Di Monopoli alla rassegna “Il tempo ritrovato” racconta la sua Puglia cupa e piena di contraddizioni

Lo scrittore a Ravenna per presentare "Nella perfida terra di Dio", il suo primo romanzo uscito per Adelphi

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Un po’ William Faulkner, un po’ Quentin Tarantino: per definire lo stile dello scrittore pugliese Omar Di Monopoli ieri protagonista, alla Classense di Ravenna, della rassegna letteraria “Il tempo ritrovato”, sono stati scomodati un grande della letteratura americana e un regista cinematografico di culto. Dal canto suo lui ammette di avere “copiato” da Faulkner “un’idea profonda”: quella di un sud “come gigantesco serbatoio di storie, come un luogo che contiene tutte le passioni” e che le contaminazioni cinematografiche e i suoi esordi come disegnatore di fumetti hanno contribuito a formare la sua scrittura visiva.

Quella che Di Monopoli racconta nei suoi romanzi è la sua terra, la Puglia, che non è certo quella dei depliant turistici: la Puglia dell’Ilva, una terra piena di contraddizioni, un territorio in cui sopravvive una criminalità organizzata “che lo Stato dichiara, sulla carta, di avere sconfitto”.

Le sue sono storie di periferia ma universali: “passando per il campanile – spiega – cerco di fare confluire tutto in una visione generale”.

Con un giorno di ritardo sul programma, complice una serie di problemi con le ferrovie italiane che lo hanno costretto a rimanere in treno per un viaggio durato svariate ore in più del previsto, lo scrittore ha incontrato i lettori ravennati per parlare del suo ultimo romanzo, “Nella perfida terra di Dio”, un noir cupo, secondo la stessa definizione dell’autore, che segna il suo debutto nella prestigiosa casa editrice Adelphi.

L’incontro, condotto dal curatore della rassegna Matteo Cavezzali, parte inevitabilmente dai maestri che hanno ispirato lo stile inconfondibile dello scrittore pugliese, uno stile che ha il suo punto di forza in una scrittura che mescola “la spigolosità spadaccina del dialetto” a un italiano ricercato e che si dipana in un andamento del racconto che ha fatto coniare per i suoi romanzi la definizione di “western pugliesi”.

 

Matteo Cavezzali ricorda la polemica fra Faulkner ed Hemingway, quest’ultimo reo, secondo il primo, di avere utilizzato nei suoi libri un linguaggio troppo semplice, senza neppure una parola che il suo lettore dovesse andare a cercare sul vocabolario. Una polemica che divise all’epoca il mondo letterario americano.

Per Di Monopoli le parole sono importanti, certo, ma non fino a questo punto. “Un libro – dice – è come un quadro: l’importante non è comprenderlo in tutte le sue parti, ma ricevere emozioni”.

“Al centro di questo tuo ultimo libro – dice Cavezzali ci sono una serie di vicende che ruotano attorno al crimine organizzato. Si tratta di vicende di fantasia o di fatti reali?”

“Questo romanzo – risponde Di Monopoli – è una storia corale, con un prima e un dopo, che racconta di destini inveleniti, destini che si incrociano. Una storia con uno straniero che ritorna come Clint Eastwood e che come in un film western finisce a pistolettate. Una sorta di microcosmo assolutamente inventato, che non esiste ma che somiglia a tante piccole realtà”. Anche se, il clan Modeo che rimane sullo sfondo del romanzo e che “meriterebbe un romanzo a parte”, esiste veramente.

 

Ed ancora: la religione che diventa superstizione, come uno dei temi presenti nel libro, incarnata da un vecchio pescatore-guaritore, uno dei personaggi principali.

“Mi interessava sondare questo aspetto – dice l’autore -, ma il tema tracciante, portante di questo libro è la sete di potere di ciascun personaggio”.

Cavezzali: “Che rapporto hai con la tua terra, con i tuoi lettori che vivono lì?”.

“C’è un rapporto ambivalente. La politica, gli amministratori Di Monopoli sorride – mi odiano. Ma io li capisco: loro si fanno il mazzo per risolvere i problemi, sono disturbati dalla visione cupa che della mia terra do nei miei libri”.

“Tu come Nicola Lagioia e Antonella Lattanzi che è venuta a Ravenna un paio di settimane fa – incalza Cavezzali – vieni dalla new wave della letteratura pugliese. Ma il paradosso è che quasi nessuno di questi scrittori vive in Puglia, tranne te”.

“Io – dice l’autore – , ad un certo punto della mia vita, ho sentito la necessità di un ritorno alle origini. Nonostante io sia uno scrittore, nonostante le interviste, per tutti a Manduria (il paese dove Di Monopoli vive, ndr) sono rimasto il figlio di Peppino. Questo mi permette di entrare nei bar ed entrare in contatto con il sentire comune della gente. Insieme ad una new wave pugliese c’è anche una new wave sarda. Anche la Sardegna, non a caso, ha problemi atavici che hanno anche a vedere con la criminalità, evidente in queste aree di forti contraddizioni nascono movimenti d’impatto”.

 

“I tuoi esordi – ricorda Cavezzalisono stati con la casa editrice Isbn. Poi se approdato ad Adelphi. Com’è stato entrare nello studio di Roberto Calasso?”.

“È stata una bella emozione. Una grande gratificazione. Calasso – aggiunge lo scrittore – è un intellettuale a 360 gradi. Una conversazione con lui può passare tranquillamente dal sanscrito a Batman”.

La serata volge alla fine, ma c’è ancora il tempo per l’ultima domanda.

Cavezzali: “L’anno prossimo per Adelphi uscirà una nuova edizione del tuo primo romanzo “Uomini e cani” pubblicato con la casa editrice Isbn dieci anni fa. Hai intenzione di rimetterci le mani?”.

“Sì, lo farò. In questi dieci anni sono cresciuto come uomo e come scrittore. È come in un video game: si sale di livello e adesso siamo alle prese con il mostro più grosso”.

A cura di Ro. Em.

 

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