Esperimento sulla Shoah in classe a Ravenna: “Chi non è della città, non può più venire a scuola”

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“Chi non è di Ravenna si metta da questa parte”. È iniziato così l’esperimento forte e decisamente toccante a cui un professore di Ravenna, Diego Baroncini, insegnante di lettere in un istituto ravennate ha sottoposto i suoi studenti, per “trasmettere dal vivo” l’insegnamento della storia, in occasione della Giornata della Memoria.

 

Come riporta La Repubblica di Bologna, gli studenti lo hanno guardato con sospetto, ma gli hanno dato ascolto. I non ravennati, poco meno della metà degli studenti di una classe dell’Istituto San Vincenzo de’ Paoli, si sono spostati da un lato e il professore ha continuato dicendo che loro non sarebbero più potuti venire a scuola. “Prof, ma è serio?”, “dai, è uno scherzo”, sono le frasi pronunciate dagli studenti allibiti. Il docente li ha incalzati: “Sono serissimo” e li ha invitati perentoriamente a togliersi orologi, braccialetti, collanine, ma anche gli occhiali, le cinture e le scarpe, o a legarsi i capelli, come se non li avessero più lunghi. Una ragazza tornando verso il gruppo dei “non nati a Ravenna” senza scarpe avrebbe detto: “Non mi sento più io”.

Momenti di imbarazzo e di silenzio. Poi, i non ravennati sono stati spostati verso le finestre, nella parte più fredda della classe, mentre gli altri sono rimasti al calduccio, vicino ai termosifoni. Infine, la rivelazione: “Chi di voi ha capito?”. Tutti avevano capito: “Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando sono stati deportati”. E voi come vi siete sentiti? “A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista”. E ancora: “Ma senza occhiali non vedevo nulla”. Tutti concordano: non è giusto, ovvio. Eppure è stato.

Poi ai ragazzi del gruppo ravennate il professore ha chiesto: “E voi, perché siete stati zitti?”. “Perché lei è il prof”, hanno risposto. “Ma se l’autorità commette qualcosa di atroce voi non dovete tacere. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri hanno reagito con un atteggiamento superficiale”.

A lezione conclusa, il professore ha spiegato che ha potuto tentare questo esperimento forte perchè “c’è un rapporto di fiducia con questi alunni. Ho chiesto prima se se la sentivano di affrontare un esperimento. Due studentesse non hanno voluto e hanno solo assistito. Lo scopo era quello di introdurre il Giorno della Memoria, di arrivare a parlare della Shoah. Ma volevo che ci fosse un’emozione da cui partire per far seguire riflessioni profonde, non retoriche. Da questo senso di estraniamento, spogliandosi alcuni di ciò che li fa riconoscere in se stessi e gli altri guardando gli amici privarsi di quanto li rende riconoscibili, abbiamo così cominciato il nostro lavoro sulla memoria”.
 

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