Processo Cagnoni per l’omicidio Ballestri: le parole della madre di Giulia, l’imputato all’angolo

Ieri la testimonianza importante della madre di Giulia Ballestri. Momenti di tensione in aula. Volano insulti fra Cagnoni e il fratello di Giulia. Il 22 dicembre l'ultimo appuntamento del 2017

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Ottava udienza a Ravenna, ieri venerdì 15 dicembre, del processo a Matteo Cagnoni, imputato per l’omicidio della moglie Giulia Ballestri. La testimonianza della “tata” di Giulia Ballestri, seguita da quella della madre della vittima, Rossana Marangoni. Poi il notaio Fabrizio Gradassi, al quale si era rivolto Matteo Cagnoni per “liberarsi” delle sue proprietà immobiliari presumibilmente per non farsi trovare “impreparato” nella causa di separazione con la moglie e, infine, un testimone tecnico, Enrico Filippini della Scientifica di Bologna, chiamato a chiarire sulla questione delle impronte del palmo della mano destra e sinistra intrise nel sangue di Giulia Ballestri, trovate nella casa abbandonata di via Padre Genocchi e attribuite al dermatologo ravennate. 

C’è persino un fugace riferimento alla Massoneria: all’epoca dei fatti Cagnoni era iscritto alla Loggia La Pineta. Nell’aula della Corte d’Assise di Ravenna il processo a Matteo Cagnoni prosegue a piccoli passi, fra schermaglie legali e qualche colpo di scena. Ieri l’udienza ha vissuto anche momenti di tensione che alla fine hanno “costretto” l’imputato ad una dichiarazione spontanea per chiedere scusa alla Corte e giustificare le sue intemperanze. Cagnoni ha rischiato di essere espulso dall’aula.

 

Tutto comincia, come da programma, attorno alle 9.15 del mattino e quello che si presenta in aula non è il “solito” Cagnoni. Abbandonata la “divisa d’ordinanza” (camicia azzurra, giacca blu, cravatta e foulard nel taschino) l’imputato indossa un maglioncino scuro a collo alto sotto la giacca, ma soprattutto si siede e spalanca in modo ostentato “La Repubblica”, nascondendo la faccia tra le sue pagine. Il gesto non passa inosservato. Poi come avviene ad ogni udienza, all’imputato viene concesso di sedere accanto ai difensori e, per le ore successive, la “lettura” del quotidiano viene abbandonata.

 

LA TATA: GIULIA AVEVA PAURA

La prima testimone dell’accusa ad entrare in aula è la signora Emilia Valmaggi, classe 1934. La signora Emilia conosceva la vittima fin da bambina, era la sua “tata”. Una “tata”, si intuisce, ruvida e amorevole. Rispondendo alle domande del PM Cristina D’Aniello, racconta che lei la Giulia la conosceva molto bene e che quando la governante non c’era e Giulia e il marito uscivano, era lei a badare i loro bambini. I primi anni del matrimonio nella coppia tutto filava liscio, dice, poi negli ultimi tempi notava “che non andavano più d’accordo, vedevo la Giulia seria, innervosita. Diceva sempre: non ne posso più” anche se lei non entrava più di tanto in argomento: “non voleva farmi stare male”.

“Cagnoni – chiede il PMle ha parlato dei problemi che aveva con Giulia?”

“Sì – risponde -. Mi disse che lei voleva andare via e che lui avrebbe portato via i bambini e non glieli avrebbe fatti più vedere e mi chiedeva di aiutarlo a mettere a posto le cose”.

PM: “Giulia aveva paura?”.

“Sì, mi aveva detto: mi fa paura. E io: stai attenta, stai attenta”.

Ed ancora: la Pubblica Accusa le chiede se è mai andata nella casa di via Padre Genocchi.

“Certo, è una casa bella e signorile, ma io non ci sarei mai stata. Una volta mi hanno raccontato che nella villa c’erano i fantasmi dei frati, io non ho paura perché non ci credo ma io ho detto a Giulia che doveva chiamare un prete di Sarsina, ma lei mi ha risposto che avevano già fatto con un prete di Ravenna”.

E su Stefano Bezzi: “Ho saputo da Giulia che aveva un nuovo compagno a maggio, nel periodo delle ciliegie. Stavamo andando insieme a Sarsina in macchina e ci siamo fermate a Classe in un parcheggio: lì c’era Stefano Bezzi e io ho capito subito chi era. Giulia lo teneva nel palmo della mano come se fosse il Bambin Gesù: si vedeva che era innamoratissima”.

