Parla Maurizio Tarantino: Ravenna val bene uno studio e prima di fare proposte intende capire meglio

Intervista al nuovo dirigente della Classense, del MAR e delle politiche culturali cittadine - La mia nomina non è stata politica, dice, perchè io sono un tecnico senza tessere di partito da sempre - Su quello che intende fare, però, Tarantino parlerà più avanti, dopo l'estate

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Maurizio Tarantino, 57 anni, radici romane con una bella sovrastruttura e l’inflessione un po’ napoletana, arriva a Ravenna alla guida della prestigiosa Biblioteca Classense, del MAR e delle politiche culturali dopo una lunga parentesi a Perugia. Il suo curriculum parla di una nascita nell’urbe e di una laurea all’Università La Sapienza nel 1989 su Machiavelli che si relaziona con la poetica di Dante (110 e lode). 

 

Poi riceve un incarico a Napoli e qui si dedica a Croce e al suo istituto. Immagina di rimanere all’ombra del Vesuvio un anno: invece ci resta quasi vent’anni. Dal 1990 al 2006 è Responsabile della biblioteca dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici; dal 2005 al 2008 si occupa della Progettazione esecutiva e della direzione scientifica del progetto “Rete delle biblioteche digitali” della Regione Campania. Nel 2008 si trasferisce a Perugia: qui è dirigente presso l’Amministrazione comunale con incarico di Direttore della Biblioteca Augusta e delle Biblioteche di Pubblica Lettura della Città. Nel 2014 cambia il colore dell’amministrazione cittadina e il suo incarico non è rinnovato.

 

Nel 2017 manda il suo curriculum a Ravenna e viene scelto dal Sindaco Michele de Pascale come nuovo dirigente della Biblioteca Classense, del MAR e delle politiche culturali. Entra in servizio il 13 marzo.

 

Maurizio Tarantino è autore di numerosi saggi e studi su Machiavelli e Croce. Ama Dante, ma non è un dantista, e ci tiene a precisarlo. A me è apparso timido, sulle prime. E sicuramente non gli ha fatto piacere la polemica che lo ha accompagnato nell’incarico: non vuole che il suo nome venga associato alla politica, così come non vuole che il suo incarico dirigenziale sia messo in relazione con presunte nomine partitiche. Lui si definisce un tecnico senza tessere di partito “fin dalla maggiore età”.

 

Gli piace molto Ravenna ed è conscio delle responsabilità che ora ha sulle spalle: sa anche di avere tanti occhi puntati addosso. Per questo è un po’ guardingo e non vuole sbilanciarsi. Sta studiando per cercare di svolgere al meglio il suo compito. Per i programmi e gli impegni di lavoro chiede tempo e dice, in sostanza, aspettatevi da me proposte più precise solo dopo l’estate.

 

 

 

 

L’INTERVISTA

Dottor Tarantino, mi dicono che sta facendo un corso intensivo su Ravenna…

“Sì, sì, veramente, un corso intensivo di studio per conoscere realtà, situazioni, istituzioni culturali, figure istituzionali, personalità. Sono stato più in bicicletta che in ufficio, in questi giorni, girando Ravenna in lungo e in largo…”

 

Beh, non è male. La bicicletta fa bene alla salute.

“Per carità. Ho girato anche in macchina. Sono stato in tutte le biblioteche decentrate. Sabato scorso ero al BiblioBus al mercato.”

 

Lei conosceva già Ravenna?

“Sì, per motivi di lavoro. Quando ero direttore della Biblioteca dell’Istituto Croce di Napoli sono venuto in Romagna e a Ravenna per studiare il vostro sistema bibliotecario, che era un modello, un punto di eccellenza nel panorama italiano.”

 

Cosa pensa della nostra città?

“È una città bellissima. Sono felicissimo di essere qui. E poi avete il mare. Pur non essendo napoletano, ho vissuto vent’anni a Napoli, e il mare per me è molto importante.”

