I RAGAZZI DI UPPUNTO / “Vai bene come sei”, intervista a Pier Paolo Bellini sulla figura di Enzo Piccinini

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UPpunto, come i nostri lettori sanno, rientra nel progetto più ampio della Scuola Bottega, un’iniziativa portata avanti da dieci anni dall’Associazione Amici di Enzo e dalla Coop il Faro. Ma chi era Enzo? Con questa domanda, in occasione del 25° anniversario della sua morte, abbiamo intervistato il Professor Pier Paolo Bellini, docente universitario, caro amico di Enzo nonché scrittore, assieme alla figlia Chiara Piccinini, del libro a lui dedicato, “Amico Carissimo”.

Sappiamo che si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Bologna. La passione per la musica era già presente oppure si è sviluppata negli anni a seguire?

“Ho iniziato a suonare la chitarra con un mio amico all’età di 6-7 anni. Dopo ho fatto pianoforte, ma al quinto anno, insieme alla maturità, ho deciso di smettere. Dopo 23 anni, mentre facevo Lettere, si è riaccesa la passione per la musica e mi sono iscritto a composizione al Conservatorio, studiandola per 10 anni. Nel frattempo ho fatto Lettere e, poi, mi sono iscritto anche al DAMS, indirizzo musicale. Nonostante la collezione di titoli, però, poi, sono andato a fare Sociologia, che non c’entrava assolutamente niente con tutto quello che avevo studiato prima. Comunque sono contento perché mio figlio mi ha detto: “Babbo si vede che non sei un fallito”. Non faccio quello per cui ho studiato, anche se in realtà all’Università insegno gestione del suono nei prodotti multimediali, quindi utilizzo computer, mixer, un po’ di tutto, e inoltre insegno sociologia della comunicazione, che è il mio lavoro.”

Secondo la sua esperienza letteratura e musica nascono da una stessa esigenza?

“Secondo me non bisogna ridurre il campo solo alla letteratura e alla musica. Nel mio lavoro l’aspetto più interessante è capire come costruire il senso, quindi quali sono le dinamiche simboliche attraverso cui noi siamo in grado di capirci in maniera straordinariamente più ricca degli animali. Tutto questo grazie ai segni, che insegno a interpretare. Questa capacità mi ha permesso di valorizzare anche tutto quello che avevo fatto prima.”

Qual è stato invece il motivo che l’ha spinta a diventare professore?

“Io inizialmente volevo fare il musicista. Solo che subito dopo il diploma in composizione è morto il mio amico Enzo, al quale ero molto legato. Per lui ho scritto un salmo su un testo di Isaia, riguardante l’episodio in cui il popolo ebraico accusò il Signore di averlo abbandonato. Dio a quel punto rispose: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Se anche ci fosse una donna che si dimenticasse, io non ti dimenticherò mai Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me” (Is 49,14-16). Enzo era molto affezionato a queste parole, così ho scritto un brano di musica chiedendo a Don Giussani un suo parere. Poi gli chiesi anche un consiglio su quello che avrei potuto fare da grande. È vero che volevo fare il musicista, ma dovevo anche mantenere i miei figli. Ricordo perfettamente che lui mi consigliò di mettere in ordine le cose: la famiglia doveva venire prima di tutto. Dovevo spendermi affinché vivesse bene, cioè vivesse intensamente la realtà; la seconda indicazione chiara fu di comprendere quale responsabilità avevo verso la Chiesa e verso il mondo; e la terza era di guardare quello che mi sarebbe rimasto come tempo. Lì ho capito che per realizzarsi davvero si devono mettere in ordine i propri talenti e le proprie inclinazioni, secondo il loro giusto valore. Seguendo questo ordine sto dando il massimo in un lavoro che è lontanissimo da quello per cui mi sono preparato. Mi ritengo fortunato ad aver fatto questo strano cammino perché probabilmente se avessi insegnato musica, non avrei imparato le cose che sto imparando. Ci vuole però un’amicizia così, come è stata quella con Enzo e con Don Giussani.”