 

LA MADRE DI GIULIA: CAGNONI NON PAREVA INTERESSATO ALLA SCOMPARSA DELLA MOGLIE

Di tenore opposto la testimonianza della madre della vittima: sua figlia sostiene, le confida che quella con Bezzi è una relazione senza importanza, che lui non era il grande amore di cui parlano i giornali, non era l’uomo con il quale voleva rifarsi una vita. La signora Rossana Marangoni ci tiene a non offrire l’immagine di una madre ossessiva, ma quando comprende che Giulia sta vivendo con sempre maggiore insofferenza il rapporto con il marito, dice di aver cercato di tenerla “un po’ bassa: quando ci sono tre figli di mezzo penso sia giusto mettere i bambini in primo piano”.

Lei e la figlia non si vedono spessissimo. Matteo Cagnoni, fa capire, non pareva molto felice che la moglie tenesse rapporti molto stretti con la famiglia d’origine: “Penso fosse geloso anche di noi, perché la vedevamo molto poco. Quando Giulia veniva a trovarci lui le telefonava oppure arrivava dopo tre secondi”.

Quando la crisi della coppia è ormai evidente, anche lei viene coinvolta dal genero in un tentativo di riappacificazione e in agosto sempre da Cagnoni apprende che sua figlia ha un’altra persona. “Matteo mi ha telefonato chiedendomi se poteva salire un attimo. Si è seduto di fronte a me e mi ha detto: lo sa signora che Giulia ha un amante? E poi non si immagina chi è: è una persona squallida, un ignorantone. Io sono rimasta senza parole”.

L’ultima volta che vede la figlia è il 14 settembre: quattro giorni prima del ritrovamento del corpo senza vita di Giulia Ballestri e il giorno dopo l’incontro con l’avvocato divorzista di Forlì, un avvocato donna scelto da Cagnoni “che li avrebbe messi d’accordo senza dover ricorrere al tribunale”.

Invece per Giulia arriva la doccia fredda: “Mamma, la sai l’ultima? Matteo ha venduto tutto a suo fratello per una cifra ridicola”.

Ma la sua testimonianza fornisce anche un elemento inedito che risale a poco tempo fa, quando il processo in Corte d’Assise è già iniziato. Il nonno paterno chiede di potere vedere i tre nipoti singolarmente e la prima che va a pranzo con lui è la figlia maggiore di Giulia. La bambina tornata a casa confida di avere appreso dal nonno che i vestiti e la borsetta della madre mai trovati dagli investigatori sarebbero stati buttati dal padre in un cassonetto.

L’avvocato Trombini sembra allora intenzionato a sentire la bambina. Il Presidente della Corte, Corrado Schiaretti, fa appello alla sua sensibilità e nel pomeriggio il difensore dell’imputato chiederà che venga esaminato a questo proposito Mario Cagnoni.

Sono anche altri gli elementi nella testimonianza della signora Marangoni che sembrano rafforzare l’ipotesi accusatoria. Quando la famiglia di Giulia incomincia a preoccuparsi della sua scomparsa c’è un susseguirsi di telefonate. La mamma di Giulia chiama anche i consuoceri a Firenze: gli dicono che i ragazzi sono lì, che Matteo è a cena con amici, ma che Giulia non c’è. Riesce a parlare con Matteo Cagnoni solo la domenica mattina. Lui le dice: “Giulia sarà con il fidanzato” e lei risponde: “Impossibile la sta cercando anche lui”.

Lo informa che ha bisogno delle chiavi per entrare nell’appartamento di via Giordano Bruno. In caso contrario saranno costretti a sfondare la porta. L’imputato non le sembra particolarmente interessato a risolvere il problema e lei trova strano che non si precipiti a Ravenna. Ma il genero le dice anche che l’ultima volta che ha visto Giulia è il sabato mattina a mezzogiorno, vicino a casa e che le avrebbe detto “Vado a Firenze con i bambini, la mamma non sta bene. E che Giulia le avrebbe risposto: Io non vengo”.

 

 

IL NOTAIO: SULLE MANOVRE PATRIMONIALI DI CAGNONI

Tocca poi al notaio Fabrizio Gradassi, amico di famiglia anzi dell’imputato, che conosce fin dagli anni Settanta, testimone sia dell’accusa che della difesa e anche testimone di nozze della coppia Cagnoni- Ballestri. A lui Cagnoni si rivolge nel febbraio del 2016 per la redazione di alcuni atti di compravendita e di donazione dei beni immobili dell’imputato a favore del fratello Stefano. Sulla motivazione di questa operazione, afferma il notaio, “Matteo fu evasivo, ma giunsi alla conclusione che si trattasse di una sistemazione patrimoniale della sua famiglia”.

Fra i beni oggetto degli atti c’è anche la casa di famiglia di via Giordano Bruno. “Ma lei – domanda il PM – non si è posto il problema di chiedergli, visto quello che stava facendo, dove andranno a vivere tua moglie, i tuoi bambini?”.

