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Enzo Valbonesi: Delta del Po. Il Parco nazionale può nascere solo dal basso

Al punto in cui siamo l’unica prospettiva credibile per tutelare la biodiversità di uno dei sistemi naturali più importanti d’Europa, qual è il delta del Po, è quella di dare vita ad un grande parco nazionale.
Siamo infatti di fronte a crescenti fenomeni di degrado ambientale che possono essere affrontati solo in una dimensione nazionale e con una visione globale. Assistiamo alla scomparsa di habitat e specie tutelate dalle Direttive Europee, alla progressiva ingressione marina (studi recentissimi dimostrano che il tratto costiero da Monfalcone a Ravenna è a fortissimo rischio di allagamento entro il 2100), al peggioramento qualitativo dei sistemi acquatici lagunari, fino allo stato di degrado in cui versano le pinete litoranee.

Ma a promuovere il parco nazionale non saranno sicuramente, almeno nel breve periodo, nè lo Stato, con un Ministero dell’Ambiente debolissimo, nè tanto meno le due Regioni, impegnate a rincorrersi per il primato dell’autonomia del tipo: “in casa mia faccio quello che voglio”.

In questo ultimo frangente dell’annosa vicenda del parco emerge innanzitutto il fallimento politico della Regione Emilia-Romagna che da ben 32 anni (un terzo di secolo) ha istituito un parco regionale con l’ambizioso obiettivo di tutelare la costa a nord di Ravenna e per valorizzare il territorio, il tutto nella prospettiva di un parco interregionale.

Ora il parco è ridotto ad una sgangherata associazione intercomunale dove ogni municipio governa il proprio pezzo ed il fine della conservazione è totalmente dimenticato, senza peraltro avere ottenuto alcun vantaggio in termini di sviluppo del territorio che resta uno tra i più arretrati dell’intera regione.
Insomma un parco utilizzato solo per giustificare la richiesta di finanziamenti regionali nella vecchia logica assistenziale, ammantata di una patina di verde sempre più sbiadita.

Voglio ricordare alcune vicende recenti che dimostrano la totale latitanza della Regione e la mancanza della ben che minima capacità gestionale dell’ente  parco. L’amministrazione comunale di Comacchio, d’accordo con il parco, pochi anni fa ha aperto le porte ad una fabbrica di pasta ceramica, a Porto Garibaldi, in area contigua ed in prossimità di un sito di rete natura. Subito dopo ha proposto la realizzazione di un deposito di terre decontaminate da idrocarburi alla periferia della città ed al confine con l’area protetta. A fermare questi progetti non è stata ne la Regione, nè il parco, bensì solo la lotta dei comacchiesi che si sono opposti con fermezza. Per non parlare poi del comune di Ravenna che assiste passivamente da molti anni al degrado delle sue valli ed incolpa il cambio climatico della morte, avvenuta un anno fa, di circa 4 mila anatidi.

E che dire della Regione ? Le cose le conosco direttamente e per fortuna conservo lettere e documenti che mi permettono di dimostrare ciò che affermo. Da 10 anni sono stati stanziati 5milioni  per realizzare un argine di separazione della valle di Comacchio che gli amministratori locali hanno voluto per mandare in bici i turisti proprio dentro la valle.

I lavori sono fermi da alcuni anni e serviranno ulteriori fondi per completarli. Tanto paga pantalone. Boscoforte: doveva essere donato alla Regione in base ad un accordo siglato ben 10 anni fa con il suo proprietario che però, incassata  la contropartita pattuita relativa alla caccia, ora si è fatto di nebbia .

Tant’è che l’ex Sindaco Fabbri, ora in Regione, ultimamente si è fatto promotore di una richiesta di acquisto logicamente a carico della stessa Regione. Della serie “becchi e bastonati” .

Per non parlare della caccia riservata ai soli comacchiesi nella Valle di Comacchio senza pagare un euro di tasse alla Regione che così si è procurata da sola un danno erariale di circa 700 mila euro nell’arco di 23 anni di “caccia abusiva”. Insomma la Regione dopo un certo impegno iniziale a favore del Parco  , da almeno 10 anni ha colpevolmente rinunciato al proprio ruolo ( e dire che paga l’80% dei costi di funzionamento del Parco ) lasciando le redini in mano ai Comuni e ad un Parco che da tempo ha abdicato alla sua funzione tecnica e scientifica. Tant’è che è stato abolito il Comitato tecnico-scientifico e l’Ente negli ultimi  tre anni, caso quasi unico in Italia, è stato messo in mano ad un Sindaco in carica, quello di Comacchio, che come tale non poteva e non voleva  gestire con imparzialità e soprattutto con la necessaria  fermezza la tutela della natura.

Che fare allora ? personalmente concordo sulla prospettiva del Parco nazionale ma solo se è unita alla organizzazione di un movimento dal basso per spingere in tale direzione, sapendo che dall’alto, per ora, non emergerà nulla di serio. Come farlo? innanzitutto creando un comitato formato dalle Associazioni ambientalistiche , con Legambiente in testa, da altre organizzazioni, da studiosi e soprattutto da singoli cittadini. Lo scopo deve essere duplice. Da un lato costituire una sorta di Comitato di gestione “ombra” per controllare, denunciare e stimolare l’Ente. Insomma mantenere una vigilanza costante. Dall’altro per allargare il consenso e costruire la proposta operativa per la governance di  parco nazionale all’altezza del compito e in grado di tenere conto delle  specificità del contesto sociale e territoriale .

Quanto al dissidio tra Ravenna e Ferrara, credo si tratti di una misera commedia recitata dai ferraresi per mostrare i muscoli in vista delle elezioni di Comacchio e dai ravennati per avere qualche finanziamento in più. In altre parole tutte cose che non hanno niente a che fare con il parco e la sua prima missione. Quella di tutelare la biodiversità.

 

Enzo Valbonesi
(Per 10 anni presidente del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, contemporaneamente prima vice e poi Presidente di Federparchi e per 19 anni responsabile del Servizio Parchi e Forestazione della Regione Emilia-Romagna)

Commenti

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  1. Scritto da martino

    Come si può non concordare con quanto sopra riportato? A chiacchiere son tutti buoni a dirsi interessati alla conservazione dell’ambiente, la CASA di tutti NOI. Poi, però, tutti pensano e agiscono solo per i propri interessi personali e di categoria come se tutti fossimo solo cacciatori, pescatori, agricoltori, bagnini, turisti, fruitori e consumatori e non – sempre e comunque – persone che vivono tutti insieme nello stesso ambiente. E i nostri amminostratori, sempre miopi e con visione temporale che va da un’elezione all’altra. E non consideriamo quanto ci costa tutto questo sistema di gestione inefficace ed inutile.