Stefano Falcinelli (Ordine Medici Ravenna) su tamponi rapidi: “Si facciano in postazioni drive through, con medici delle USCA”

Nella corsa ad arrestare la crescita esponenziale della curva dei contagi, l’ultima “arma” è quella dei cosiddetti “tamponi rapidi antigenici”, che danno risultati in soli 15 minuti, permettendo un veloce isolamento dei casi positivi. Parrebbe un passo in avanti notevole nella diagnosi rapida dei casi di Covid-19, ma presenta diverse insidie. Prima fra tutte, il fatto di essere un test a bassa sensibilità e alta specificità, cioè in grado di rilevare con certezza i negativi al virus, ma non con altrettanta chiarezza chi è positivo. Il test ricerca infatti gli antigeni e non l’RNA virale (a differenza del tampone molecolare vero e proprio, col quale condivide le modalità di esecuzione). Dunque, se non ce ne sono, di certo non si è incontrato il Sars-Cov-2, ma se si trovano, potrebbe essere frutto di una positività passata e ormai risolta. Un accordo sottoscritto con i medici di medicina generale, che ha generato accese discussioni tra gli addetti ai lavori, prevede che questo tipo di tampone si possa eseguire dal pediatra o dal medico di famiglia, ma i dubbi sono tanti. Ne abbiamo parlato con il dottor Stefano Falcinelli, presidente dell’Ordine dei Medici di Ravenna.

L’INTERVISTA

Perchè è complicato eseguire questi tamponi rapidi negli ambulatori dei medici?

Intanto va detto che servono a fare screening, più che diagnosi in senso stretto. In questa fase difficile per la vita del Paese, tutti dobbiamo fare la nostra parte e i medici di medicina generale sono a disposizione. È però impensabile eseguirli nei loro studi. Ci sono dei problemi di ordine pratico, legati al fatto di riuscire ad organizzare l’accoglienza per i pazienti ordinari da tener distinti dai potenziali casi Covid; inoltre il medico dovrebbe avere una dotazione di protezioni fatta di camici, guanti e visiere. Noi siamo disponibili ad essere coinvolti nell’organizzazione del servizio, meno nella realizzazione.

Dove e da chi dovrebbero quindi essere eseguiti?

Dovrebbero essere svolti in momenti diversi dall’attività ambulatoriale, ma anche in spazi diversi e da personale diverso. Cè una trattativa regionale e locale in corso per capire come gestirli. I medici di famiglia sono in affanno per la mole di lavoro da affrontare, tra visite ordinarie, vaccini antinfluenzali, emergenze cliniche per il Covid, senza contare tutte le pratiche burocratiche per certificati e quant’altro. Se ci mettiamo anche i tamponi, come si fa? Per questa attività di screening penso più a giovani colleghi, adeguatamente formati e protetti, come quelli dell’area USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale, n.d.r.), che colgo l’occasione per ringraziare per il prezioso lavoro che stanno egregiamente svolgendo. Sul dove, perché non farli dove già si fanno i tamponi drive through?

Come sta andando la campagna antinfluenzale? Siete riusciti a coprire tutte le categorie a rischio?

Aver cominciato a vaccinare ad ottobre, prima del solito, e ampliando il bacino dei potenziali utenti (l’età dei beneficiari è stata abbassata da 65 a 60 anni, n.d.r.) è stata un’iniziativa lodevole da parte della Regione, che però si è poi dovuta scontrare con le dosi effettivamente disponibili. L’invito a vaccinarsi ha colto nel segno: quest’anno ci sono state molte più richieste e anche molti ultra 70enni che magari negli anni scorsi rifiutavano il vaccino, quest’anno ci hanno ripensato e si sono vaccinati. C’è stata una maggiore richiesta e le dosi sono praticamente finite. Ci sono però novità positive: entro la fine del mese dovrebbero arrivare altri vaccini di tipo adiuvato, quelli più adatti per i pazienti anziani, mentre quelli quadrivalenti dovrebbero essere reperiti con una fornitura in arrivo dall’estero. Siccome la vaccinazione va fatta entro dicembre, siamo ancora perfettamente in tempo per completare il programma. Credo invece che ci saranno più problemi per la fornitura delle farmacie, dove si comprano le dosi per le persone non ricomprese nelle categorie a rischio.

Si è parlato molto, fin dai primi mesi della pandemia, della fatidica “seconda ondata”, si aspettava che sarebbe stata così violenta?

In effetti no. Mi aspettavo un ritorno del virus, ma non così forte. Forse il virus è mutato, è diventato più contagioso. Ci sono articoli scientifici che ne parlano. Nella prima fase siamo stati abbastanza risparmiati in confronto ai Paesi intorno a noi, ora sembra che i ruoli si siano invertiti. Siamo oggettivamente un po’ più in crisi, il sistema sanitario è in affanno, ma credo che se ci daremo una mano tutti, se ognuno farà la sua parte, riusciremo a farcela.

Cosa pensa delle norme contenute nell’ultimo DPCM?

La curva dei contagi si è impennata, servivano severe misure di contenimento. Tutti i nostri sforzi devono essere concentrati nel non aggravare la situazione attuale. Il decreto ha un valore in sé, perché con tutte le chiusure e limitazioni orarie delle attività invita a limitare più possibile i contatti, ma io confido che abbia anche valore di tipo psicologico: che induca cioè le persone a tenere comportamenti anche più rigorosi di quelli previsti dal decreto stesso. Sappiamo che c’è sempre una “latenza” per vedere la reazione alle norme introdotte, tra una quindicina di giorni vedremo come i cittadini avranno risposto.