedito lavoro cinematografico che Alessandro Tedde ha dedicato a quest’opera. In questo videoarte, la serie fotografica in bianco e nero di casa Pagnani è stata ricomposta con un atto d’amore e rimando agli albori del cinema, ovvero al fucile fotografico del geniale Étienne Jules Marey, e poi sovrapposta e retroproiettata su un telo, sopra il quale a sua volta era riprodotto il mosaico di Mathieu a colori e a grandezza naturale (cm 241×107), ricomponendo così sotto i nostri occhi la scintilla creativa e il lavoro ultimato.

Come ha detto Tedde: “Ciò ha permesso di rivivere la nascita del nuovo mosaico e del nuovo stile proposto da Mathieu”. Infine, l’azione scenica frontale, è divenuta potenzialmente ondosa e avvolgente anche grazie alla musica composta per l’occasione da Matteo Zaccherini, in grado di occupare tridimensionalmente l’intera sala espositiva, forse intuendo che Mathieu dipingeva partiture musicali che celebravano l’energia primordiale dell’universo, come fece Stravinskij con Le sacre du printemps.

Luca Maggio

[1] Linda Kniffitz, Georges Mathieu – Gruppo Mosaicisti. Omaggio a Odoacre 1959, in AA.VV., La collezione dei mosaici contemporanei, a cura di Linda Kniffitz e Chiara Pausini, Ravenna 2017, pp. 56-57.

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