Teatro. Fedeli d’Amore: le Albe al capezzale di Dante, dove dalla nebbia spunta Beatrice, e poi Luce

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Dopo la prima nazionale, al Napoli Teatro Festival, e dopo la tappa in Romania all’interno di un progetto quadriennale con Timisoara 2021, ha debuttato a Ravenna per La Stagione dei Teatri 2018/19 la nuova creazione di Marco Martinelli e Ermanna Montanari, “fedeli d’Amore, polittico in sette quadri per Dante Alighieri” (fino al 6 dicembre al Teatro Rasi).

È un lavoro per certi versi spiazzante, “fedeli d’Amore” perché l’amore qui non è cortese e tantomeno solare, bensì declinato soprattutto in una versione tenebrosa e notturna, febbricitante e onirica. In un’alba ravennate del 1321, un’alba che fatica a liberarsi della vischiosità della notte, Dante Alighieri, da tempo immemore profugo, è sul letto di morte. La sua carne ormai sfatta è aggredita da visioni e deliri. Attorno a Dante il cenacolo ravennate che l’ha accolto e la sua famiglia. Antonia, Iacopo, Pietro, la moglie… Là fuori la nebbia. La nostra nebbia. Ed è questa che dà il via al racconto, che parla, in un dialetto antico, avvolgente, aspro e dolce. La nebbia è il genius loci di Ravenna: scandisce la scena al pari della morte che aleggia e sta penetrando nel corpo del poeta.

Fedeli d’Amore: in sette quadri si passa idealmente dalla selva oscura alla luce divina proprio come nella Commedia. Solo che qui la selva oscura è quella che sta scendendo implacabile sul poeta in seguito alla malattia mortale. E la luce è quella dell’amata, di Beatrice bambina, simbolo universale d’amore e di redenzione. I sette quadri sono quelli della nebbia, del demone della fossa dove sono puniti i mercanti di morte, dell’asino in croce che ha trasportato il poeta nel suo ultimo viaggio, del diavoletto del “rabbuffo” che scatena le risse attorno al denaro, dell’Italia che scalcia se stessa, dell’apparizione della figlia Antonia e, infine, quella che viene descritta come l’intima certezza di una fine che non è una fine, quando Dante rivede nel delirio di morte la fanciulla amore della sua vita e infine la Luce.

“Ci ha commosso pensare a questo genio universale nei suoi ultimi momenti. Un uomo, da quello che raccontano le cronache, squassato dalla malaria, una febbre tremenda che provoca convulsioni. – dice Marco Martinelli dopo lo spettacolo – Ci siamo chiesti, il grande costruttore della cattedrale divina come l’ha vissuto quel momento? Ci siamo anche immaginati che la selva oscura non si passa una volta sola: non ci si salva una sola volta, ci si salva in ogni momento della nostra vita da questa fossa che ci vuole trascinare giù. Quindi c’è venuto in mente che il suo maestro Tommaso – dicono le cronache del tempo – sul letto di morte guardando la sua Summa Theologica, che era l’altra grande cattedrale del pensiero insieme alla Commedia, pare abbia detto: mi sembra paglia. Ho costruito tutto questo e ora mi sembra paglia.”

Insomma un momento di estremo pessimismo al termine della vita. Ma alla fine questa selva oscura viene illuminata da una bambina, Beatrice, vista a nove anni, la prima apparizione di Beatrice a Dante. In punto di morte al poeta riappare la donna amata e…

“È in quel momento che Dante esce di nuovo dalla selva oscura. Non c’è nulla di retorico in Dante. Anche la visione di Dio non è mai retorica, è sempre qualcosa a cui si arriva attraverso lo sprofondamento dell’essere umano nella paura, con tutta la sua fragilità” chiosa Martinelli.

C’è la nebbia-Ravenna e c’è il dialetto che si mescola ai versi danteschi in fedeli d’Amore. E poi c’è il quasi rap del diavolo del rabbuffo. Quel Rabbuffa dai rabbuffa… Per che l’umana gente si rabbuffa? E poi c’è la voce di Ermanna con così tante variazioni, timbri, colori. Come solo lei sa fare. E sempre stupisce.

“Sì. E infatti la mia idea era scrivere un concerto poetico per Ermanna. – continua Martinelli – Ed Ermanna dialoga in maniera potente e in certi momenti anche divertente con la tromba di Simone Marzocchi, ci sono proprio dei duetti in scena in alcuni momenti, dentro l’architettura musicale di Ceccarelli. Il rap in fondo fa parte di un’antica tradizione che è quella di una poesia che diventa musica, che diventa ritmo sonoro. Lo stesso endecasillabo è una forma di ritmo. Io nelle scuole lo uso molto in maniera rap, è un ritmo percussivo.”

Inferno, Purgatorio, Paradiso. Come sta quest’ultimo lavoro in tutto questo lavorio su Dante che ormai per voi è diventata un’ossessione artistica, immagino.

“Ma sai l’Inferno, il Purgatorio sono grandi progetti, grandi costruzioni che però rimangono in loco. Non ce li possiamo mai portare dietro. – spiega Martinelli – L’Inferno l’abbiamo fatto 34 volte a Ravenna ed è chiuso lì. Il Purgatorio sarà rappresentato solo a Matera e poi qui a Ravenna. Questa invece è una mandorla per il palcoscenico (Ermanna poco dopo la chiamerà “nocciolina”, ndr), un attraversamento dell’universo dantesco che si condensa in guscio di noce per il palcoscenico: possiamo portarlo in giro e attraverso fedeli d’Amore ci portiamo in giro idealmente tutte le migliaia di cittadini con cui abbiamo lavorato anche nell’Inferno.”

