Chiara Valerio racconta il suo uomo senza cuore, bello e pieno di qualità, ma che non sa scegliere

“Una mattina, dopo sogni inquieti, Andrea Dileva si era svegliato nel suo letto, senza il cuore”. È l’incipit fulminante de “Il cuore non si vede”, l’ultimo libro uscito a settembre per Einaudi, di Chiara Valerio, scrittrice, sceneggiatrice, autrice e conduttrice radiofonica, editor per la casa editrice Marsilio. Ospite, mercoledì 20 novembre alla sala Muratori della Classense di Ravenna, della rassegna “Il tempo ritrovato”,  Chiara Valerio  ha dato vita ad un incontro molto interessante e molto divertente. Un’ora e poco più, in cui l’autrice, intervistata da Silvia Travaglini e Stefano Bon ha tenuto incatenato il pubblico con la sua intelligente ironia, le sue considerazioni intense e profonde espresse in modo veloce, quasi a raffica.

A Silvia Travaglini la prima domanda che è ovviamente sul romanzo: “Come nasce questa storia?”. Per due motivi, spiega Chiara Valerio. Il  primo letterario: “Desideravo scrivere un romanzo che iniziasse con un gesto di irrealismo”. Il secondo autobiografico. “In famiglia abbiamo avuto il caso di un trapianto di cuore in una bambina di due anni e mezzo e questa bambina stava a casa mia quando è successo. Io poi che sono cresciuta negli anni ’80 ero appassionata di due cartoni animati che al centro avevano protagonisti con gravi problemi cardiaci: la principessa Sapphire, non so chi di voi se la ricorda, era nata con un cuore da maschio e uno da femmina. Jeeg Robot d’acciaio ha il cuore talmente cavo che addirittura ci può stare la campana di bronzo appartenuta all’antico popolo Yamatai. Alla fine con questo cuore mi ci dovevo confrontare e, arrivata, all’età di 38 anni, l’età in cui ho cominciato a scrivere questo libro, ho pensato che dovevo farlo per rasserenare il mio rapporto con il cuore”.

Silvia Travaglini si sofferma sul personaggio di Andrea Dileva, l’uomo senza cuore. Poco più che quarantenne, professore di greco è “un uomo bello fuori e dentro”, come lo definisce la domestica, di certo è affascinante “difficile non provare simpatia per lui”. E poi ci sono le donne che gli stanno attorno. “Chi sono Laura, Carla, Angelica? Che cosa hanno in comune fra di loro e che cosa le differenzia?”

Chiara Valerio: “Andrea è un uomo simpaticissimo, un uomo pieno di qualità, anche troppe qualità ma che ha un difetto morale molto comune: non sa scegliere e quando le persone non sanno scegliere spesso accumulano e lui comincia ad accumulare le relazioni sentimentali e le donne. In questo grappolo di donne che gli stanno attorno due sono quelle che ama: una è Laura che è la persona con cui vive e che la mattina mettendogli la testa sul petto si accorge che non ha il cuore. La seconda è Carla, che è questa specie di gattamorta mostruosa, che lo vuole ma non fino al punto di dargliela definitivamente. Lui sta lì, cerca di stare con questa donna che gli dice solo: “Stare con te è come stare con nessuno”.  A me questa cosa è stata detta tante volte nella mia vita e quando ero molto più giovane pensavo che fosse un grande regalo perché, mi dicevo, quanto è bello non disturbare le persone nel proprio essere… siccome le parole sono sempre una forma di maledizione perché non sono controllabili fino alla fine, quand’è che questa frase di Carla diventa punto di scomparsa di Andrea Dileva? Inoltre un’altra cosa è che tutti noi abbiamo sopportato, tollerato o scelto modi che potevano riguardare il fatto che non eravamo amati abbastanza: ci sono tanti modi di essere amati poco e solo pochi di questi modi sono davvero insopportabili, gli altri sono tollerabili. In questa misura queste donne ricordano ad Andrea che l’amore non è un sentimento che ammette delle classifiche, c’è o non c’è e non sai mai quando non c’è e questo mi piaceva”.

