Processo Cagnoni. Femminicidio di Giulia Ballestri. La PM: “Un delitto premeditato e crudele”

La requisitoria della PM terminerà giovedì 14 giugno. Dopo seguiranno le arringhe delle parti civili. Il 18 giugno le arringhe dei difensori. Sentenza forse già il 22 giugno

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Un ringraziamento alle donne e agli uomini che hanno lavorato “in maniera brillante e senza sosta per dare una risposta a Giulia e alla sua famiglia, che hanno mostrato pietas per Giulia, che hanno cercato la verità per lei”. Parte da una difesa non d’ufficio, da un apprezzamento sincero del lavoro investigativo, la lunga e articolata requisitoria della PM Cristina D’Aniello alla quale è stata interamente dedicata l’udienza di martedì 12 giugno, la venteseiesima, del processo a Matteo Cagnoni, il dermatologo ravennate accusato del femminicidio della moglie Giulia Ballestri

 

L’IMPUTATO PER LA PRIMA VOLTA NON È IN AULA

La dottoressa D’Aniello comincia a parlare poco prima delle 10 del mattino, davanti ad un’aula piena di pubblico ma che registra un’assenza pesante: quella dell’imputato Matteo Cagnoni. Inizia come si diceva, con parole di apprezzamento nei confronti dell’indagine e con un paio di premesse prima di entrare nel cuore della requisitoria. La prima premessa suona in realtà come una sorta di “avviso ai naviganti”: gli accertamenti tecnico scientifici, dice, hanno grande rilevanza, ma “vanno calati nel caso concreto” e nell’inchiesta sul femminicidio di Giulia Ballestri, questi accertamenti “urlano elementi probatori”.

La seconda è un riferimento a Giulia Ballestri, “testimone altamente qualificato” del processo. Nel corso delle udienze, dice la PM, “abbiamo potuto ascoltare la voce di Giulia”, attraverso i suoi messaggi whatsapp letti in aula, grazie alle testimonianze dei familiari, degli amici più cari e del nuovo compagno. E la voce di Giulia racconta di una donna spaventata, che teme la reazione del marito e nello stesso tempo insofferente nei confronti di un matrimonio che ormai non sopporta più. Una donna preoccupata per i figli ai quali è legatissima. Di Giulia la dottoressa D’Aniello parlerà ancora nel corso della requisitoria per difenderne la memoria, offesa durante il processo da alcune dichiarazioni dell’imputato che definisce offensive, diffamanti. Rintuzza con decisione l’ipotesi del secondo amante avanzata dal marito e di cui nessuno sapeva, ricorda la madre amorevole e affettuosa. Ma andiamo con ordine.

 

LE DUE SCOMPARSE: QUELLA DI GIULIA E DEL MARITO… LE RICERCHE

Il racconto della Pubblico Ministero comincia dal 18 settembre di due anni fa, alle 14, da quando cioè il fratello Guido, il nuovo compagno Stefano Bezzi e l’amica del cuore Elisabetta Amicizia si recano in Questura per denunciare la scomparsa di Giulia Ballestri, madre di tre figli, moglie di un dermatologo piuttosto noto. Da 48 ore Giulia non si trova: nessuno sa dove sia, non risponde al telefono e questo è piuttosto insolito per lei. Il suo ultimo accesso su whatsapp risale alle 9 e 24 minuti del 16 settembre. Poi più nulla. Iniziano le ricerche. Da subito però emerge quella che la PM definisce l’incongruenza di due scomparse: quella di Giulia e quella del marito.

In realtà quest’ultimo si scopre relativamente presto dov’è: si trova a Firenze insieme ai figli nella villa dei genitori anche se appare sfuggente agli inviti di presentarsi in questura a Ravenna e per nulla preoccupato della scomparsa della moglie. Ed è appunto nel doppio scenario di Ravenna e Firenze che si muove l’inchiesta e anche la requisitoria della Pubblica Accusa. Dunque: Giulia scompare e tutti sono preoccupati, tranne lui, Matteo Cagnoni. La suocera lo chiama al telefono, ma Cagnoni si fa trovare solo il 18 settembre, dice appunto che si trova a Firenze a casa dei genitori insieme ai figli. Giulia è lì? Chiede la donna con un filo di speranza. No, Giulia non è voluta venire. “Sarà con il fidanzato”, insinua Cagnoni.

