Dulcamara presenta il nuovo album “Indiana” al Bronson di Ravenna

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A quattro anni dall’ultimo “UomoConCane”, i Dulcamara tornano con un nuovo album, “Indiana”, uscito il 25 novembre per INRI / Metatron. “Indiana” è l’esito di sfide complesse: portare la canzone d’autore vicino al folk americano e dare eguale importanza alla musica e alle parole. E in apertura di serata, Matteo “Tegu” Sideri.

Dulcamara nasce come band intorno al 2004. Dalle origini hip hop, al gitano d’est Europa si evolve verso un’idea di folk nordamericano. Nel 2007 l’etichetta milanese Barmanlover produce il loro primo disco “Lasciami ad Est”, esordio che mischia rap e folklore gitano. Dopo un seguito importante in termini di live e diffusione, nel 2010 segue “Il Buio”, prodotto dall’appena nata etichetta Brutture Moderne. Viene inciso tra Los Angeles e Milano.

 

Il singolo “Scintille di una notte d’America ottiene un buon successo su Radio Rai. Nel 2012 vede la luce “UomoConCane” pubblicato da etichetta Sundays Torino. Dallo stesso disco viene estratto il singolo “La strada del ritorno”, che diverrà finalista di Musicultura 2013. Il disco ottiene recensioni brillanti da varie testate giornalistiche: Il Resto del Carlino, Repubblica, XL, Rolling Stone. Dal 2013 a oggi iniziano le registrazioni di “Indiana”.

 

“Indiana” è il folk del nord America che incontra la canzone d’autore, dove i suoni valgono come le parole e parole come i suoni. La canzone è il centro, la parola è viva. “Indiana” gioca come un calembour con molteplici significati; non c’entrano l’India, non c’entra lo stato americano e nemmeno gli indiani d’America. Forse è idealmente un filo blu teso fra le cime fredde del nord e le terre bollenti del sud America. Anche se scritto in differenti città, spesso dentro motel di passaggio, suona di corde sporche e stridenti che scintillano dentro ritmi tribali, a tratti sciamamici, a volte danzanti come dentro a rituali di popoli figli della terra. La sfida era di portare la canzone d’autore vicino alla canzone folk americana e la scelta nel cercare di dare uguale importanza a musica e parole è stata ostica e ha preteso più di due anni di lavoro continuo. Un omaggio a M.Ward e i suoi “Monster of Folk” con la rivisitazione della canzone “Map of the World” (ora “Ladum”) è un esempio di come si possa essere così vicini a quel suono, pur non cantando in lingua inglese, pur non respirando a quelle latitudini.

 

Gli immaginari interstellari raggiunti attraverso “Labirinti Immaginari” di Borges, trovano dimora in un disco che non batte i suoi accordi sopra nostalgie desuete, ma piuttosto luccica in un suo presente autonomo “come una moneta persa in una pista d’atterraggio” di qualche Messico ipotetico, di qualche fine capitolo del “Livro do Desassossego” di Fernando Pessoa, o più semplicemente tra le pieghe sottili del folk americano, di quel suono lì, di quel sudore lì. È necessario farsi trascinare dalla corrente di un fiume in piena in primavera dopo lo scioglimento dei ghiacci, per arrivare alla foce di “Indiana”.

 

TEGU

“Per chiudere un cerchio” è il primo disco come cantautore di Matteo Sideri, spesso confuso con Tegu. Il disco è stato registrato presso La casa della grancetta in due giorni di luglio in presa diretta; contiene dieci brani interamente in inglese, Contaminati da sonorità punk, folk e lievi tratti soul e jazz. La batteria è parte fondante implicita di questi pezzi, dinamici e ritmici permettono alla chitarra di fondersi con la voce e diventare insieme un unico strumento. Le canzoni raccontano con intimismo e audacia gli ultimi tre anni spesi tra tour in Italia e all’estero, traslochi, arrivederci, droga, amicizie, ragazze, solitudine e inverni tanto adorabili. Tegu riesce così a prendersi una pausa da dietro i tamburi con Ronin, Above the tree, Maria Antonietta, Matteo Fiorino e Mattia Coletti.

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