CAMPANELLE FEMMINISTE / 7 / Dalla parte di Elisa. Non si esulta dopo un ergastolo, anche se giustizia è stata fatta. Ma Elisa non c’è più… per questo le scuse non bastano

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22 settembre 2022, Corte d’Assise d’Appello di Bologna per il femminicidio di Elisa Bravi. La sentenza.

Perché le scuse non bastano.

“Chiedo scusa a Beatrice e Rebecca, a Gianluca e Antonella… mi dispiace… se potessi tornare indietro…” La voce rotta, tremula, ma senza lacrime. Riccardo Pondi ce l’ha fatta a scusarsi. Gli ci sono voluti quasi tre anni dalla notte in cui ha strozzato Elisa Bravi, sua moglie, la madre delle loro due bambine. Strategia difensiva? Profonda consapevolezza di ciò che ha fatto?

Mentre parla, un anziano giurato si stropiccia gli occhi. Pover’uomo, avrà pensato. Commosso. Mi chiedo perché non si sia altrettanto commosso, durante l’arringa dell’avvocata Annalisa Porrari, legale della famiglia Bravi, quando ha ripercorso la crudeltà dell’imputato mentre uccide la moglie. Empatia? Solidarietà maschile?

Quando gli uomini violenti maltrattano o picchiano mogli, fidanzate o ex, dopo, chiedono spesso scusa, con in mano un mazzo di rose. Quasi sempre noi donne crediamo al loro pentimento e accettiamo le scuse. Ma prima che le rose sfioriscano, la violenza ricomincia. Economica, verbale, fisica che sia. Il femminicidio non si scusa. È irreparabile. Anzi, fa indignare. Dopo le scuse di Pondi, la corte si è ritirata in camera di consiglio e ne è uscita poco più di un’ora e mezza dopo, con la sentenza. Ergastolo.

L’imputato, che durante l’udienza è rimasto immobile, a testa bassa a guardarsi le mani, ha un barlume di reazione. Poi si spegne di nuovo. Le sue scuse non son state accolte. Ci aveva provato. Un vano tentativo di aggiungere sul piatto della bilancia l’attenuante del pentimento. La sentenza di primo grado aveva condannato Riccardo Pondi a 24 anni di carcere per il femminicidio di Elisa Bravi, bilanciando le aggravanti alle attenuanti ritenendole di pari peso. Equivalenti. In appello la bilancia è stata tarata di nuovo, con più sensibilità. Le attenuanti sono state giudicate sub-valenti e non più equivalenti.

Aggravanti, cioè delitto in famiglia commesso in presenza di minorenni e in condizioni di minorata difesa della vittima pesano enormemente di più della confessione (minimizzando le proprie responsabilità), il suo tentativo di rianimazione (dopo aver premuto il collo di Elisa per oltre sette minuti), l’aver chiamato i soccorsi (quando si è accorto che era troppo tardi), l’essere incensurato, aver collaborato con inquirenti e magistrati prima e durante il processo (da bravo cittadino). Per bilanciare i conti, non è bastata neppure l’odierna dichiarazione di scuse, peraltro mai fatte prima, che potrebbero far intuire un pentimento, che comunque non ha espresso chiaramente.

Entro nel merito di un elemento contestato dalla difesa di Pondi sulla minorata difesa, cioè il fatto che il femminicidio sia avvenuto in una casa isolata, di notte, senza che ci fosse qualcuno cui chiedere aiuto. Risibile la scusa trovata dagli avvocati: “Non era colpa di Pondi se abitavano in una casa isolata, l’avevano comprata assieme dieci anni prima…”

Fra 90 giorni, le motivazioni della sentenza ci faranno capire meglio i ragionamenti della Corte d’Assise d’Appello. Intanto mi par di capire che il peso del delitto commesso davanti alle due bambine che hanno sentito, visto, detto, raccontato tutto di quella notte, è stato giudicato non quantificabile, incommensurabile e reso ancor più intollerabile dalla confessione di Pondi che disse di non essersi accorto della loro presenza, di non averle viste.