 

Roma, Napoli e Perugia…

“Sono nato e ho studiato a Roma, mi sono laureato alla Sapienza. Poi appena laureato ho vinto una borsa di studio all’Istituto Croce di Napoli e qui avevo idea di poter fare lo studioso, l’italianista. Invece, mi proposero quasi subito di fare il Direttore della Biblioteca dell’Istituto Croce: da lì è iniziata la mia specializzazione e la carriera di direzione nelle istituzioni bibliotecarie.”

 

Si è laureato con una tesi su Machiavelli.

“Sì, Machiavelli, commentando un poemetto machiavelliano dantesco. Studio che poi è stato pubblicato.”

 

Ha già scoperto le sue tre carte: Machiavelli, Croce e Dante. Le sue passioni…

“Croce e Machiavelli sono stati per me oggetto di studio specifico. Di Croce ho curato un’edizione critica. Su Machiavelli ho curato anche 15 voci per la Treccani. Dante è più una passione che altro. L’ho sempre legato a Machiavelli, perché ho studiato il Machiavelli letterato e poeta, che ha un debito enorme verso Dante. Quindi ho studiato a lungo anche Dante, ma non sono un dantista. Questo no.”

 

Nel primo incontro pubblico in Classense, esordì dicendo che qui a Ravenna spera di avere un po’ di tempo per leggere Dante. Non avrà molto tempo per tale lettura, questo lo sa?

“Lo so, lo so.”

 

Ad ogni modo è capitato a Ravenna mentre si va verso il Settimo Centenario della morte e le celebrazioni di Dante 2021: quindi si può dire che è nel posto giusto al momento giusto per prendersi un po’ cura di Dante.

“Sì.”

 

Rimaniamo a Machiavelli. Chi è il Principe in grado di rimettere insieme quest’Italia che oggi sembra andare in pezzi?

“Che domanda! (ride, ndr).”

 

Sempre ci sia bisogno di un Principe? Potrebbe essere ancora il rottamatore Matteo Renzi, eventualmente?

“No, no. Intanto Machiavelli quando parlava del Principe aveva in mente Lorenzo Duca di Urbino, che sì era fiorentino, ma non somiglia a Renzi, lui era giovane, animoso…”

 

Beh, anche questo è fiorentino, giovane e animoso, no?

“Sì (ride, ndr). Ma Renzi è un uomo politico. Mentre Machiavelli non pensava a un politico, pensava a uno che facesse letteralmente fuori i nemici, che esercitasse la forza per raggiungere i propri scopi politici.”

 

Magari oggi si uccide l’avversario solo in senso metaforico, ovvero politicamente…

“Sì, certo. Ma in realtà il Principe di Machiavelli oggi non è più attuale, come ha ben detto Gennaro Sasso, il mio maestro, perché dopo le tragedie del ‘900, dopo Hitler e Stalin, non è più pensabile ricorrere alla tirannide e al governo del Principe come pensava possibile e giusto il Machiavelli. Il quale ebbe un’intuizione straordinaria, valida per 400 anni. Semplicemente dopo 400 anni, e dopo ciò che è accaduto nel secolo scorso, la politica non si può più fare in quel modo. Machiavelli non può più insegnarci nulla in quel senso.”

 

 

 

Allora veniamo alla vulgata sull’altro suo caso di studio, Benedetto Croce. Parliamo di Croce e giovani. Cosa pensa lei dei giovani? Aveva torto o ragione Croce quando sosteneva che i giovani dobbiamo solo lasciarli invecchiare?

“Intanto precisiamo (ride, ndr), che mentre scrive quelle cose lui ha in mente ancora il rapporto del fascismo con i giovani, Giovinezza Giovinezza, le adunate dei Balilla. Cose che Croce detestava. Lui voleva creare una scuola formativa per i giovani, scevra dalle sollecitazioni del fascimo.”

 

Croce a parte, lei cosa pensa dei giovani? Bamboccioni e choosy o no? Devono scappare dall’Italia o no?

“Beh, io ho due figli. Uno vive a Berlino. L’altro è ancora in Italia. Penso che, se possono, i giovani devono restare in Italia, ne abbiamo bisogno. Nella mia biblioteca ho visto studiare e crescere generazioni di giovani che oggi sono docenti universitari in tutta Italia. Quindi, per carità, io ne sono orgoglioso. Credo nei giovani. Se offriamo loro le occasioni giuste sono in grado di coglierle. Anche quelli più scapestrati. E in questo senso, il ruolo delle Amministrazioni locali con le biblioteche, i centri culturali e altri centro formativi e di aggregazione è molto importante.”

