Processo Cagnoni. La mamma dell’imputato: “Lei è stata uccisa da due tre giorni, da un albanese…”

Un'altra giornata importante al Processo Cagnoni per l'omicidio Ballestri - Ricostruita tutta la vicenda della fuga e del fermo di Cagnoni a Firenze

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Nell’undicesima udienza del processo – venerdì 26 gennaio – che vede sul banco degli imputati il dermatologo ravennate Matteo Cagnoni  accusato dell’omicidio della moglie Giulia Ballestri, si entra nel merito del capitolo fiorentino dell’inchiesta, si torna nella casa abbandonata di via Padre Genocchi per concentrare l’interesse sul sistema dell’allarme e si cerca di ricostruire una particolare circostanza relativa alle ultime ore di vita della vittima.

È stata una giornata lunga e complessa quella di ieri che ha visto sfilare, nell’aula della Corte d’Assise di Ravenna numerosi testimoni. Ma veniamo alla cronaca di questa intensa giornata processuale.

 

QUELLA MATTINA DA MARCHESINI. MA QUALE MATTINA?

Dopo il rapido esame del fratello del nuovo compagno di Giulia, Andrea Bezzi, tocca nell’ordine a Valerio Marchesini, Ennio Caselli e Monica Castagnoli, rispettivamente titolare, macellaio e cassiera del noto negozio di generi alimentari e gastronomia all’angolo fra via Mazzini e via Guaccimanni. La loro testimonianza serve a fare chiarezza su un elemento importante soprattutto per la difesa dell’imputato: l’ipotesi che nella tarda mattinata del 16 settembre Giulia Ballestri fosse ancora viva. Lo sosterrebbe in una sua testimonianza resa a suo tempo proprio Valerio Marchesini che avrebbe detto di averla vista entrare nel suo negozio proprio quel giorno, poco dopo mezzogiorno. Ieri mattina però, durante la sua testimonianza in aula, il titolare del negozio fa un sostanziale dietro front: l’ultima volta che ha visto Giulia non è venerdì 16 settembre, bensì il giorno prima, giovedì 15. Lei stava entrando nel negozio e lui stava uscendo. A fargli inquadrare temporalmente questa circostanza è il fatto che si trattava del primo giorno di scuola e lui quel giorno è andato a prendere suo figlio. Che fosse giovedì 15 lo confermano dopo nel corso delle loro testimonianze anche il macellaio e la cassiera.

“Come mai due versioni così diverse?” Chiede a Marchesini l’avvocato Trombini. Il teste si giustifica: inizialmente, “a botta calda” pensava fosse venerdì, invece confrontandosi anche con i suoi dipendenti e ricordando appunto che era il primo giorno di scuola adesso è certo che fosse il 15 settembre, quindi giovedì.

 

VILLA CAGNONI A FIRENZE

Si cambia scenario e città: dal noto negozio cittadino nel cuore di Ravenna al parco e alle ampie stanze della villa di Firenze dei genitori di Matteo Cagnoni. La testimonianza del vicequestore della Polizia fiorentina Maria Assunta Ghizzoni, introduce uno dei capitoli più discussi del processo: quello della fuga e del fermo di Matteo Cagnoni. La sera di domenica 18 settembre 2016, la dottoressa Ghizzoni è il funzionario di turno. Si sta preparando per uscire con le amiche quando riceve una telefonata dalla centrale operativa: c’è una donna scomparsa a Ravenna (il cadavere di Giulia non è stato ancora trovato) e c’è da fare una perquisizione nella casa dei genitori del marito che si trova appunto a Firenze, in via Bolognese. Il vicequestore si mette al telefono per cercare di radunare qualche collega per l’operazione. Compito non semplice, ammette nel corso della sua testimonianza, perché proprio quella sera si sta svolgendo la partita Fiorentina- Roma e molti dei colleghi sono allo stadio per il servizio d’ordine. Insieme al Sovrintendente Capo Jonathan Sbaragli e all’Assistente Capo Antonio Lei, si reca in via Bolognese. I tre poliziotti si fermano con l’auto nella piazzola di un distributore Agip nei pressi della villa in attesa degli altri colleghi: l’Ispettore Antonino Ingretolli, l’ispettore Marco Vitali e l’Assistente Giancarlo Cotardo.