Poi arriva lei, Ermanna Montanari che sul palco sfodera una voce ora incerta come la nebbia, ora contadinesca e antica come quella dell’asino in croce, poi potente come l’invettiva politica sull’Italia serva, zoppa, disunita, lacerata, sgumbieda, per poi virare sul timbro delicato di Antonia e sull’onirica visione finale di Beatrice. Ma qui dopo lo spettacolo è letteramente senza voce.

“Da Roma ci stiamo ammalando l’un l’altra. – dice rauca e quasi afona – Marco si è ammalato e mi ha ammalato e così via.”

Ma come è possibile allora il miracolo di quella voce sul palcoscenico?

“Mi alleno, mi alleno per ore, comincio a cantare piano piano finchè la voce si scalda e creo come un fuoco che mi permette di reggere l’ora dello spettacolo” racconta.

Ah, ma quel diavolo del rabbuffo deve diventare una canzone rap.

“(Ridono, ndr) Queste sono delle canzoni, dei quadri canzoni” rispondono.

Parlavamo del vostro rapporto con Dante.

“È un rapporto mistico e politico insieme” dice Martinelli.

E infatti ci avete messo dentro frammenti politici dell’Italia di oggi e di sempre.

“Che non cangia mai” chiosa Ermamma Montanari.

“Dante è un uomo che si è bruciato con la politica. – dice Martinelli – Essere in sintonia con Dante significa essere in sintonia con la sete di giustizia radicale che impronta tutto il suo lavoro. Dante è il primo grande critico del capitalismo nascente fondato sull’idolo denaro. Di che sapore è l’oro? si chiede Dante ad un certo punto, perché state impazzendo per questo elemento? Pensa a quanto è stato profetico: noi sette secoli dopo siamo immersi in una società in cui il dio denaro e la finanza sono imperanti.”

Avete iniziato con la nebbia, con Ravenna che parla, e finite con la luce… Un cerchio dentro un cerchio dentro un cerchio e luce, luce…

“L’hai detto tu. È Ravenna che parla, è quel sapore, è quella grana ed è armonia. Anche se è un quadro oscuro, c’è armonia. – fanno Ermanna Montanari e Marco Martinelli – E c’è l’asino crociato: è una ferita che è nel cuore. Il poeta è bandito e smerdato, è nell’ultimo ricovero a Ravenna, lì attorno ci sono i suoi cari ma lui è solo con la sua psiche, perché sta delirando. E poi vede la luce di Beatrice, l’amore della vita. Beatrice è tantissimo per Dante: è la completezza ed è il simbolo di un amore universale.”

Fedeli d’Amore è un “polittico” che mescola quadri medievali a quadri d’arte contemporanea, l’antico e il postmoderno, il dialetto romagnolo e i versi danteschi, l’invettiva politica e la poetica dell’amore senza tempo, versi recitati e versi in musica. Ed è ancora una volta un one woman show, un’unica voce quella di Ermanna Montanari che ne sa modulare e rendere tante altre con la maestria che ormai tutti conosciamo. Sola lei su quel palcoscenico, un palco che tiene e riempie con la sua voce che arriva da sopra, da sotto, da dentro.

Fedeli d’Amore s’inserisce come nota a margine o cammeo (nocciolina o mandorla, se volete) della Trilogia Dantesca a cui le Albe lavorano da tempo e che li porterà nel 2021. Ed è tra quei lavori delle Albe che testimoniano l’incessante ricerca drammaturgica “all’interno di quel solco dove centrale è l’alchimia vocale-sonora della figura” come nel recentissimo e bellissimo Maryam.

A cura di P. G. C. 

 

FEDELI D’AMORE

Teatro Rasi. Orari delle prossime rappresentazioni: venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre – ore 18 / domenica 2, martedì 4, mercoledì 5, giovedì 6 dicembre – ore 21, riposo lunedì 3 dicembre.

EVENTI A LATERE

Sabato 1 dicembre – sala Mandiaye N’Diaye del Teatro Rasi – dopo lo spettacolo Verso Purgatorio 2019: persone e gesti nel Purgatorio di Dante: Giuseppe Ledda dialoga con Heather Webb (University of Cambridge), autrice del libro Dante’s Persons. Intervengono Marco Martinelli e Ermanna Montanari.

Giovedì 6 dicembre – sala Mandiaye N’Diaye del Teatro Rasi – dopo lo spettacolo, presentazione del libro Acusma. Figura e voce nel teatro di Ermanna Montanari (Quodlibet) di Enrico Pitozzi. Intervengono l’autore, Ermanna Montanari e Marco Martinelli

 

BIGLIETTI SPETTACOLO

Settore unico intero 15 € /ridotto* 12 € /under30 8 € / under20 5 € / Quanti sono in possesso del biglietto per la Trilogia d’Autunno possono assistere allo spettacolo a un prezzo speciale di 8 €.

Riduzioni per carnettisti, cral e gruppi organizzati, insegnanti, oltre i 65 anni, iscritti all’Università per gli Adulti Bosi Maramotti, Soci Coop Alleanza 3.0, EspClub Card, Soci BCC, tessera TCI.

INFO: www.ravennateatro.com

 

 

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