Riolo Terme, Gaspare Mirandola realizza un censimento dei soprannomi locali

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Da Àime a Zvantìna, ovvero dalla A alla Z passando per un’infinità di soprannomi – quasi 1.700 – del riolese e dintorni. Chi poteva raccoglierli se non Gaspare Mirandola? Dopo quello sui toponimi e lo stradario, ha condotto in porto un’altra ricerca che va alle radici più genuine e profonde della cultura popolare e del costume.
Per riuscire nell’intento ha potuto contare su una conoscenza – una simbiosi totale, verrebbe da dire – con il territorio e la sua comunità, ma anche sulla collaborazione di tante persone senza l’aiuto delle quali non sarebbe mai stato possibile un lavoro di scavo nella memoria tanto ampio e proficuo.
«Come capita per molte avventure simili – dichiara Mirandola – lo spunto per avviare la ricerca si è presentato quasi per caso: dalla lettura di un vecchio diario. Ai pochi soprannomi citati in quelle pagine se ne sono aggiunti altri, poi un contributo significativo è venuto dalla consultazione di vecchi documenti e del giornale parrocchiale di una quarantina di anni or sono. Ma la parte più cospicua del lavoro è il risultato di tanti contributi, grandi e piccoli, che mi hanno permesso di comporre un quadro quanto mai ricco e interessante».

Forse più di ogni altra, la Romagna è terra di nomignoli per eccellenza. Bonari e taglienti, ispirati al carattere o all’aspetto fisico, patente d’autorità o segno di dileggio, semplice storpiatura del nome vero, i soprannomi sono nel loro insieme espressione di una civiltà che sta tramontando. Non a caso oggi non capita più, come invece accadeva nel secolo scorso, che il soprannome figurasse con tutta la sua dignità persino nei documenti ufficiali, accanto al nome e al cognome registrati all’anagrafe. Ometterlo avrebbe di certo reso difficile l’identificazione dell’interessato.

«Una raccolta di nomignoli estesa a tutta la Romagna – ha scritto Piero Zama in "Addio, vecchia Faenza" – potrebbe offrire apprezzabili testimonianze su ciò che sono psicologicamente, intellettualmente, artisticamente e umoristicamente i romagnoli nel loro insieme o distinti per città e paesi secondo le differenze dialettali». Non sappiamo se una raccolta simile verrà mai tentata, chi intendesse farlo potrebbe contare sul lavoro svolto da Mirandola per la parte che riguarda Riolo.
Un lavoro che costituisce un’autentica miniera di curiosità e di rimandi a un’infinità di aneddoti e piccole storie.

Spulciando a caso ci si imbatte in Canuvèta dl’urgané e Filèp dla Masóna, in Lumbardé de fër vëcc e Pirèta dla Ciùs, in una serie di Minghì e Mingó, Gianì e Gianó, Gigì, Gigèt, Luvìgg e così via per i nomi, ovviamente, più diffusi. Che nessuno sfugga alla consuetudine lo confermano Dô Filèpp, Dô Zirólme e tutti, crediamo, i parroci della zona.
L’attenzione costante di Mirandola, forse la preoccupazione, è stata quella di non scrivere una parola che potesse risultare inopportuna, sgradevole e men che meno offensiva. E dire che di soprannomi al limite dell’oltraggio ce ne sono in quantità, a Riolo come altrove.

«La mia intenzione – conferma – è stata quella di svolgere una ricerca in positivo. In fondo non si tratta d’altro che di termini adottati con fantasia nelle relazioni quotidiane».
Altro problema da risolvere è stato quello della grafia: il dialetto romagnolo è una lingua parlata prima ancora che scritta. «Abbiamo deciso, io e chi m’ha aiutato per questa parte, di semplificare per quanto possibile, limitando all’essenziale l’uso di accenti e simboli grafici».
Quasi lo dimenticavamo. Anche l’autore ha il suo bel soprannome: Gasparótt.

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