Inoltre sono curiosa di vedere se la gelosia di Riccardo Ponti, assillante già da un anno, è stata menzionata, almeno ventilata, considerandola un’ulteriore aggravante, come reato di stalking. Come un futile motivo, che ha condotto l’imputato a uccidere Elisa Bravi. Non è interessante sapere quanto è stata valutata la gelosia per stabilire la pena, perché oltre l’ergastolo non si va, piuttosto è fondamentale sapere se la Corte abbia fatto sua la sentenza del 2019 della Suprema Corte di Cassazione, a proposito dell’ergastolo al femminicida Vincenzo Paduano che ha ucciso l’ex fidanzata Sara di Pietrantonio, che ha sommato al reato di omicidio volontario quello di stalking. Sarebbe un bel passo in avanti considerare la gelosia “non un sentimento, ma un risentimento”, come ha sottolineato anche oggi l’avvocata dell’Udi.

Ergastolo. La Corte, presieduta dal giudice Orazio Pescatore ha respinto la richiesta della difesa di Riccardo Pondi, rappresentato dagli avvocati Ermanno Cicognani e Francesco Manetti, di riaprire il processo e disporre una nuova perizia psichiatrica per accertare se l’imputato fosse o meno capace di intendere e volere nel momento in cui ha ucciso Elisa Bravi. A nulla dunque è valsa la relazione dello psichiatra criminologo, da loro incaricato, Mario Massimo Mantero, che ha definito inadeguata e lacunosa la perizia del dottor Michele Sanza, nominato dalla Corte nel processo di primo grado.

Ergastolo. Non si esulta per un ergastolo. “Giustizia è stata fatta”, ha commentato l’avvocata Annalisa Porrari, legale della famiglia Bravi. “È solo una piccolissima soddisfazione”, per dirla come Gianluca Bravi, il padre di Elisa. Una piccolissima soddisfazione che ripaga dal lavoro fatto dalle parti in causa nella ricerca della verità. A partire dalla pm, Lucrezia Ciriello, che dopo la sentenza della Corte d’Assise di Ravenna, ha presentato il ricorso in appello contro il bilanciamento di attenuanti e aggravanti, insistendo sulla violenza subita dalle bambine. E sulla salute mentale di Pondi al momento dell’omicidio la Ciriello, aveva affermato:“I suoi pensieri sbagliati non sono altro che pensieri malati, ma non patologici”.

La Corte d’Assise d’Appello le ha dato ragione su tutto. Vorrei sottolineare l’importanza dell’appoggio al ricorso della PM delle avvocate delle associazioni che si sono costituite parte civile, Sonia Lama per l’Udi, Maddalena Introna per l’associazione dalla parte dei minori, Manuela Liverani per l’Unione dei Comuni della Bassa Romagna e il Comune di Bagnacavallo, Monica Miserocchi per Demetra-donne in aiuto. Un impegno volto a ricondurre le cause dei femminicidi all’esercizio del potere di dominio insito nella cultura maschilista e patriarcale degli uomini che uccidono le donne. “Questa pena, che riteniamo adeguata, – concludono – speriamo sia indice di un cambiamento culturale nelle aule di giustizia”.

Ergastolo. C’è solo da sperare che con questa sentenza si attenui la paura delle due bambine di incontrare il padre libero per strada. La presidente dell’associazione Dalla parte dei minori, Giovanna Piaia, pensa proprio a loro, e sottolinea l’importanza di questa sentenza: “Per le orfani l’atto di giustizia potrà offrire un valore razionale che riaggancia la vita emotiva alla evoluzione della loro crescita, al vivere nonostante ‘tutto quello che ci è accaduto’”.

Ergastolo. Lascio alla mamma di Elisa, l’ultima parola: “Cambia poco, perché Elisa non c’è più.”

Per questo le scuse non bastano.

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