L’ospedale di Ravenna e la pandemia, tra nuovi spazi e riorganizzazioni. Il punto con la direttrice sanitaria, dott.ssa Bravi

L’ospedale di Ravenna è un grande ospedale da 522 posti letto, che copre un bacino ampio, accogliendo per alcune specialità in particolare, pazienti provenienti ben oltre il distretto cittadino. La prima ondata di Covid 19, quella di marzo 2020, ne ha stravolto l’organizzazione. Tutti ricordiamo le migliaia di prestazioni sanitarie saltate, alcuni reparti chiusi per dirottare il personale sulla gestione dei casi Covid, o per la diffusione del contagio. Ma è stata soprattutto la seconda ondata, in ottobre 2020 e poi la terza a gennaio-febbraio 2021 ad aver picchiato duro, con centinaia e centinaia di nuovi casi giornalieri, che in parte approdavano al pronto soccorso, costringendo la struttura a fare i conti con la gestione della pandemia, senza mollare il lavoro ordinario, in spazi e contesti che si sono dimostrati spesso inadeguati, sia ai flussi che alle caratteristiche dell’utenza: malati infettivi, anziani, persone vulnerabili.

Dopo uno “sbandamento” iniziale, ben sottolineato dai disagi riportati dall’utenza, soprattutto nell’accesso al Pronto Coccorso, l’ospedale ha dimostrato però anche la capacità di osservarsi, cogliere le criticità e riorganizzarsi. Il covid è stato un po’ un banco di prova, un’opportunità per ripartire, meglio di prima.

Di Covid ma anche di riorganizzazione di spazi e percorsi all’interno dell’ospedale di Ravenna, abbiamo parlato con la dottoressa Francesca Bravi, direttrice sanitaria del presidio ospedaliero ravennate, in carica da appena 4 mesi.

L’INTERVISTA

Dottoressa Bravi, qual è il punto ad oggi dei casi Covid ricoverati in ospedale. Quanti pazienti, tra reparti e terapia intensiva?

Ad oggi abbiamo 20 pazienti ricoverati a Ravenna, covid positivi. Nessuno di questi è in terapia intensiva, dove comunque sono disponibili 12 posti letto, 6 “puliti” e 6 “covid positivi”. I casi sono quasi tutti distribuiti tra i due reparti che abbiamo deputato ad affrontare l’emergenza Covid 19, in un’ottica di interdisciplinarietà e integrazione. La gestione è organizzata così: dal pronto soccorso, il paziente a “bassa intensità” di cura, cioè quello che necessita di cure ospedaliere ma non intensive, viene accolto in Malattie Infettive, il primo reparto chiamato a rispondere all’emergenza e l’ultimo che chiuderà il cerchio della pandemia. Se la malattia progredisce e servono cure semintensive, subentra la Pneumologia, dove abbiamo 8 posti letto Covid dedicati.

Nel picco dell’emergenza, quando avevamo anche 10-15 accessi giornalieri in Pronto Soccorso di pazienti positivi, quasi tutti da ricoverare, abbiamo utilizzato anche una delle due Medicine, trasformata in reparto Covid, che ad oggi è quasi completamente “pulita” e i 32 posti letto chirurgici del quinto piano, oggi rientrati alle loro funzionalità.

Il trend di positività sta massicciamente scendendo: entro l’estate ci aspettiamo che l’unico “setting” dedicato al Covid possa essere il reparto di Malattie Infettive.

Quanto hanno impattato la seconda e la terza ondata sull’organizzazione dell’ospedale?

Il numero di nuovi casi Covid impatta in maniera importante sull’ospedale: durante la terza ondata in particolare, abbiamo avuto importanti afflussi in Pronto Soccorso, fino a 180 al giorno, in maggioranza per patologie non covid correlate. Per gestire la situazione, abbiamo convertito una delle due Medicine interne in area Covid, lasciando l’altra, quella diretta protempore dalla dottoressa Sama, a lavorare sui pazienti “puliti”, in diretto rapporto con il reparto di “admission-discharge”, i famosi 28 posti letto attivati a gennaio.

La Medicina deputata al Covid è stata quella diretta dal prof. Domenicali, con 60 posti letto dedicati ai positivi e una zona di basso rischio, che ha gestito fino a 18-20 posti letto per quei pazienti che necessitavano ancora di ossigeno e dunque non potevano tornare al domicilio.

La strategia è stata quella di lavorare in squadra: anche durante la terza ondata pandemica, non abbiamo interrotto gli interventi chirurgici, rispondendo soprattutto alle urgenze, alla chirurgia oncologica e alle gravi patologie che necessitano di essere affrontate in tempi rapidi. Per riuscirci, abbiamo sfruttato anche i 4 posti letto di terapia intensiva della “recovery room” dentro il blocco chirurgico.