Chi era Enzo Piccinini?

“Enzo aveva delle capacità fuori dall’ordinario, dormiva pochissimo, operava, stava con noi, viaggiava in macchina, sembrava Gesù dopo la risurrezione, era contemporaneamente in posti diversi, e non c’era Internet ancora in quegli anni. La questione veramente rivoluzionaria però consisteva nella grande consapevolezza dei suoi meriti e dei suoi difetti. Tutta la sua vita è stata determinata dalla contentezza per questo fatto. Lui la definiva “misericordia della contentezza”, parlava di un abbraccio che ti fa solo venire voglia di dare quello che hai con quello che sei, senza essere preoccupato di dimostrare di più. L’unica preoccupazione era quella di dare gratuitamente quello che si era ricevuto come dono. Enzo era un capolavoro di contraddizioni. Non ha, infatti, risparmiato niente di quell’abbraccio, anche le sue contraddizioni più evidenti. “Vai bene come sei” diceva. E ci ha veramente convinti. Noi allora eravamo più di mille studenti universitari, ma tutta la nostra organizzazione era più o meno coscientemente impostata su questo: “Tu hai del bene in te. Anche insieme a mille macerie c’è un bene”. Abbiamo scoperto nel tempo che dietro il suo ‘ umano ‘ c’era qualcosa di molto più grande. Questa è la rivoluzione di Dio fatto uomo, è un’umanità così, che esalta la tua umanità.”

L’emblematica frase che abbiamo sempre sentito associata a lui è: “Ho fatto tutto per essere felice”. Ce la può spiegare?

“Enzo dice che il cuore è fatto di quattro cose: il desiderio di bello, di giusto, di buono, di amore, che è poi amare e essere amati, e sostiene che bisogna mettere questo cuore in quello che si fa. Lui lo si vedeva dare sempre il massimo, tutta l’energia e tutto il cuore in questo senso. Mettere il cuore significa agire secondo quelle quattro categorie. Se uno non se la gioca sul serio non sarà mai felice, perché essere felice vuol dire riuscire a dare una risposta a queste quattro urgenze che sono scritte nel cuore. Diceva quella frase perché aveva capito che senza una di queste quattro urgenze, che chiedono impegno, sacrificio e la consapevolezza di un’opportunità dentro ogni cosa che si fa, l’uomo non riesce a realizzarsi.”

Qual era il rapporto che la univa ad Enzo?

“Inizialmente molto conflittuale. Io venivo da un’impostazione diversa, facevo già parte del movimento di Comunione e Liberazione, ho fatto quattro anni di Gioventù Studentesca a Forlì in una squadra significativa, strutturata, di cui vado molto fiero. Quando sono arrivato a Bologna mi sono trovato di fronte ad una situazione per me stranissima, lui (Enzo) era emiliano, sempre agli eccessi, quindi inizialmente mi sono detto “qui non ci siamo, lui non sa che cosa sia Comunione e Liberazione e neanche cos’è il Cristianesimo”. Poi un giorno mentre eravamo in macchina mi ha detto di avere quattro figli e io sono rimasto molto impressionato perché, come racconto nel settimo capitolo del libro, per me lui faceva cose stranissime. Che uno le facesse perché ha un temperamento particolare, bene, che uno le facesse avendo quattro figli mi ha fatto suonare un campanello di allarme e mi sono chiesto se fosse un criminale o un matto o se invece ci fosse qualcosa che non avevo capito. E siccome non sono arrivato a dire né che era un criminale né che era matto, mi è rimasta l’ipotesi di capire quale fosse la terza via. Cosa c’era dietro questa cosa che mi scandalizzava e nello stesso tempo mi affascinava? Grazie a questa curiosità negli anni successivi ho capito che la cosa più rivoluzionaria non era il suo temperamento, ma ciò che aveva rivoluzionato la sua vita e che riguardava il mondo. Noi eravamo convinti e lo siamo ancora, io sicuramente e anche lui, anche se siamo in mondi diversi, che quello che stavamo facendo era la rivoluzione del mondo.”