“No, non c’è, anzi lui la sta cercando insieme a noi”, risponde la suocera che gli dice che devono entrare nell’appartamento di via Giordano Bruno dove Giulia e Matteo Cagnoni abitano insieme ai figli. Magari Giulia si è sentita male, è caduta mentre faceva la doccia. Le chiavi però le ha solo lui, Matteo Cagnoni che non pare affatto preoccupato di tornare. I Vigili del fuoco sfondano un vetro per entrare nell’appartamento. Giulia non c’è. Le ricerche continuano nella casa delle vacanze di Marina Romea, ma Giulia non è neppure lì. A questo punto ci si ricorda della casa abbandonata di via Padre Genocchi. Contestualmente si continua ad inseguire Matteo Cagnoni a Firenze. Le vicende da questo punto in poi, per chi ha seguito questo processo sia in aula che sui media, sono note.

Non è semplice cercare di riassumere la requisitoria: la PM si sposta dai giorni immediatamente precedenti al femminicidio a quelli immediatamente successivi. Mette in relazione la grande mole di elementi, fa diverse deduzioni, insiste su certi comportamenti dell’imputato, mette a frutto quanto è emerso durante il dibattimento processuale, ribatte alle tesi dei periti di parte e alle affermazioni di Cagnoni di cui dichiara di voler mettere a nudo le “manipolazioni” e le “bugie”. La dottoressa D’Aniello non concede sconti, insiste sulle aggravanti preparando il terreno ad una richiesta di pena pesante. I difensori dell’imputato, gli avvocati Trombini e Dalaiti ascoltano un po’ preoccupati: anche se la ricostruzione non è semplice e alcuni aspetti risultano ancora oscuri, la mole di elementi contro il loro assistito è tale che l’esito del processo appare scontato.

Soffermiamoci su alcuni di questi elementi. Nella villa di via Padre Genocchi la polizia entra sulla mezzanotte del 18 settembre dopo che un addetto della Colas, l’impresa che gestisce il sistema di sicurezza della casa ha portato la chiave e il codice d’accesso della centralina di sicurezza. “Siamo in una casa perfettamente chiusa”, sottolinea la PM. Il luogo è buio, si procede in fila indiana. La porta rimasta aperta sul terrazzo di cui parla Cagnoni in alcune delle sue lettere dal carcere, dal quale sarebbe entrato lo sconosciuto che secondo la tesi della difesa avrebbe aggredito e ucciso Giulia, sarebbe invece chiusa ad aprirla è la polizia che, sottolinea con veemenza la dottoressa D’Aniello, non ha mentito, e neppure ha omesso sbadatamente qualcosa.

 

IL MACABRO RITROVAMENTO

Circa mezz’ora dopo, nella cantina, viene trovato il corpo senza vita di Giulia. A questo punto torniamo nella villa di Firenze. Nessuno dovrebbe sapere del ritrovamento del cadavere di Giulia: nelle due telefonate effettuate, l’addetto della Colas avverte a mezzanotte e 11 minuti la madre di Cagnoni che la Polizia sta per entrare nella villa abbandonata, poi a mezzanotte e 57 telefona di nuovo e parla con Mario Cagnoni per dire che è stato trovato il corpo senza vita di una donna. Nessun riferimento al fatto che il corpo trovato è quello di Giulia Ballestri. Del resto neppure lo stesso dipendente della Colas sa che si tratta della moglie di Cagnoni, tanto che prima di telefonare al fisso della villa di Firenze chiama il cellulare della stessa Giulia Ballestri seguendo la routine di telefonate previste dal contratto di servizio in caso di comunicazioni urgenti.

Il numero del cellulare di Giulia è infatti il primo da chiamare, ma ovviamente Giulia non può rispondere. Solo la polizia di Ravenna e il magistrato, sono a conoscenza del tragico ritrovamento. I Falchi che stanno svolgendo il sopralluogo nella villa di Firenze vengono informati con molta discrezione. Eppure nella casa dei genitori dell’imputato ci si comporta come se qualcuno avesse gridato ai quattro venti che quel cadavere trovato nella cantina angusta della casa di via Padre Genocchi è proprio quello di Giulia. Matteo Cagnoni che quella domenica pomeriggio si è recato insieme al padre a Bologna dall’avvocato Trombini, lasciando a casa il suo cellulare e portandosi dietro quello della madre, è tornato a casa. A mezzanotte e 23 minuti manda un messaggio all’ex fidanzata che avrebbe dovuto incontrare il giorno dopo, lunedì 19 settembre: “Dobbiamo rinviare – scrive – è successo un grosso guaio”.