Mentre stanno aspettando vedono arrivare una Mercedes condotta da Mario Cagnoni. L’auto viene parcheggiata vicino ad un cancello nel retro della villa. Nel frattempo arrivano i colleghi. La squadra è al completo: sono tutti in borghese, il vicequestore Ghizzoni che avrebbe dovuto uscire con le amiche addirittura indossa un giubbotto di jeans e pajettes. Particolare importante quello dell’abbigliamento, sul quale insiste in modo meticoloso il Pubblico Ministero Cristina D’Aniello. L’obiettivo non dichiarato ma evidente è confutare l’ipotesi avanzata dall’imputato Cagnoni durante l’ultima dichiarazione spontanea di essersi trovato di fronte ad un commando armato, per questo si sarebbe spaventato e dato alla fuga. A mezzanotte e 40 la perquisizione inizia dal giardino. A mezzanotte e 48 minuti al cellulare del Sovrintendente Capo Sbaragli arriva un laconico sms dai colleghi di Ravenna: “Trovato il cadavere”. Il poliziotto trova il modo di dirlo alla dottoressa Ghizzoni e ai colleghi con discrezione, senza farsi sentire da Mario Cagnoni. I poliziotti fanno il loro ingresso nella villa ed incominciano la loro perquisizione.

 

LA LORO MAMMA È MORTA DA DUE, TRE GIORNI, UCCISA DA UN ALBANESE…

Contemporaneamente chiedono sia a Mario Cagnoni che alla moglie Vanna Costa dove si trovi il figlio Matteo, entrambi rispondono in modo vago e contradditorio. Ad un certo punto la dottoressa Ghizzoni apre una porta: è quella della camera da letto dove i tre figli di Giulia Ballestri e Matteo Cagnoni dormono ignari di tutto quello che sta accadendo. Il vicequestore esce: “Qui ci sono tre bambini da soli, che dormono come angioletti”, dice rivolta alla madre di Cagnoni che replica: “Sono qui da soli perché la loro mamma è morta due, tre giorni fa, ma non l’hanno ancora detto. È stata uccisa da un albanese, durante una rapina in una villa a Ravenna di proprietà del nonno”. A questo punto arriva il marito Mario Cagnoni che “la redarguisce di brutto” e la porta via.

Nel frattempo Matteo Cagnoni non si trova. Si continua a cercare. L’ispettore Ingretolli ricorda che è scattato un allarme e c’è un’altra cosa che non quadra: una finestra prima chiusa adesso invece è aperta. Si trova in una sorta di appartamento dentro la villa che Mario Cagnoni in un primo tempo dice di non potere aprire perché è stato affittato. Sotto la finestra aperta ci sono impronte fresche. Qualcuno è fuggito. A questo punto vengono visionati i video delle telecamera di sorveglianza dai quali non solo si vede Matteo Cagnoni saltare dalla finestra con insospettabile agilità, ma anche Mario e Matteo Cagnoni che arrivano alla villa a bordo della Mercedes, poi loro due che scendono dall’auto ed estraggono una valigia bianca (con abiti maschili) dal bagagliaio insieme a due cuscini (quelli delle due poltroncine sul ballatoio della casa di via Padre Genocchi dove è stato trovato il cadavere di Giulia) che Matteo porta in un angolo della villa, in una cantinetta e dove saranno poi recuperati dagli investigatori fiorentini.

Nel corso della perquisizione vengono trovate su un termosifone un paio di Timberland: le scarpe sono bagnate, come se fossero state lavate da poco e nel carrarmato ci sono tracce di terriccio. Le scarpe sono di Mario Cagnoni e lui afferma che le usa per andare nell’orto. Ed ancora: nella villa viene sequestrata la giacca grigia che Matteo Cagnoni indossa nel video della telecamera di sorveglianza; nella giacca ci sono il passaporto ed oltre 1.300 euro. Sul letto di Cagnoni i passaporti di due dei tre figli e sempre nella villa di Firenze viene sequestrato un paio di jeans dove sarà trovata la scheggia di corteccia sporca di sangue di Giulia proveniente presumibilmente dal bastone utilizzato per colpire la donna in una prima fase dell’aggressione.

