Legambiente e Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” contro accordo Eni e Snam: “Servono alternative energetiche”

“Ravenna si conferma ancora una volta Capitale del fossile, dopo la stretta di mano fra Descalzi e Vernier di ieri che ha sancito la collaborazione tra Eni e SNAM per la prima fase di avvio del progetto di CCS (Carbon Capture and Storage) sulla Costa Ravennate”. Queste le parole di Legambiente Emilia-Romagna che aggiunge: “in particolare, il progetto prevede il sequestro delle emissioni prodotte dall’impianto di lavorazione di gas a Casal Borsetti, convogliate poi verso la piattaforma di Porto Corsini. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Oltre a rivelarsi una tecnologia acerba e fallimentare, il CCS si dimostra essere il meccanismo perfetto per continuare il business-as-usual del fossile. Ma veniamo al dunque”.

“In Australia, il colosso del fossile Chevron ha investito 3 miliardi, con sussidi statali per 60 milioni, per un impianto di cattura e stoccaggio che doveva raggiungere un target dell’80% di efficienza nella cattura: dopo cinque anni la stessa compagnia ha dovuto rendere conto del fallimento del più grande impianto di CCS al mondo, che dopo un avvio tortuoso, dal 2019 al 2021 ha catturato nemmeno la metà del target proposto. Uno studio recente dell’Institute for Energy Economics and Finance ha preso in esame 13 progetti di punta in campo CCS a livello mondiale, responsabili per il 55% delle operazioni nel settore. Dei 13 impianti, 7 non hanno raggiunto i target, 2 sono falliti e 1 è in stato di fermo. Inoltre, lo studio mostra che, lungi dall’essere una tecnologia nuova e innovativa, il CCS è impiegato da oltre 50 anni per il recupero di gas, riutilizzato poi per facilitare il pompaggio da altri pozzi. Lo studio mostra infatti come il 73% della Co2 catturata venga utilizzata in processi di Enhanced Oil Recovery (EOR)” proseguono da Legambiente.

“Dunque, la maggior parte dello stoccaggio serve per estrarre altro gas vergine, e non per usi diretti. Altro punto di discussione è l’efficienza e la sostenibilità economica di un impianto CCS rispetto alle alternative legate alle rinnovabili. Allo stato attuale, gli impianti di cattura lavorano verso un obiettivo di efficienza al 90%, raggiunto in pochi singolari casi. In vista però degli obiettivi di totale decarbonizzazione, un 90% di efficienza non è più sufficiente. Tuttavia, per la legge dei rendimenti decrescenti, ogni gradino verso la piena efficienza degli impianti CCS implica investimenti economici enormi. Risorse che potrebbero essere investite sulle rinnovabili – come nel caso del progetto di Agnes sulla costa ravennate – risolvendo il problema delle emissioni a monte. Uno sguardo seppur limitato alla letteratura scientifica a livello internazionale, e una comparazione con casi significativi, mostra l’inadeguatezza di questa tecnologia a raggiungere i target di decarbonizzazione – concludono da Legambiente Emilia-Romagna – Piuttosto, il CCS si presenta come l’ennesimo atto di greenwashing delle due partecipate di stato per ancorare il paese, già in grave crisi climatica, alle combustibili fossili”.

Anche il Coordinamento ravennate “Per il Clima – Fuori dal Fossile” è dello stesso avviso e spiega che “realizzare questi impianti, denominati Carbon capture storage (Ccs), vicino ai camini centrali delle centrali inquinanti – come la maggior parte delle centrali a carbone e a gas, e diversi tipi di strutture industriali – per catturare le emissioni istantaneamente, significa andare incontro ad alcuni non piccoli problemi: il primo è l’elevato costo energetico. Costruire e far funzionare questi manufatti significa a sua volta bruciare energia e produrre emissioni. Inoltre va detto, come testimoniano personalità di grande e specifica  esperienza, che generalmente si usa l’ammoniaca per separare il carbonio, e questo sistema genera numerose perdite e rilasci, e danneggia la natura e la salute umana. Si aggiunga che il biossido di carbonio catturato riguarderebbe un’infima quantità di quello continuamente prodotto e immesso nell’aria, dal momento che interverrebbe solo su alcune strutture industriali e non certo sull’insieme delle fonti inquinanti. Pertanto il contributo ad abbassare il tasso di CO2 (e frenare la crisi climatica) sarebbe infinitesimale. E poi, dove andrebbe a finire il carbonio, una volta catturato? In una rete, simile a quella del gas, per trasportare e stoccare il carbonio in allocazioni geomorfologicamente adeguate, nel nostro caso i pozzi metaniferi esausti.  Anche qui, incorrono due rischi non da poco: la possibilità di eventi sismici e il problema della fuoriuscita del carbonio dal sottosuolo. Il tutto investendo fior di miliardi, che potrebbero ben altrimenti essere collocati, e legandoci in maniera sempre più inestricabile al sistema delle fonti fossili. Quelle che vanno sviluppate sono le alternative energetiche ai combustibili fossili. I combustibili fossili non hanno futuro, lo dice ormai da decenni la comunità scientifica. E continuerà a sostenerlo la nostra mobilitazione”.