Andrea Di Palma racconta la disavventura in Messico: “Quando ho visto il sangue ho pensato fosse finita”

Dopo la disavventura, finalmente il ritorno a casa: è rientrato sabato notte in Italia Andrea Di Palma, il 42enne pilota Rov dipendente di Micoperi, ferito con un colpo di arma da fuoco durante l’attacco pirata alla nave Remas nel Golfo del Messico, nel quale è rimasto ferito insieme al collega Vincenzo Grosso.
Dal divano di casa, dove ora è costretto a passare un lungo periodo di convalescenza, ci racconta tutto dall’inizio, partendo da quei maledetti concitati minuti dell’attacco, fino alle cure.

“Ero sulla nave da appena una settimana – ricorda Andrea -, ci trovavamo all’àncora a circa 2 km da Città del Carmen e stavamo preparando la nave per raggiungere la zona di lavoro. Purtroppo la nostra posizione deve averci reso una preda facile per il gruppo di delinquenti. Verso le 8 di sera di lunedì 11, finita la cena, mi trovavo nella saletta della mensa, dove c’è un angolo computer ad uso pubblico, giusto alle spalle della sala TV. Con me c’erano anche uno steward e una hostess messicani che stavano finendo di riassettare la stanza”.

“Ad un certo punto – continua – ho sentito delle grida, ma in un primo momento ho pensato provenissero dalla TV accesa nella sala accanto o che qualcuno stesse litigando, tanto più che i due inservienti non sembravano essersi accorti di nulla. Siccome però le voci concitate continuavano, sono uscito sul corridoio per capire che stesse succedendo”.

E lì si è trovato faccia a faccia con il gruppo di pirati, arrivati a bordo della Remas con dei barchini da poppa. Si dovevano essere arrampicati senza dare troppo nell’occhio, perché a quell’ora la nave è piuttosto tranquilla, c’è solo il marinaio che fa il giro di guardia e un uomo solo è facile da immobilizzare. Vincenzo Grosso, il marinaio di ronda appunto, è stato il primo ad accorgersi degli intrusi: 4 o 5 persone che lo hanno subito minacciato con le pistole, cercando di bloccarlo perché non potesse lanciare l’allarme. Nonostante le botte e la minaccia delle pistole, Grosso è però riuscito a correre per qualche metro, fino alla zona sopra coperta, gridando per far accorrere il resto dell’equipaggio. È proprio a questo punto che si inserisce l’arrivo di Di Palma.

“Appena aperta la porta che dà sul corridoio – continua il racconto di Andrea – mi sono trovato di fronte tre o quattro persone con passamontagna o bandana neri fino agli occhi. Loro si sono girati, mi hanno visto e hanno cominciato a correre verso di me. In un istante ho capito che non si trattava di gente di bordo e istintivamente ho richiuso la porta, trattenendo la maniglia verso l’alto perché non potessero entrare. È stata questione di istanti: il tempo di pensare “vado verso la cucina” e ho sentito il botto dello sparo; guardando in basso, ho visto il buco nella porta e poi le mie gambe ferite. Quello è stato in assoluto il momento in cui me la sono vista peggio. Ho fatto qualche passo per allontanarmi e poi sono caduto a terra per le ferite. Loro sono entrati e mentre mi tenevo una mano sulle gambe e una sugli occhi ho pensato che fosse tutto finito, che sarebbero arrivati per finirmi. Ho sentito qualcuno che mi ha tastato la tasca posteriore dei pantaloni, forse alla ricerca del portafoglio, poi, prima che se ne andassero, ho il ricordo di averne visto un altro prendere uno straccio dalla cucina e legarmelo attorno alla gamba a mò di laccio emostatico. Io ero in un lago di sangue”.