 

Ma ai giovani serve di più il calcetto o il curriculum per trovare lavoro?

“Servono entrambe le cose (ride, ndr). Il calcetto serve, ma serve pure il buon curriculum. Anch’io ho fatto sport, che vuol dire, ma non credo affatto serva di più il calcetto.”

 

Mens sana in corpore sano, come dicevano i latini.

“Mettiamola così.”

 

Veniamo al suo incarico. Sa che ci sono state polemiche a Ravenna su questa infornata di nomine dirigenziali da parte del Sindaco Michele de Pascale e nel tritacarne c’è finito anche lei. Un esponente dell’opposizione ha affermato, fra l’altro, che la sua nomina sarebbe stata chiaramente politica, sia a Perugia sia a Ravenna, al di là delle sue qualità, peraltro riconosciute. Che cosa vuole dire al proposito?

“Questa cosa mi ha fatto veramente molto dispiacere, perché chiunque mi conosce e conosce un po’ la mia storia sa che io non ho mai avuto nomine politiche. Io non sono legato alla politica e ai partiti in nessun modo. Ho le mie idee, voto, vado anche ai comizi qualche volta, ma io non ho tessere di partito. Ho fatto politica dai 14 ai 18 anni in un collettivo politico studentesco, poi fin dalla maggiore età non ho mai avuto tessere di partito. Sono arrivato a Perugia mandando un curriculum e non conoscevo affatto gli amministratori perugini che mi hanno scelto. Anzi, i perugini allora erano titubanti rispetto alla mia nomina, perché io arrivavo dall’Istituto Croce, un istituto di tradizione liberale e radicale, non esattamente di sinistra. Non avevo e non ho padrini politici.”

 

E a Ravenna com’è andata?

“A Ravenna tanto meno. Non ho fatto telefonate e non ho chiesto nulla a nessuno. Nel frattempo ho fatto anche altri concorsi e li ho persi, a prescindere dal colore delle amministrazioni, malgrado i miei titoli fossero magari superiori rispetto a quelli dei miei competitori. Capisco la polemica dell’opposizione, perché l’opposizione fa il suo mestiere ovunque. Ma posso assicurare che la mia non è una nomina politica. Né lo è stata a Perugia.”

 

È ferito. Dalle sue parole e dalla sua foga sento che questa cosa le ha fatto proprio male…

“Sì. Perchè io sono un tecnico. E non ho mai chiesto aiuto a questo o quel politico. E per essere chiari rispetto alla polemica sulla vicenda perugina, l’Amministrazione di centro destra di Perugia non mi ha confermato non per ragioni politiche, bensì per ragioni economiche: si tratta di una scelta dettata da ragioni di spending review più che di spoil system. Diversi ambienti del centro destra perugino, anzi, hanno spinto affinchè potessi rimanere, per esempio lo ha fatto Alessandro Campi.”

 

Veniamo alla Biblioteca Classense. Storica. Gloriosa. Grande. Importante. Inutile chiederle se le piace essere qui… se no non sarebbe venuto.

“È bellissima.”

 

Che idea ne ha?

“È una biblioteca straordinaria. E ha anche una monumentalità importante. Mi sono fatto l’idea di un posto bellissimo dove lavorare. Ma per ora non posso fare programmi, non me li chieda, non è ancora il momento. Sto ancora orientandomi e acquisendo elementi di conoscenza.”

 

Quando pensa di poter annunciare il suo programma di gestione della Biblioteca Classense?

“Dopo l’estate. Perché i miei compiti sono molto complessi. Se la mia nomina fosse stata solo per la Classense e le biblioteche, avrei chiesto meno tempo, ma io devo occuparmi anche del MAR e delle politiche culturali e quindi devo tenere insieme tante cose. Ho bisogno di più tempo.”

 

Come ha intenzione di muoversi? Qual è la sua filosofia?