 

IL VEDOVO INCONSOLABILE E LA GAFFE DELLA MADRE

Cinque minuti dopo sempre Matteo Cagnoni telefona all’avvocato Trombini con il cellulare del padre. A mezzanotte e 43 minuti invia un messaggio alla segretaria dello studio medico di Ravenna chiedendole di rinviare gli appuntamenti perché è successa una tragedia. “Ma quale tragedia? – si chiede la PM – . Solo a mezzanotte e 57 minuti la Colas dice che nella casa di via Padre Genocchi è stata trovata una donna morta”. In effetti già la telefonata del primo dipendente Colas, quella dove si dice che la Polizia sta entrando nella casa sembra mettere in allarme l’imputato: “Si preoccupa perché sa che in quella casa c’è il corpo di Giulia Ballestri. Sta preparando la fuga, capisce che non c’è più tempo ed ecco allora – afferma la PM – la più mirabolante delle sue mistificazioni: Cagnoni veste i panni di vedovo inconsolabile”.

Non solo. La madre dell’imputato fa una gaffe e sbaglia i tempi fornendo in anticipo quella che pare essere la versione di famiglia all’orrendo delitto: una tentata rapina finita in modo tragico. Alla dottoressa Ghizzoni che coordina il sopralluogo della Polizia nella villa di Firenze che vede i bambini dormire in una stanza, la signora Vanna Costa confida che la madre è stata uccisa qualche giorno prima in una villa abbandonata a Ravenna da un albanese. Sono molte le incongruenze, le illogicità delle dichiarazioni e i comportamenti di Cagnoni che, secondo la dottoressa D’Aniello, danno corpo ai sospetti. Nella mattinata di domenica 18 settembre l’imputato si sente con la madre di Giulia e dalle 13 cerca di mettersi in contatto con l’avvocato Trombini. Alla fine decidono di incontrarsi nel tardo pomeriggio nello studio di Bologna.

 

 

LA FUGA DALLA FINESTRA

“Matteo Cagnoni – sottolinea la dottoressa D’Aniello – non sa ancora se Giulia è nella casa di via Giordano Bruno oppure no. I vigili del fuoco stanno per sfondare una finestra ed entrare e lui che fa? Telefona all’avvocato Trombini. Pensavo che Giulia avesse abbandonato il tetto coniugale”. La PM rimarca l’assurdità di questa affermazione: “A parte che siamo nel 2018 è lui che se ne va da Ravenna e porta con sé i figli. È lui che ha abbandonato la casa di via Giordano Bruno”. Mentre nella notte fra domenica 18 e lunedì 19 settembre 2016 i Falchi stanno effettuando il sopralluogo nella villa di Firenze, Cagnoni fugge da una finestra.

È l’una passata da ventun minuti. L’imputato tornerà alle cinque e 49 minuti e a quell’ora sarà fermato nel giardino della casa paterna. Lui afferma: “Mi sono riconsegnato”. A proposito della fuga Cagnoni si è sempre giustificato parlando di attacchi di panico. Ma secondo la Pubblica Accusa è “inverosimile quello che ha raccontato. Lui vede un commando di 12 persone, a fronte di questo esercito che lo sta cercando ha paura e scappa”. Il poliziotti di fatto sono solo sei, sono in borghese e sono guidati dalla dottoressa Ghizzoni che siccome ha ricevuto la telefonata mentre era fuori servizio e stava per andare a ballare con un’amica si presenta così com’è, con un giacchino guarnito di paillettes. La Pubblica Accusa apre una parentesi: gli attacchi di panico durano 4, 5 minuti, poi si acquista lucidità. La fuga di Cagnoni dura quattro ore. L’attacco di panico è qualcosa di improvviso.

 

 

IN QUELLA CASA, GLI ELEMENTI CHE GRIDANO LA COLPEVOLEZZA DI CAGNONI

Prima di fuggire Cagnoni telefona al proprio avvocato. Spostiamoci nuovamente nella villa abbandonata di via Padre Genocchi dove dice la PM si trovano tutta una serie di elementi “che gridano la colpevolezza di Cagnoni”. Prima però ricostruiamo le ultime ore di vita di vita di Giulia Ballestri. La sera prima del delitto, quella del 15 settembre, la vittima si sente con il nuovo compagno. La mattina dopo devono recarsi insieme a Forlì per portare l’auto a far “bonificare”. Giulia sa che il marito la fa seguire e vuole verificare se nell’auto appunto sono nascosti dei dispositivi di controllo. Sempre la mattina dopo, deve andare nella villa di via Padre Genocchi a fotografare un quadro che il marito vuole vendere. Se ho problemi a liberarmi, dice Stefano Bezzi, trovo la scusa della visita medica a mio padre. Giulia è serena, non nutre particolari sospetti anche perché sa che il venerdì mattina di solito il marito va a Bologna a visitare i pazienti a Villa Toniolo.