Un gesto, quello da parte dei ladri, probabilmente dettato anche dalla paura di aver “passato il limite”: il Messico è un Paese con gravi problemi di criminalità, che entro certi confini viene anche, se non proprio tollerata, quanto meno sottovalutata. Un conto è rapinare una nave, un altro è sparare ad un uomo, cittadino straniero, col rischio di ferirlo seriamente o peggio. A quel punto si apre un caso diplomatico e si mette a rischio la collaborazione tra il Messico e le tante aziende straniere che lavorano nell’area. Forse per questo, il tentativo di tamponare la ferita di Di Palma e la fuga, subito dopo.

Si sono susseguiti poi attimi di panico perché le urla e lo sparo hanno svegliato l’intera nave. Vincenzo Grosso nel frattempo era riuscito a raggiungere la plancia della nave per dare l’allarme e non trovandolo più in giro si era anche pensato che fosse finito in mare. Allertati gli ufficiali a bordo è partita poi la richiesta d’aiuto che ha fatto arrivare nel giro di poco la barca di supporto di Micoperi e quella della Marina Militare Italiana in soccorso: nel giro di 20 minuti i due feriti e un collega che parlava spagnolo sono arrivati a terra, direzione ospedale.

“Inizialmente avevo pensato di essere stato colpito di striscio nella gamba destra e a fondo nella sinistra – ricorda Di Palma -. Ma il sangue era talmente tanto che non riuscivo a vedere le ferite. In ospedale a Città del Carmen mi hanno invece comunicato che la destra era stata trapassata, mentre le lastre alla sinistra confermavano che la pallottola si era incastrata nell’osso”.

La mattina successiva è arrivato a Città del Carmen anche Fabio Bartolotti, vice presidente di Micoperi, che da due anni vive in Messico con la famiglia per curare l’espansione dell’azienda nel Paese centroamericano: “Lui ha disposto tutto per il mio trasferimento immediato a Città del Messico, in una clinica di eccellenza – aggiunge -. Mi sono venuti a prendere con l’ambulanza e una equipe medica dedicata, per condurmi all’aeroporto, dove mi aspettava un jet privato per portarmi alla capitale. Dopo 24 ore ero già seguito dai migliori specialisti disponibili. Il problema principale inizialmente era scongiurare l’infezione e appurare che il sistema circolatorio non avesse subito conseguenze irreparabili, tali da dare problemi di deambulazione. Fortunatamente così è stato. Diciamo che mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma poteva davvero finire peggio: bastava che il proiettile mi colpisse un centimetro più in alto e prendeva l’arteria femorale, o peggio ancora, che arrivasse al petto. Ora forse non sarei qui a raccontare questa disavventra”.

Nelle tre notti a Città del Messico è stato controllato nuovamente da cima a fondo: qui gli hanno sistemato un tutore alla gamba sinistra, che non può piegare né appoggiare ma, una volta appurato che il pericolo di infezione era sotto controllo e che le perdite di sangue dalle ferite si stavano riducendo, il primario ha disposto la dimissione e la possibilità del rientro a casa.

“Il giorno successivo mi hanno prenotato un volo in business class, in modo da poter tenere la gamba distesa e sabato notte alle 11 ero a Bologna, dove ho finalmente potuto riabbracciare mia moglie e mio figlio. Assieme a loro c’erano anche Fabio e Rossella Bartolotti, che non avrò mai modo di ringraziare a sufficienza per il trattamento che mi hanno riservato”.

“Ieri mi sono preso un giorno di tranquillità per riposarmi in casa con la mia famiglia, ma già oggi ho il primo appuntamento con il primario di ortopedia dell’ospedale di Ravenna, il dott. Belluati, per vedere se ci confermerà quanto hanno disposto i medici messicani: secondo loro è più prudente lasciare la pallottola in sede e far calcificare la ferita, piuttosto che rimuoverla”.

La nave Remas nel frattempo è rientrata in porto ed è ora sottoposta ad indagini a livello federale. I marittimi che erano imbarcati stanno nel frattempo rientrando poco a poco in Italia.

Commenti

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  1. Scritto da Fino

    In bocca al lupo