“Le istituzioni culturali sotto la mia direzione devono lavorare il più possibile insieme e in sinergia. Questa la direzione di marcia. Per i programmi specifici, mi dia tempo.”

 

Restiamo alla Classense. Lei sa del cantiere Grande Classense avviato anni fa dai suoi predecessori. Fra le cose più significative che debbono ancora accadere c’è l’apertura della Classense verso la cosiddetta Zona Dantesca, in considerazione del Settimo Centenario e di Dante 2021. Che cosa ci può dire?

“Non sono in grado di dire nulla su questo. Sono progetti che seguono direttamente il Sindaco e l’Assessore. Su questo per ora svolgo un ruolo di puro osservatore, poiché ci sono implicazioni sulle quali non ho ancora elementi per intervenire. Dunque, osservo con attenzione.”

 

Lei è arrivato in contemporanea con la riapertura della Sala Dantesca della Classense appena restaurata, con il magnifico dipinto di Luca Longhi “Nozze di Cana”. Si è parlato di aprire la Classense anche come monumento per i turisti, per arricchire l’offerta turistica della città. Anche lei pensa che la cultura non è solo nutrimento dell’anima, ma con la cultura si può mangiare?

“Assolutamente. Chi si occupa di organizzazione culturale non può non tenere conto delle compatibilità economiche. È chiaro che la cultura per certi aspetti deve essere finanziata a fondo perduto, perché è un investimento per la città, per i cittadini, per il futuro. Come posso dire, un quartiere più colto è un quartiere più civile, dove le cose funzionano meglio, dove c’è più cura per il bene pubblico, dove c’è meno criminalità, dove alla fine per fare andare avanti le cose si spende anche meno e quindi, ecco, c’è un ritorno economico sui tempi lunghi in questo senso. Un’amministrazione saggia deve pensare a questo. Naturalmente, bisogna anche trovare forme di finanziamento della cultura anche qui e ora, e il turismo può essere una fonte di finanziamento.”

 

Per venire al concreto, aprire la Classense al turismo significa avere orari di apertura e di visita più lunghi, e magari più personale…

“Tendenzialmente sono per aprire il più possibile. Poi ci sono le compatibilità, sia di sicurezza sia di personale. E dovremo tenerne conto.”

 

E invece del MAR che idea s’è fatta?

“Qui a maggior ragione ho bisogno di tempo.”

 

La Classense non ha grossi problemi di identità. Il MAR qualcuno sì, soprattutto dopo l’uscita di scena del curatore delle mostre Claudio Spadoni e con questa sorta di accorpamento a livello direzionale con la Classense…

“Sto studiando. È un tema delicato e preferisco per ora non dire nulla. Anche in questo caso mi riservo di dire qualcosa di preciso più avanti.”

 

È viva culturalmente Ravenna?

“Molto. Molto viva.”

 

Ma allora perché tanti ravennati si lamentano continuamente di questa città e ripropongono quello che è stato a lungo il topos della città morta, della città che langue?

“Mi hanno raccontato tante storie di questo tipo, in questi giorni. Ma storie di un passato remoto. Mi torna in mente un racconto di Giorgio Scerbanenco ambientato in un lido di Ravenna – ora non ricordo bene – con una certa atmosfera nebbiosa, triste, desolata. Ma poi mi hanno raccontato anche di una città cambiata da vent’anni in qua. Io l’avevo già vista diversa negli anni ’90. Credo ci sia una vita culturale scoppiettante ed è una cosa bellissima. Anche se ora tutto questo fervore mi pone anche dei problemi, perché io devo in qualche modo e in parte governare questi processi.”

 

Lamentarsi è una forma di amore per la propria città?

“In fondo credo di sì.”

 

Quando c’era la gara fra le città italiane per la Capitale Europea della Cultura 2019 che cosa pensava di Ravenna?

“Io tifavo per Perugia, naturalmente (ride, ndr), ma a Perugia erano tutti convinti che avrebbe vinto Ravenna, perché si diceva che il progetto di Ravenna era quello migliore, sul quale la città lavorava da più tempo. Confesso che noi l’abbiamo un po’ copiato in alcuni punti. E alla fine ha vinto Matera.”

 

A cura di P. G. C. 

 

 

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