Sono 21 i medici impegnati nelle Usca a Ravenna: la maggior parte giovanissimi. Ce ne parla Mauro Marabini, Dipartimento Cure Primarie

Il lavoro delle Usca – le Unità speciali di continuità assistenziale – è nato in Italia insieme all’epidemia Covid-19 ed è cresciuto fino a oggi. Come ci spiega il Responsabile del Dipartimento di Cure Primarie di Ravenna, il dott. Mauro Marabini, la nostra provincia è stata una delle prime a dotarsi di queste unità, attuando il decreto legge dello scorso marzo che prevedeva espressamente l’attivazione di questo servizio. “Le Usca sono cresciute insieme all’emergenza sanitaria – commenta Marabini – e cioè con i vari protocolli di volta in volta attuati e modificati per contrastare la diffusione del virus, riguardo a dotazioni di protezione, vestizione, modus operandi dei medici. Ad oggi sono 21 i medici di Usca attivi in provincia di Ravenna, grazie ai quali sono stati raggiunti risultati molto importanti; rappresentano un gruppo ormai altamente specializzato. Se infatti a fine marzo sapevamo pochissimo di questa epidemia, ora la nostra conoscenza medica e di conseguenza le nostre attività sul campo, con l’evolversi della situazione, si sono ampliate e intensificate.”

“All’inizio ad esempio non avevamo nemmeno le mascherine e non si facevano tamponi. Adesso invece grazie al tracciamento, ai tamponi e ai test sierologici, a terapie domiciliari che prevedono l’uso di farmaci quali l’eparina a scopo preventivo e il cortisone che riduce l’infiammazione, siamo in grado di effettuare diagnosi più precoci così da alleggerire il lavoro degli ospedali, che è poi il motivo per cui le Usca sono nate. In provincia di Ravenna l’attività delle Usca è ormai radicata nel territorio e offre supporto a diversi settori e strutture. Quest’estate ad esempio alcuni dei nostri medici hanno prestato servizio nella guardia turistica o negli alberghi Covid. Altri continuano ad operare nelle postazioni per tamponi “drive through”, come quella predisposta al Pala de Andrè o nelle Case di riposo per anziani, dove offrono prestazioni mediche in maniera continuativa, tutti i giorni, all’interno di nuclei di pazienti positivi. In questa circostanza – spiega Marabini – i medici delle Usca lavorano da una parte a fianco del medico della Rsa e dall’altra insieme all’équipe multispecialistica formata nella nostra provincia dal primario di Malattie Infettive, da un geriatra, da uno pneumologo e da un medico di cure palliative.”

Molti dei medici impegnati nelle Usca sono giovanissimi. Giovani neolaureati che prima dell’epidemia svolgevano servizio nelle guardie mediche, nei reparti di medicina generale o stavano seguendo corsi di formazione sempre in medicina generale. Personalmente ho preparato tantissimi giovani laureati per diverse funzioni legate alle unità speciali, ad esempio per avviare l’Usca di primo intervento a Cervia o per dare assistenza ai medici generali. Il motivo che li spinge ad entrare nelle Usca è la voglia di mettersi in gioco, di fare ognuno la propria parte. Hanno l’opportunità di fare esperienza sul campo e di lavorare a fianco dei medici più anziani. Sentono questa responsabilità diretta, che poi dovrebbe essere lo scopo della medicina stessa e di chi sogna di diventare medico. Fortunatamente in questi mesi di pandemia, – aggiunge Marabini – nessuno dei nostri medici ha contratto il virus; anche se si lavora a contatto con i positivi, lo si fa sempre con la massima attenzione, dotati di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dai protocolli”.

“Lo scenario che si prospetta oggi non è dei migliori. Questa malattia è fortemente stagionale perché respiratoria e quindi, se in estate abbiamo assistito ad un crollo dei numeri di contagi da Covid, con l’arrivo dell’inverno la situazione sta peggiorando drasticamente, perché vanno considerate anche tutte le altre malattie respiratorie, come l’influenza, che possono associarsi alla contrazione del Covid e che di conseguenza potrebbero alzare di tanto i casi di mortalità, con il picco verso fine gennaio. Le prestazioni fino ad ora svolte come Unità speciali di continuità assistenziale comprendono oltre alle visite a domicilio, nelle residenze per anziani, alla somministrazione di terapie, elettrocardiogrammi, eco polmonari, triage telefonici, anche i tamponi molecolari e da qualche mese i test antigenici, i cosiddetti test rapidi. I test rapidi ricercano l’antigene virale, ovvero non vanno a caccia dell’RNA, come quelli molecolari, bensì di una proteina del virus. Sono meno accurati, possono dare falsi positivi ma la risposta arriva in tempi brevissimi, anche in meno di mezz’ora. Anch’essi permettono di svolgere un’importantissima attività di screening per mappare e controllare la popolazione. Per quanto riguarda la questione dei test rapidi legati agli ambulatori dei medici di famiglia, oggi è in corso una trattativa regionale e locale per capire come gestirli. Dovrebbero essere svolti in momenti diversi dall’attività ambulatoriale e forse anche in spazi diversi. E a tal proposito si sta pensando di impegnare proprio i medici delle Usca” conclude Mauro Marabini.