I posti letto in Pronto Soccorso inaugurati a gennaio hanno risolto i problemi?

Si tratta di 28 posti letto, che abbiamo chiamato di “admission-discharge”, cioè un luogo dove tenere in osservazione breve intensiva pazienti non covid, che potevano venire stabilizzati, risolvendo le sintomatologie acute per cui si erano rivolti al Pronto soccorso, prima di essere dimessi, oppure per fornire le prime cure e inquadrare adeguatamente i pazienti, prima di indirizzarli al ricovero in reparti adatti alle loro patologie. Con questi 28 posti letto, oltre a garantire maggiore confort ai pazienti, si è riusciti a saltare il passaggio che spesso prima si faceva in Medicina, in attesa di trovare un letto nel reparto giusto.

Si può dire che sia un luogo di cure di transizione e svolga un ruolo di “cerniera”, sia con i reparti, dunque verso l’interno dell’ospedale, sia con l’assistenza territoriale, anche sociosanitaria, dunque fuori dal nosocomio. Sono molti i bisogni di chi si rivolge al pronto soccorso e non sempre o non solo di cura sanitaria. Qui abbiamo modo di inquadrare le esigenze, dare risposta medica e orientare il paziente verso il percorso di cura più adeguato, offrendo una presa in carico globale.

Stiamo anche svolgendo uno studio epidemiologico di popolazione, in collaborazione con l’Università di Bologna, per comprendere i bisogni degli utenti che si rivolgono a noi, in particolare i cosiddetti “revolving door”, quelli cioè che entrano ed escono spesso dal pronto soccorso. È un progetto sperimentale, iniziato a gennaio, che durerà per tutto il 2021 e ci porterà a gestire l’ospedale, a partire dalla sua porta d’ingresso, il Pronto Soccorso, seguendo percorsi di cura pensati sulla base delle esigenze dei pazienti. È un progetto molto ambizioso, ma al quale teniamo molto.

Ci sono stati reparti chiusi a causa dell’epidemia o prestazioni sanitarie bloccate?

L’unico reparto che è stato chiuso è quello chirurgico del 5° piano, con 32 posti letto, riconvertiti in area covid tra gennaio e metà aprile. Qui si fa una chirurgia generale di alta complessità, a direzione universitaria, in stretto contatto col Campus e la facoltà di Medicina e Chirurgia. Da aprile, contestualmente alla riapertura, è diretto dal dott. Ugolini.

Durante la terza ondata abbiamo avuto bisogno soprattutto di aree per le cure semintensive, che abbiamo creato all’interno di altre aree mediche, anche sottraendo spazi alla Chirurgia, che in totale, dispone di circa 100 posti letto.

Non ci sono stati invece sospesi di prestazioni ambulatoriali, come a marzo 2020. Abbiamo continuato ad erogare un’offerta importante di servizi, anche se non piena, per garantire l’applicazione dei protocolli anticovid, relativi al distanziamento e alle sanificazioni. Questo ha avuto un impatto sul numero di visite giornaliere, è ovvio, ma più che di prestazioni inevase parlerei di dilazione dei tempi.

Come funzionano le visite e l’assistenza ai pazienti ricoverati?   

Anche nel pieno della pandemia e anche con i pazienti covid positivi, si è sempre valutato caso per caso: per persone con fragilità estreme o problemi cognitivi per esempio, abbiamo comunque garantito uno spazio di visita, sebbene con tutte le precauzioni del caso.

Nel resto dei casi, ogni Unità Operativa ha dedicato dei momenti di ascolto e feedback al parente, con il medico che quotidianamente si mette in contatto con i familiari per riportare il progredire della situazione.

Ora, considerato anche che la situazione epidemiologica è in netto miglioramento, siamo in attesa delle nuove linee guida regionali sulle visite, che dovrebbero uscire a brevissimo. In futuro, immagino che diventerà dirimente la vaccinazione.

La campagna vaccinale, dopo le difficoltà iniziali, dovute soprattutto alla carenza di vaccini, sta ora procedendo a spron battuto. Cosa temete succeda dopo l’estate, vi aspettate comunque una quarta ondata o i vaccini dovrebbero porre fine alla circolazione pandemica del virus?

Difficile fare previsioni, sarà importante mantenere il tracciamento e l’isolamento di chi si ammala e chi sta vicino a chi si ammala. Il tema vero sarà capire qual è l’adesione alla campagna vaccinale sul nostro territorio.

Che per ora sembra piuttosto alta, dico bene?

