Giorno della Memoria, lectio magistralis di Dieter Pohl. L’intervento del sindaco Matteucci

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Proseguono le iniziative promosse in occasione della giornata della memoria. Questa mattina alla sala Corelli del Teatro Alighieri di Ravenna si è tenuta la lectio magistralis del professor Dieter Pohl, storico e docente di storia contemporanea all’Università di Klagenfurt sul tema sul tema: “I campi di concentramento e la Shoah”. L’incontro è stato aperto dal Sindaco Fabrizio Matteucci. Riportiamo di seguito l’intervento del primo cittadino.

«Il 27 gennaio 1945 si aprirono i cancelli di Auschwitz e un’ondata immensa di orrore e incredulità travolse il mondo.
Si racconta che i soldati russi che per primi arrivarono al campo di concentramento rimasero ammutoliti di fronte al tragico spettacolo di persone ridotte a larve umane.
La verità – raccontò Yakov Vincenko, che allora era un giovane soldato russo di appena 19 anni – è nessuno di noi si era reso conto di avere varcato un confine da cui non si rientra. Subito pensai a qualche migliaio di morti. Invece era la fine dell’umanità”.

Il giorno della memoria è stato istituito per non dimenticare quell’orrore, per commemorare le vittime della Shoah, per ricordare la vergogna delle leggi razziali, i milioni di uomini, donne, bambini perseguitati, rinchiusi e sterminati nei campi di concentramento. Uomini, donne, bambini che come sola colpa avevano quella di essere ebrei.

Stessa sorte toccò anche al popolo Rom, agli omosessuali, ai nemici politici, a molti intellettuali che avevano il torto di non adeguarsi al “pensiero unico” di una follia assurda che vagheggiava la purezza della razza.

Pensando alle milioni di vittime innocenti, dico che l’istituzione di questa giornata della memoria è stato un dovere morale.
La memoria è senz’altro uno degli antidoti più efficaci contro la barbarie, lo è ancora di più se viene praticata quotidianamente e soprattutto se viene accompagnata da momenti di riflessione ed approfondimento, come quello che facciamo oggi.

La Shoah è da sempre tema di dibattito e di confronto nelle nostre scuole.  Sono i giovani infatti i primi destinatari di giornate come questa.  Noi non dobbiamo mai smettere di raccontare e trasmettere loro tutto quello che sappiamo, perché sono loro che domani, dovranno ricordare in nome delle generazioni precedenti.

La violenza, la perdita dei diritti, l’umiliazione, la deportazione, la bestialità, lo sterminio di milioni di persone. Come è stato possibile tutto questo?
Scrisse Hanna Arendt : “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
La banalità del male: ecco, questo è l’aspetto che rende quella tragedia ancora più terribile. Quello che accadde fu l’ultimo atto di un processo lento e subdolo nascosto nelle pieghe della quotidianità. Un processo che si nutre di piccole cose, della paura del diverso che si trasforma in intolleranza e che ha la sua espressione più profonda nel togliere un po’ alla volta i diritti a quelle persone che riteniamo diverse.

E soprattutto riconosciamo il male quando è troppo tardi, quando questa spirale ha raggiunto proporzioni inimmaginabili, disumane anche se sono state prodotte dall’uomo.  Per questo i diritti non si devono toccare mai. E’ questo uno dei compiti della politica: fare in modo che tutti gli uomini che nascono uguali, lo siano davvero nei diritti e nelle libertà e comunque stare dalla parte da chi ha un diritto in meno.

La comunità ravennate non ha perso la memoria. Anzi la coltiva con passione, consapevolezza.  Le lapidi e i cippi posti nelle piazze, nelle strade nei parchi raccontano, in molti casi, del sacrificio di donne e di uomini per la libertà, ma narrano anche dell’insensatezza della guerra, della violenza, dell’intolleranza. Ogni anno onoriamo la giornata della memoria con decine di iniziative.
La tragedia della Shoah a Ravenna ha il volto innocente di Roberto Bachi, ritratto insieme ai suoi compagni della classe quarta del Mordani.

Ma è anche rappresentata dalla vicenda emblematica dei 31 cittadini rastrellati nel territorio della nostra provincia che la notte tra il 25 e il 26 gennaio del 1944, un anno prima dell’ingresso dei russi ad Auschwitz transitarono alla stazione di Ravenna per raggiungere il carcere di San Vittore e da lì essere deportati proprio in quel campo di concentramento. Furono circa un centinaio gli ebrei ravennati che furono deportati nei campi di concentramento e non fecero più ritorno.
C’è una frase sulla targa dedicata a Giorgio Gaudenzi che abbiamo scoperto ieri alla scuola Mordani che recita così: “Perché solo un passato consapevole può orientare positivamente il futuro”.
Noi continueremo a coltivare la memoria della Shoah perché questo è l’unico modo per non ricadere in quell’orrore».

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