Ma quella mattina Cagnoni non ci andrà perché il 14 settembre ha fatto una telefonata per dire che ha un problema di natura familiare. Si è liberato dell’impegno, ma non lo dice alla moglie. La dottoressa D’Aniello incomincia a dare corpo all’aggravante della premeditazione. Quella settimana Cagnoni aveva poi saputo che la vicina di casa sarebbe stata assente. Non ci sono occhi indiscreti, quindi la villa abbandonata di via Padre Genocchi si presta a diventare il teatro dove rappresentare quello che ha in mente. Il 15 settembre una Chrysler come quella dell’imputato, viene immortalata dalle telecamere in via Padre Genocchi dove rimane ferma 7 minuti. Il tempo necessario, ipotizza la Pubblica Accusa, per portare il bastone utilizzato nella prima fase dell’aggressione, l’acqua distillata usata per cercare di ripulire le macchie di sangue (per fare questa operazione l’imputato secondo l’ipotesi dell’accusa tornerà nella casa il 17 settembre), probabilmente un borsone con un cambio di vestiti.

 

 

Il bastone con cui Giulia fu aggredita e colpita

 

LA PREMEDITAZIONE E LA CRUDELTÀ

L’altra aggravante, quella della crudeltà, è insita nel delitto in sé, “nella ferocia dell’azione omicidiaria che rivela un rapporto privilegiato, diretto con la persona”, nell’agonia durata parecchi minuti. In quella che viene denominata la zona rossa, per la densa scia di sangue del corpo trascinato per le scale dal ballatoio fino alla cantina e che delimita l’area si trovano innumerevoli tracce del femminicidio. Un luogo buio, torna a dire la dottoressa D’Aniello. La sua insistenza su questo particolare è tutt’altro che casuale: nella Mercedes classe C dell’imputato viene trovata infatti una torcia imbrattata del sangue di Giulia; l’impugnatura in particolare presenta sia tracce del sangue di Giulia che del dna di Cagnoni.

Ed ancora: le impronte trovate nella casa del delitto. Prima la dottoressa D’Aniello si sofferma su quelle dei palmi della mano destra e sinistra trovati sullo spigolo di muro e sul frigorifero. La prima impronta si trova ad un’altezza di ottanta centimetri circa dal pavimento. “In quel momento l’assassino di Giulia è flesso, sta appoggiando la mano destra con forza sul muro e con la sinistra sta afferrando Giulia per sbatterla contro lo spigolo di muro. Poi l’assassino si alza e si trova il frigorifero di fronte. Possiamo non ricordare – si chiede la PM – che l’imputato è mancino?’”. Più complicato da motivare il tema delle impronte di scarpe trovate nello scantinato. Impronte di scarpe Timberland riconducibili a quelle del padre dell’imputato Cagnoni, scarpe con una soletta speciale perché Mario Cagnoni è leggermente claudicante. Scarpe trovate durante il sopralluogo nella villa di Firenze sopra ad un termosifone anch’esse con tracce del sangue di Giulia.

Ma per il giorno del delitto Cagnoni padre ha un alibi di ferro; era dal dentista con la moglie. Quindi è la tesi della dottoressa D’Aniello, l’imputato sarebbe entrato nella casa con le Hogan che come si vede nel filmato del sistema di video sorveglianza della pasticceria Le Plaisir indossava il 16 settembre e poi avrebbe indossato le Timberland del padre. Nella prima parte della requisitoria un capitolo è dedicato alla borsa bianca indossata da Giulia Ballestri il giorno dell’omicidio. La borsa non è stata mai trovata, come del resto i vestiti che Giulia indossava il 16 settembre e il suo cellulare. Nel filmato del sistema di videosorveglianza della casa di Firenze si vede che Cagnoni prende dal bagagliaio dell’auto un oggetto in casa con il quale entra in casa per poi uscire con l’oggetto bianco messo in un sacchetto per l’immondizia. Vengono mostrati vari fotogrammi e dall’immagine ingrandita appare chiaro che si tratta della borsa Chanel.

Di questo è convinta la PM. Cagnoni prima di entrare velocemente in casa con la borsa guarda in alto, verso la finestra. In casa infatti c’è Rachele “e quella borsa – assicura la dottoressa D’Aniello – l’avrebbe riconosciuta all’istante. Per quello Cagnoni va di corsa e mette la borsa nel sacco dell’immondizia”.

La requisitoria della PM terminerà giovedì 14 giugno. Dopo seguiranno le arringhe delle parti civili. Il 18 giugno le arringhe dei difensori, gli avvocati Trombini e Dalaiti. Il giorno della repliche e della camera di consiglio invece ha subito uno slittamento: non sarà più il 20 giugno, ma il 22.

 

A cura di Ro. Em.

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