Questo andrebbe contestualizzato meglio con chi si occupa di sanità pubblica, io posso dire che la quota degli ultra ottantenni e ultra settantenni che vedevamo prima in Pronto Soccorso malati di Covid non li vediamo più. Laddove c’è stata un’adesione importante alla campagna vaccinale si vedono i risultati.  Si tratta ora di vedere le fasce dei 50-60, dei 40-50  e dei più giovani come si comporteranno, perché con il ritorno in autunno alla vita nei luoghi chiusi, il virus che non sarà scomparso, tenderà a tornare in circolo. Se saremo protetti dai vaccini, avrà vita più dura.

Come vengono trattati i casi di “Long Covid”, cioè quella sindrome post malattia che in alcuni casi si protrae per mesi, con disturbi anche importanti?

I nostri professionisti fanno dei follow up, ma quando ritornano al domicilio è il medico di medicina generale che li segue da vicino e li monitora. Poi se c’è bisogno si fanno degli approfondimenti, sia riabilitativi che di natura psicologica, perché questi pazienti spesso risentono di disturbi del sonno e dell’umore, per esempio, che perdurano nel tempo e inficiano la qualità della vita.

A fine maggio era stata annunciata la partenza dei lavori al Pronto soccorso: quanto si dovrà ancora aspettare?

Noi abbiamo fatto il progetto nei tempi che ci sono stati chiesti, prima ancora della scadenza che ci era stata fissata, ora la partenza dei lavori non dipende più da noi. Ci siamo concentrati sul capire quali erano le criticità, facendo analisi dei numeri, dei volumi e dei bisogni. Mi aspetto che si inizi celermente.

Ultimamente si parlato molto anche di un’altra novità per l’ospedale ravennate, la Palazzina materno infantile. Cosa ci può dire in proposito?

Abbiamo aperto un’importante dialogo con la Regione, spero che presto sapremo dire di più. La palazzina del Materno infantile sarebbe una risposta a tutto tondo ai bisogni di questa fascia di utenza, dal momento della nascita fino all’età pediatrica e, perché no, anche all’adolescenza, con tutti i disturbi che, come sappiamo, sono anche aumentati con la pandemia. D’altronde, abbiamo più di 1.500 parti l’anno, circa 10mila accessi in pronto soccorso pediatrico e 5mila in quello ginecologico all’anno, sono numeri importanti che richiedono una visione d’insieme.

Stiamo facendo uno studio di fattibilità, che conto sia pronto per agosto, coinvolgendo tutti i professionisti dell’ospedale, dal direttore del dipartimento Maternità infanzia, al responsabile della Ginecologia, ma anche della Neuropsichiatria infantile, la direttrice del Distretto, perché ci siano attorno al tavolo tutti, compreso l’ufficio tecnico, gli ingegneri e gli architetti, perché questa palazzina deve pensare al futuro, essere integrata sia con l’interno che con l’esterno, con la città. Rispetto ai numeri che abbiamo, dobbiamo offrire una visione d’insieme nuova, di presa in carico a 360 gradi.

Avere un luogo, non soltanto dell’assistenza, ma quanto più possibile contiguo al Campus, consentirebbe di mettere in sinergia anche l’aspetto della formazione e della ricerca, per rispondere al meglio ai bisogni della popolazione. Sarebbe la ciliegina sulla torta, dopo i lavori del Pronto Soccorso, delle Chirurgie, della Terapia Intensiva.

Il nostro servizio sanitario nazionale ha bisogno di essere valorizzato, il Covid è stato uno stress test, ci ha fatto capire che c’è bisogno non soltanto di risorse umane, di valorizzare i  professionisti, ma anche di avere luoghi di cura, dove riuscire a dare messaggi che vanno al di là della gestione del dolore e della sofferenza. Che siano luoghi calati all’interno di una città, di un ambiente, che riescono a rispondere alle esigenze di umanizzazione delle cure e di risposte a 360° gradi.

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di RavennaNotizie, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

  1. Scritto da Maria

    Per favore iniziate subito ad operare, già prima del 2020 si doveva aspettare 1 anno per un intervento, ora c’è gente che ha veramente bisogno. Grazie.

  2. Scritto da batti

    maria i medici sono stati al fronte nell inverno, quando noi eravamo disperati per il ristorante loro erano in “baracca”adesso che è calata vogliamo metterli sotto ancora, penso che le ferie dovranno farle pure loro, visto che era una priorità per quelli costretti al divano

  3. Scritto da Bi

    Io chiederei scusa e basta x il nuovo pronto soccorso che e da rifare x i pazienti aancora oggi in barelle x ore ed ore x i medici che preferiscono altre realta per una incapacita organizzativa progettare spazi senza chiedere a chi li utilizza e senza senso