Il notaio dice di non avere mai pensato che Cagnoni avrebbe potuto fare qualcosa contro i suoi figli e di non averne parlato alla moglie “perché io non sono professionalmente tenuto a parlarne con i familiari, Comunque lui mi disse che non dovevo parlarne con nessuno, neppure con lei”.

Ad un certo punto però il notaio Gradassi arriva alla conclusione che gli atti hanno una finalità ben diversa di quella che lui all’inizio aveva pensato: “quella di avere maggiore forza nella discussione della causa di separazione con Giulia”.

La causa di separazione è al centro di alcuni messaggi inviati al cellulare del notaio. In uno del 4 settembre l’imputato scrive fra l’altro: “Sembra che tutto proceda secondo i piani. Il 13 settembre andiamo dall’avvocato e sembra che gli accordi siano mantenuti”.

Poi i riferimenti a Giulia, “alla sua scarsa intelligenza e alla sua labilità morale”: non certo le parole che ti aspetti da un marito innamorato e rispettoso, immagine che anche l’amico notaio cerca di accreditare. Due giorni dopo da Cagnoni riceve anche un file con la registrazione di una conversazione che definisce “personale”. E ammette di essere rimasto perplesso, si tratta di una registrazione e l’imputato gli assicura che è lecito effettuare registrazioni in luoghi di proprietà.

Quando Matteo Cagnoni viene fermato e rinchiuso in un primo momento nel carcere di Sollicciano, la sua preoccupazione è mandare un messaggio di sostegno all’amico in carcere. Nessuna manifestazione di cordoglio alla famiglia di Giulia.

Con i controinterrogatori del legale di parte civile avvocato Scudellari e del difensore di Cagnoni avvocato Trombini termina l’esame del testimone Gradassi.

 

IL PARAPIGLIA: CAGNONI INSULTA LA MADRE DI GIULIA E IL FRATELLO GUIDO REAGISCE

Il Presidente si è appena alzato e con lui il giudice a latere Andrea Galanti e i giurati popolari: stanno lasciando l’aula per la tradizionale pausa del pranzo. Scoppia il parapiglia. Una pesante offesa dell’imputato alla madre di Giulia, scatena la reazione del fratello della vittima, Guido. Matteo Cagnoni fa il gesto di scagliarsi addosso a lui e viene trattenuto dagli agenti penitenziari. Il PM chiede l’allontanamento dall’aula dell’imputato per tutta la durata dell’udienza. Il Presidente si riserva di rendere nota la sua decisione alla ripresa del dibattimento fissato per le 14.40.

Alla ripresa pomeridiana si limiterà ad ammonire l’imputato intimandogli di non essere protagonista di altre intemperanze. Cagnoni, annuncia il suo difensore, vuole fare una dichiarazione spontanea per scusarsi. “Mi scuso per essermi accalorato. Sono 14 mesi che non vedo i miei figli e la cosa mi rende sofferente”. L’imputato dice poi di essere costretto durante il dibattimento, ad “ascoltare cose che non stanno né in cielo, né in terra” e anche di essere stato oggetto in alcune occasioni nel corso delle udienze precedenti di commenti poco lusinghieri. Afferma poi di non avere voluto offendere il PM e il Presidente ribatte dicendo che l’imputato deve astenersi di fare affermazioni offensive nei confronti di chiunque. La cosa finisce lì.

 

LE IMPRONTE

Sul banco dei testimoni siede Enrico Filippini del Gabinetto della Polizia scientifica di Bologna: deve riferire sulle impronte delle mani intrise nel sangue della vittima trovate su un muro e sul frigorifero della villa di Padre Genocchi, attribuite a Matteo Cagnoni.

Ma la sua testimonianza inizia in salita: la prima opposizione del difensore di Cagnoni riguarda il fatto che Filippini non è un consulente tecnico, poi contesta l’ammissibilità degli accertamenti. La Corte si ritira per decidere, giusto il tempo che serve per rigettare l’eccezione di inammissibilità. Si va avanti. Pare che non ci siano dubbi: la giurisprudenza italiana ritiene che vi sia la certezza probatoria delle impronte quando c’è una corrispondenza tra l’impronta in reperto e l’impronta del soggetto di almeno 16 (sedici) punti uguali per forma e posizione. Nel caso dell’imputato, afferma Filippini, le corrispondenze sono 20 nel caso della impronta del palmo della mano sinistra e ben 28 per l’impronta della mano destra.

Il processo riprenderà il 22 dicembre per l’ultima udienza del 2017. Poi si tornerà in aula il 19 gennaio 2018.

 

A cura di Ro. Em.

 

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