Ma torniamo a Matteo Cagnoni in fuga. La centrale dirama l’allarme a tutte le volanti. Ed è proprio una volante che alle 3.40 incrocia il fuggitivo sulla via Faentina a circa 3, 4 chilometri dalla villa paterna. A bordo c’è l’assistente Stefano Costanzo insieme al collega Marulli. Appena vede il ricercato, Costanzo scende dall’auto pistola in pugno, ma Cagnoni si gira dalla parte opposta, salta sul guard rail poi su un dirupo. Il poliziotto lo insegue lo afferra per la camicia ma Cagnoni riesce a fuggire. Verrà bloccato dall’Assistente Cotardo appostato nel giardino poco prima delle sei della mattina del 19 settembre, mentre sta cercando di tornare a casa.

 

IL SISTEMA D’ALLARME NELLA VILLA DEL DELITTO

Infine per l’ultima parte dell’udienza si fa ritorno a Ravenna, nella casa di via Padre Genocchi, per accentrare l’interesse su un tema particolare, quello del sistema dell’allarme della villa del delitto, attraverso la testimonianza del direttore e di alcuni dipendenti della Colas Vigilanza. Il primo a rispondere alle domande del Pubblico Ministero è Silvio Zauli, operatore della centrale operativa. È lui a ricevere alle 23,45 di domenica 18 settembre la telefonata della Questura che chiede che qualcuno della Colas porti in via Padre Genocchi la chiave della villa e il codice dell’allarme. Sul posto si reca la guardia giurata Walter Maioli (anche lui ieri sul banco dei testimoni). Zauli chiede alla polizia se può avvertire i proprietari della casa. Alla risposta affermativa chiama prima il cellulare di Giulia Ballestri che suona libero e poi scatta la segreteria. Poi chiama l’imputato Cagnoni all’utenza che poi risulterà intestata a Don Desio. Anche in questo caso nessuna risposta. “Facevo suonare il telefono fino a che non cadeva la linea”, racconta l’operatore della Colas che chiama il custode e poi di nuovo Giulia Ballestri lasciando un messaggio in segreteria. Poi chiama anche il fisso di Mario Cagnoni. Risponde una donna, presumibilmente la moglie, che glielo passa: dopo avere ascoltato il messaggio dell’operatore lui dice che si risentiranno nella mattinata.

A mezzanotte e 53 minuti Zauli riceve la comunicazione che nella villa è stato trovato un cadavere. Tre minuti dopo richiama la villa di Firenze. Risponde la stessa donna ma stavolta non gli passa Mario Cagnoni: probabilmente la perquisizione è in corso e il padre dell’imputato è impegnato con la polizia di Firenze. Zauli riferisce del ritrovamento del cadavere nella villa e lei risponde: “Va bene, ci sentiamo domani”. Ma il tema centrale delle testimonianze, come si diceva, è relativo al sistema di allarme della casa. Un contratto che, spiega il direttore della Colas Andrea Avellone, risale al 1998 prevede la custodia delle chiavi e l’intervento di una pattuglia in caso scatti l’allarme antifurto. Dal giugno del 2014, pare su richiesta proprio di Giulia Ballestri, vengono tolti i controlli sugli inserimenti e i disinserimenti del codice. Quello dell’allarme non è una questione puramente tecnica ma può rivelarsi importante ai fini delle indagini. Il discorso a questo proposito verrà completato nella prossima udienza dove sarà sentita un’altra dipendente della Colas. Ma la prossima udienza in programma il 2 febbraio ha un altro motivo di grande interesse: la pubblica accusa ha infatti deciso di chiamare a testimoniare, fra gli altri, anche il padre e la madre dell’imputato: Mario Cagnoni e Vanna Costa.

 

Ro. Em.

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