CAMPANELLE FEMMINISTE / 2 / Insicuro e fragile, il marito di Elisa coltiva la gelosia, colpevolizza la moglie e la zittisce per sempre

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5 marzo 2021, seconda udienza in Corte d’assise a Ravenna per il femminicidio di Elisa Bravi. Aula semideserta. Toni dimessi da tristezza pandemica.

Poi ecco la prima Campanella Femminista.

Dlin.

Ha tintinnato al suono della voce di una donna. Quella di Antonella Mescolini, la mamma di Elisa, la nonna delle due bambine.

Una voce chiara e sicura, determinata, di una donna che le rappresenta tutte e tre, perché non possono essere presenti in aula. Elisa è stata uccisa dal marito e le bambine hanno diritto all’assenza. Una voce che non si incrina neppure un momento perché la commozione e il dolore hanno ben altri luoghi in cui fluire.

Oggi serve tutto il coraggio e la forza che ha per raccontare una storia che si svolge dai primi d’ottobre al 19 dicembre del 2019, ricostruita attraverso le parole delle assenti, Elisa e le sue due figlie. A partire da quelle delle piccole.

La Campanella risuona con un terribile fragore. Pare voglia coprire il racconto che inizia la notte fra il 18 e il 19 di quel dicembre. Il risveglio provocato dalle urla che vengono dalla camera dei genitori. La corsa per scoprire il perché delle urla. L’impotenza di fronte alla violenza del loro padre sul corpo della mamma.

Ogni rintocco un’immagine che le impietrisce. Le inchioda sul posto.

La legge, il cosiddetto codice rosso, definisce “violenza assistita” quella subita dai figli minorenni in famiglia. La considera una aggravante di pena per il maltrattante anche nei casi in cui la violenza sia solo intuita o respirata nella quotidianità familiare. In questo caso addirittura quella violenza è stata vista e udita. Indimenticabile pertanto. Un’aggravante che dovrebbe entrare nella pena a pieno diritto per un danno irreparabile. Invece non è neppure fra i capi di imputazione nel processo contro Riccardo Pondi, il padre.

Attenuiamo i battiti del cuore per riprendere l’ascolto della narrazione di Antonella Mescolini. La storia del dominio di un uomo contro la moglie che si conclude con un femminicidio. Una storia che parte dalla fine.

Elisa finalmente ha un lavoro stabile e a tempo pieno al quale si applica con forza e determinazione. Il suo datore di lavoro pensa che lei sia una “risorsa sulla quale l’azienda poteva investire”. Elisa ci tiene tantissimo alle sue figlie, al marito e alla casa. Si barcamena per far tutto. Lo fa da donna forte qual è.

I primi di ottobre il marito inizia un corso per diventare vigile del fuoco. Tre giorni a Roma, per gli accertamenti psicofisici. Ottenuta l’idoneità, il corso prevede tre mesi di addestramento a Bologna. Ne consegue un allontanamento da casa, che seppur per un breve periodo, diventa un grosso problema per lui.

La violenza in quella famiglia si sviluppa lentamente attraverso tutti i meccanismi classici.

Dlin.

Incomincia con la svalutazione di Elisa. Il marito non ha molta stima in lei, “non la riteneva sufficientemente intelligente per quel lavoro e credeva che il posto l’avesse avuto per altri motivi, mentre Riccardo non emergeva nel lavoro”. Vuole che la moglie stia a casa ad occuparsi delle bambine perché lui deve studiare. Il marito inizia a dimagrire. È insonne.

Dlin.

Il senso di colpa s’insinua nei pensieri di Elisa che pensa di lasciare il lavoro, ma la madre le va incontro: “ho preso io un part time per aiutarla”. Elisa trova un po’ di sicurezza “se lascio il lavoro le cose tornano a posto, ma come donna devo guardare al futuro economico anche delle bambine.”

Dlin.

