DOMINANZE PATRIARCALI / 2 / La seconda udienza del processo, un femminicidio costruito come un film… Dalla parte di Ilenia, non si può più minimizzare

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21 ottobre 2021, Corte d’Assise di Ravenna per il processo per il femminicidio di Ilenia Fabbri. “Ti stacco la testa dal collo”, è diventata un’ossessione. Frulla nella sua mente già dal 2017. Si sente un grande stratega. Ha già in testa il soggetto. Lui sarà lo sceneggiatore e il regista. La trama è un femminicidio.

Per il casting, già due donne le possiede. La sua ex moglie e la figlia. La vittima, è chiaro, è la sua ex. Sua sì, perché nonostante la separazione, è ancora sua e se non vuole stare ai suoi ordini, tipo non chiedere ciò che le è dovuto per il lavoro che non le è mai stato pagato, deve essere eliminata. La figlia, ah la figlia, anche lei è sua. Lui stravede per lei, tutto farebbe per lei. Può usarla a suo piacimento, sarà la co-protagonista.

Quattro anni ci impiega a scrivere la sceneggiatura. Gli manca un attore. Di far la parte del femminicida non ci pensa neppure. Lui è il regista e non vuol metterci la faccia. Potrebbe perderla agli occhi della figlia. Deve restare dietro le quinte. Serve un maschio, un uomo forte, alto, ben piazzato. Un picchiatore professionista. Un killer. Potrebbe cercare spunti guardando qualche trasmissione tv o delle serie crime. Chiede consigli in giro, scoprendo i propri intenti, ma nessuno si allarma. È solo un film. Un pensiero su pellicola. Con 20 mila euro e un’auto usata, un killer disoccupato si trova facilmente se si sa dove cercare. Infatti, eccolo pronto, fra una carcerazione e l’altra.

La location del set è già pronta. La conosce bene, ci ha vissuto per anni quando lui, la sua ex e la bambina ci abitavano. Sa come sono disposte le stanze, chi dorme dove, come si aprono le porte, dov’è il garage, sa che basta salire le scale, andare al piano superiore dove dorme la sua ex. E zac! Fatto!

Avevano già fatto due prove. La prima il 7 febbraio ‘19. La seconda il 30 ottobre del ‘20. Si era procurato un alibi andando a Roma una volta e in Sicilia l’altra. Ma le prove falliscono miseramente, perché il killer non aveva studiato la parte e non si era orientato bene sul set. Passò come tentativo di furto andato male. E le carte finirono in archivio.

I tempi cominciano a stringersi, fra venti giorni inizierà la causa per il risarcimento che l’ex moglie ha chiesto. Ora c’è da costruire la trama. Innanzitutto l’alibi, se davvero non vuol metterci la faccia, lui deve stare lontano dal set, il luogo del femminicidio. Deve avere un testimone a fianco. Sua figlia serve a quello. La alletta con un’auto per lei da ritirare a Lecco. Quando l’ex sarà stata eliminata, senza che nessuno sospetti di lui, avranno tutta la casa per loro. La causa per il risarcimento sarà annullata. Saranno felici e contenti, solo lui e la sua adorata figliola. Non resta che allontanare anche lei dal set. La sua ex deve, DEVE rimanere in casa da sola. Non ci devono essere testimoni.

Stavolta il killer è stato meglio istruito e ha le chiavi di casa. Per sicurezza si porta dietro il manico di un martello, per non farsi cogliere impreparato stavolta. E per nascondere il corpo è già pronto l’acido per renderlo irriconoscibile, un trolley per metterlo dentro e una buca per seppellire il tutto. È il 6 febbraio 2021. Ciak si gira.

Ore 5.47 la figlia si sveglia, il regista l’aspetta in auto. Partono per Milano. Tutto si svolge come da copione. Per i primi diciotto minuti. Poi un imprevisto ribalta la scena. L’audio registra grida strozzate, rumori, colpi, botte, rantoli. La compagna della figlia ha dormito nella camera a fianco. L’ex non era sola in casa. Il copione salta.

Dopo due minuti l’adorata figlia, in auto col regista, riceve la telefonata della propria compagna. Lei ha sentito delle urla, si è spaventata, ha aperto uno spiraglio della sua stanza e ha visto un armadio d’uomo scendere le scale.

“Oddio”, dice il regista mentre tracolla. Quella telefonata brucia la pellicola.

Veniamo all’udienza che si è svolta il 21 ottobre in Corte d’assise, la seconda, per il femminicidio di Ilenia Fabbri compiuto dall’ex marito, Claudio Nanni, tramite un killer, Pierluigi Barbieri.
Testimoni principali la figlia Arianna, usata come alibi dal padre, e la sua compagna, Arianna anche lei. Il dirigente della squadra mobile di Ravenna, Claudio Cagnini, che ha coordinato le indagini, ha ricostruito minuto dopo minuto lo svolgersi dei fatti del giorno del femminicidio e, tramite tabulati telefonici e celle di aggancio dei cellulari, anche i contatti fra Nanni e Barbieri a partire da tre anni fa.

C’è una registrazione dell’audio di quella telefonata di venti minuti e cinquantatré secondi. “Vai a vedere!” dice la figlia alla compagna. “Non farla uscire”, dice il padre. Tornano indietro. “Accelera”, implora una decina di volte la figlia al padre che intanto piagnucola, “e non fare la maletta”. Lui che guida, non aveva tanta fretta, non s’avvicina neppure ai limiti di velocità. Arrivano a casa. La figlia scende dall’auto. Riesce ad evitare il poliziotto che piantona la porta del garage e si precipita nella tavernetta a fianco. Qualche secondo, in tempo per vedere la mamma in una pozza di sangue con un taglio alla gola.

Claudio Nanni no, lui è andato a sedersi sul marciapiede di fronte a casa. Vicino ad un cassonetto. Come un sacco di spazzatura in attesa. Ha fatto fare tutto all’adorata figlia. Anche scoprire il corpo della madre in una pozza di sangue con la gola tagliata. Quell’immagine non potrà essere cancellata. Si poteva evitare tutto ciò?

Forse se non si fossero minimizzate le aggressioni e le minacce di Claudio Nanni denunciate formalmente da Ilenia Fabbri nel 2017 e nel 2018. Forse se si fosse tenuto conto del timore manifestato da Ilenia Fabbri nei confronti di Claudio Nanni per i tentativi di furto del 2019 e del 2020, finiti in archivio.

In aula il difensore di Nanni si è opposto a far entrare negli atti di questo processo questi vecchi procedimenti, ma il Presidente della Corte, Michele Leoni, dispone la loro acquisizione. Anche la ricostruzione illustrata dal dirigente Cagnini viene contestata dal difensore di Nanni, come volesse dimostrare che le indagini sono state incomplete. Ancora una volta il Presidente sbotta: “Non stiamo facendo il processo alle indagini, non capisco dove vuole arrivare”.

Non si può più minimizzare. Minimizzare. Un verbo che noi donne conosciamo alla perfezione perché tutte in un modo o nell’altro ne abbiamo avuto esperienza diretta. Quando non veniamo credute, quando veniamo zittite, quando non veniamo tenute in considerazione, quando ci si rivolge a noi con frasi sessiste, quando veniamo costrette a non lavorare, a stare a casa, con il vecchio stereotipo: “l’uomo procura il pane, la donna i figli”. Quando ci rendono invisibili.

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