Che rapporto aveva Enzo con i giovani?

“Enzo aveva una capacità strana di riuscire a parlare a tutti, di capire chi aveva davanti e di immedesimarsi. Io adesso studio il “role taking”, ovvero una tecnica molto importante che consiste nel mettersi nei panni degli altri. Lui riusciva a condividere fino in fondo l’umanità dell’altro arrivando al cuore di tutti e riuscendo a capire chiunque avesse davanti, indipendentemente dall’età. Da questo punto di vista era insuperabile.”

Che cosa ha lasciato la presenza di Enzo nella sua vita?

“Intanto una chiarezza. Lo faccio anche per lavoro, di cercare di capire come funziona la cultura oggi, come si costruisce il senso e come si va contro il senso. Una chiarezza anche su certi fondamenti dell’esistenza, che mi permettono di avere una strada più chiara davanti. L’altro aspetto, forse quello più importante, è il metodo. È un’amicizia che ti fa capire il contenuto anche più profondo e più impegnativo delle parole cristiane. Questo è ciò che è rimasto in me in maniera definitiva.”

Da dove e da chi è nata l’idea di scrivere un libro su Enzo?

“L’idea di “Amico Carissimo” è nata perché mi sembrava mancasse qualcosa. Mi sembrava mancasse la prospettiva delle persone che sono state con lui tanti anni e che desideravo raccontassero quello che si vedeva e si ascoltava stando vicino a lui. Quando ho visto i libri che sono usciti su Enzo ho proposto a Pietro, suo figlio, di intervenire a questo proposito per non disperdere i ricordi e i pensieri delle persone che avevano vissuto con lui. Lui mi ha comunicato che anche sua sorella, Chiara, aveva le stesse intenzioni e perciò abbiamo cominciato a lavorare insieme.”

Se ci sono state, quali sono state le difficoltà che ha incontrato nella scrittura?

“Le difficoltà sono nate dal fatto che prima ho dovuto raccogliere tutto il materiale e poi ho dovuto lasciare che questo prendesse forma da solo. Di solito ci metto circa due anni a raccogliere il materiale e poi comincio a metterlo insieme finché non viene fuori una composizione. Per quanto riguarda Enzo ho preso tutto quello che era stato trascritto su di lui dalla Fondazione Enzo Piccinini. Abbiamo deciso di chiedere a 97 persone di dare un contributo su quegli anni. Mi piaceva l’idea di far vedere che intorno a quelle parole c’erano anche delle esperienze e delle vite che cambiavano, crescevano, si realizzavano. E’ venuta fuori una storia dell’anima, partita dal cuore fino all’offerta di sé, questa è stata la difficoltà, ma anche una commozione.”

Il 26 maggio a Bologna ci sarà la celebrazione del 25° anniversario della sua salita al cielo. Quale sarà il programma dell’evento?

“Il 26, stesso giorno del suo anniversario, ci saranno tre proposte. La prima è una mostra che aprirà alle 16, che sarà dedicata a Enzo e che sarà strutturata essenzialmente su quello che il libro racconta. Successivamente, alle 17, ci sarà una vera e propria presentazione del libro preceduta dal saluto del Cardinal Zuppi, che è anche Presidente della CEI. Nella presentazione del libro ci accompagneranno due amici: Giancarlo Cesana e Giorgio Vittadini. Dopo cena ci sarà una festa retrò, con le band che suonavano durante le nostre feste universitarie. Anche la festa sarà dedicata ad Enzo, quindi con le canzoni che gli piacevano. Per quanto sintetico, sarà un modo per dire a Bologna e al mondo che qui c’è qualcosa che resiste.”

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