Rivendica così il suo diritto all’autodeterminazione, anche se riconosce che il marito “non è in lui ma in fondo mi fa tenerezza”. E con tenerezza, per dimostrargli quanto tiene a lui, gli propone un fine settimana alle terme, ma il marito non è contento, la assilla con l’accusa di tradirlo col suo datore di lavoro. A nulla serve che lei dica che lo ritiene solo una figura paterna, che ha fiducia in lei.

Dlin.

Lui non le crede, ritiene che lei gli nasconda qualcosa, lei gli risponde che “era tutto frutto della sua fantasia”. Elisa è preoccupata, “sperava che alla fine del corso tutto si sarebbe sistemato, altrimenti…” Mamma Antonella la rassicura: “La nostra casa è sempre aperta”.

Per completare la storia, a conferma delle circostanze che portano al femminicidio, intervengono altri testimoni. Elisa non si arrende. Per recuperare il legame col marito, lo convince a consultare una psicoterapeuta di coppia. Le sedute però non durano a lungo: “Non voleva più andarci perché lo riteneva uno spreco di denaro, mentre lui aveva solo bisogno di parlare. Inoltre si sentiva screditato e messo da parte”.

Dlin. Dlin.

Insicuro e fragile, il marito coltiva la gelosia e il sospetto cercando prove del tradimento. Si appropria del cellulare di Elisa per controllare i messaggi, le telefona parecchie volte al giorno, la assilla con continui messaggi vocali “Che fai? Con chi sei?”, per poi non credere alle risposte. Cerca di farsi aiutare dai colleghi del corso per confrontare connessioni su whatsapp con altri cellulari, trovare tracce di intercettazioni nel proprio apparecchio, ingaggiare un investigatore privato.

Anziché pernottare in caserma, come da regolamento, ogni notte torna a casa. Non sempre però, una notte, viene detto in aula, Pondi aveva dormito da una amica (??!!), ma la circostanza non viene approfondita per volere della Corte. Il suo bisogno di attenzione, simile a quella di un bambino, lo rende di malumore, gli procura malessere se in casa ci sono troppi amici.

Dlin.

I tentativi di colpevolizzare la moglie s’arrampicano come ragni. Come quando sostiene che il sudore delle mani sia il veleno che lei gli ha propinato e che sta uscendo dal suo corpo e prega Elisa di dargli l’antidoto! Non può andare avanti così, Elisa non ne può più, gli dice di farsi curare. Di lasciarla dormire. È stanca.

Dlin.

Quella notte fra il 18 e il 19 dicembre  del 2019, il marito le impone il silenzio. L’ha zittita per sempre.

Improvvisamente in aula risuona forsennata un’altra Campanella.

A pochi minuti dal termine dell’udienza, dopo una camera di consiglio durata una manciata di minuti, la Corte decide di predisporre una perizia psichiatrica sul femminicida per accertarne la capacità di intendere e volere al momento del delitto e valutare la sua attuale pericolosità sociale. Eppure in nessuna delle diciassette testimonianze di oggi è emerso questo sospetto. Anzi. Sono stati raccontati fatti e litigi frequenti nella quotidianità di molte coppie, sopraffazioni che le donne sopportano per amore dei figli.

Le sopraffazioni, i maltrattamenti, le violenze psicologiche, fisiche ed economiche discendono dalla cultura patriarcale sulla quale si regge la maggior parte delle relazioni fra uomo e donna. Quanti partner di sesso maschile dovrebbero essere sottoposti a preventiva consulenza psichiatrica prima di iniziare un rapporto di coppia? Gli uomini sono tutti, o quasi, potenzialmente femminicidi? Sono quasi tutti matti?

Nel caso di Pondi nessuno si era accorto che lui avesse una patologia psichiatrica. Incompetenti quindi la psicoterapeuta di coppia, che l’ha definito stressato? Incompetente la commissione di Roma per la valutazione psicofisica dei corsisti dei vigili del fuoco, che l’ha definito idoneo? Incompetenti i medici del pronto soccorso del Sant’Orsola di Bologna, che dopo il femminicidio di Elisa, gli suturano solo una banale ferita al capo? Incompetente il medico di base che gli prescrive solo qualche vitamina?

Le luci si spengono.

Resta il tintinnio di due voci bambine.

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