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Ravenna in Comune: la piattaforma di trivellazioni in Adriatico Ivana D è scomparsa, che facciamo per gli impianti in disuso?

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Il 5 dicembre scorso è scomparsa una piattaforma di trivellazioni in Adriatico. Si trovava a una quarantina di chilometri al largo di Pola, a meno di ottanta dalla costa ravennate. Non lo abbiamo letto sugli organi di informazione locali ma quelli nazionali hanno riportato la notizia. Si chiamava Ivana D (la piattaforma scomparsa, ndr), non c’erano persone sopra, ed era congiunta via condotta sottomarina alla piattaforma “madre”, Ivana A, a sua volta collegata, sempre via condotta, alla piattaforma Garibaldi K (a venti chilometri al largo di Porto Corsini). Tra gli argomenti che vengono citati da chi vuole continuare ad estrarre gas metano dai fondali adriatici “come se non ci fosse un domani” c’è il fatto che si tratta di risorsa disponibile sia per l’Italia che per la Croazia e, pertanto, se non venisse sfruttata dal nostro Paese lo sarebbe comunque da quello vicino. Prescindendo dall’analoga posizione di contrarietà alle trivellazioni sempre più diffusa anche in Croazia, si tace che il principale artefice dello sfruttamento di qua e di là dai confini è sempre lo stesso: ENI. Nel caso dell’Ivana D, l’attuale proprietà era però divenuta da poco interamente croata, essendo stata venduta da ENI nel giugno 2018.

Altra cosa che non viene raccontata da chi sostiene l’irrinunciabilità al gas fossile (almeno “per la fase di transizione”, dicono, e poi aggiungono “una cinquantina d’anni…”) è il danno creato dal metano in termini di emergenza climatica: attualmente si stima sia responsabile per il 20% ed è un dato in crescita costante. E poi ci sono i danni all’ambiente: da quelli causati dalle esplorazioni alla ricerca dei giacimenti, dall’abbassamento delle coste (ne sa qualcosa Lido di Dante costretta a convivere con l’Angela Angelina) e dall’inquinamento dovuti all’estrazione. Alessandro Gianni, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, ha evidenziato che «le immagini satellitari relative alle ore successive all’incidente, mostrano la presenza di evidenti tracce rilevate dai sistemi satellitari di oil spill detection che, dapprima vicine alle piattaforme, successivamente si disperdono verso le coste croate e italiane». Questo nonostante i sistemi di sicurezza che avrebbero dovuto impedire la dispersione in caso di incidente. L’Ivana D si è inabissata durante una “forte sciroccata” ed è stata ritrovata sul fondo dopo 10 giorni di ricerche. Era considerata a fine vita in quanto realizzata per durare venti anni.

In Adriatico sono presenti 98 piattaforme italiane e 17 croate. In un bacino dalla superficie limitata sono quindi presenti 115 diverse strutture adibite all’estrazione di idrocarburi, soprattutto gas fossile. «E molte sono piuttosto vetuste – scrive Greenpeace – anche molto più di Ivana D. Alcune, hanno superato il mezzo secolo e molte di esse sono improduttive». Quelle da smantellare, secondo l’elenco messo a punto dal Ministero, sono 34. Praticamente niente è ancora stato fatto. Colpa del Covid? Sono noti i tentativi di ENI di inventarsi un qualunque motivo, più o meno plausibile, per evitare la bonifica che, invece, anche per la pericolosità delle vecchie strutture, è urgente iniziare quanto prima. Oltre tutto si tratterebbe di lavoro eseguibile dal mondo produttivo ravennate, qualificato allo scopo. Tra bonifiche e investimenti “veri” sulle rinnovabili, Ravenna sarebbe in grado di affrontare la indispensabile ristrutturazione del lavoro collegato alle “energie” senza le ansie ad arte alimentate da (alcuni) politici e petrolieri (tutti).

Chiediamo al Sindaco e alla Giunta di promuovere urgente incontro con ENI per dare slancio all’annunciata ma mai iniziata attività di ripristino del mare di fronte a Ravenna attraverso la dismissione quanto meno delle piattaforme in disuso e la conseguente attività di smantellamento e bonifica, partendo proprio dalla chiusura dell’Angela Angelina, più volte promessa.

Ravenna in Comune

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Commenti

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  1. Scritto da agi62

    Ok, smettiamo di usare metano (che fra l’altro è il minor inquinante fra i fossili), i signori di Greenpeace come pensano di scaldarsi o di cucinare o di generare energia elettrica?
    Sono curioso.

  2. Scritto da Mario

    Secondo il noto proverbio “Ccà nisiuno è fesso!”, in Italia solo i fessi spendono soldi per bonificare, i cosiddetti e autoincensanti “furbi” aspettano eventi atmosferici, altri eventi “accidentali” e altri ancora aiuti statali.
    Per “agi62” e suoi imitatori: basta con queste ripetitive, onnipresenti e patetiche motivazioni dello scaldarsi, cucinare e ritornare all’uso del calesse.

  3. Scritto da agi62

    Caro Mario, non ha risposto alla mia domanda, faccia finta che io sia “ignurant” e mi spieghi.
    Sono curioso.

  4. Scritto da Stef62

    Ancora una volta ci tocca ascoltare proclami pseudo-ambientalisti che di scientifico non hanno nulla. Tutti i geologi italani sanno che nell’alto Adriatico, petrolio non ce n’e’, solo metano, per cui gli oil spill segnalati sono pura invenzione (probabilmente saranno i sedimenti di fondo mare, fango, che si saranno mossi durante l’evento). Analogamente, tutti possono avere accesso i siti del Min.Ambiente e Attivita’ Produttive in cui e’ evidente che, nell’offshore Croato ci sono piattaforme Edison, ex-Eni e almeno 200 pozzi a metano fatti da Ina Naftaplin, ente di stato Croato. Per concludere, Ivana e’ una piattaforma di produzione e non di trivellazione o perforazione, che dir si voglia. Se queste sono le basi per un discorso sul futuro del comparto energetico Ravennate, un tempo punta di diamente per l’Italia, andiamo veramente male…..

  5. Scritto da Garbino

    Si anche io sono curioso di sapere come non solo ci si scaldi, si cucini ecc, ma anche come intendano lor signori dare energia al paese che nonostante tutto ha ancora un importante tessuto di medie e grandi industrie che hanno bisogno di energia giorno e notte.