La lunga risposta della scrittrice prosegue parlando della struttura del romanzo. “Non so se voi avete letto quel piccolo, delizioso, intelligentissimo capolavoro che è Nudi e crudi di Alan Bennet. La coppia di coniugi Hanson esce per andare a vedere le Nozze di Figaro, al ritorno si accorge di aver subito un furto: ma i ladri non hanno rubato qualche oggetto, gli hanno rubato tutta la casa, tanto che è rimasta solo la moquette. È una cosa enorme, solo che quando vanno alla polizia a denunciare il poliziotto gli dice: è diventata veramente pericolosa Londra, a me hanno rubato persino il portafoglio. In qualche modo si capisce, come spero si capisca nel mio libro, che la comprensione fra gli esseri umani spesso è competitiva. Si suppone che uno possa comprendere solo se ha vissuto quella esperienza. Il mio libro è costruito così: la comprensione del problema che Andrea ha dichiarato si deve confrontare con Laura che ha problemi di lavoro, con Carla che non vuole stare con suo marito ma realmente non se ne vuole andare, con l’amica Angelica che ha una vita sentimentale disperata. È pieno di comprensione questo libro, comprensione competitiva e da questo punto di vista è un libro estremamente umano”.

Stefano Bon: “Quello che colpisce di questo romanzo, oltre alla qualità della scrittura, è l’assenza totale del melodramma nonostante quello che i personaggi devono affrontare”.

“Ci sono due questioni,  – spiega l’autrice – una di queste è nettamente autobiografica: io odio l’opera lirica (anche se poi ammette di stare cercando di recuperare questo sentimento negativo, ndr), penso che abbia inibito lo sviluppo della musica sinfonica in Italia e di questa cosa non riuscirò mai a farmene una ragione. E poi per quella cosa che dicevo prima, perché in questo libro c’è la comprensione competitiva e il melodramma non alberga dove c’è la dialettica. Questi sono tutti personaggi in un qualche modo molto dialettici, a loro piace discutere di tante cose, come accadeva nella mia famiglia. Io non dimenticherò mai la volta che mi erano venute le mestruazioni, avevo diciotto anni e pensavo di essere il bambino indaco, di essere sfuggita al ciclo di vita e di crescita e che quindi non sarei mai morta. Ricordo una discussione con mio padre sulla marca di assorbenti ed era un discorso collettivo. L’altra cosa divertente della dialettica e che se è sommata all’ironia ti impedisce di vivere realmente i problemi perché ti prendi in giro e loro, i personaggi di questo libro, un pochino lo fanno. Poi  nonostante si trovino davanti a delle mancanze reciproche, non se ne vanno dalla relazione, restano. Loro sono in un qualche modo innamorati e fedeli dei se stessi più giovani che hanno compiuto quelle scelte emotive”.

“Torniamo ai fatti – dice Silvia Travaglini – Andrea perde prima il cuore e poi i polmoni. Allora cosa fa? Va a cercarli nelle storie che conosce meglio, come appunto la mitologia. Ho trovato molto divertenti le pagine in cui Andrea Dileva si è appassionato alla mitologia che ti chiederei di leggere”.

Terminato l’applauso che sottolinea la breve lettura che racconta l’insolito incontro del protagonista con le fantasiose storie degli dei dell’Olimpo, Silvia Travaglini passa alla domanda successiva: “Io penso che il tuo sia anche un romanzo che parla molto di solitudini. Ad un certo punto disegni un’anatomia molto precisa di queste coppie, delle attrazioni liquide: non manca proprio niente, riesci a toccare tutto ciò che è vita. Gli organi di Andrea pian piano scompaiono, la sua amica Angelica, la dottoressa dei morti, lo sta monitorando ed è l’unica che sta prendendo forse un po’ sul serio la situazione. Di questi organi però si vedono le ombre. Se ci sono le ombre questi organi allora non sono del tutto scomparsi: chi mantiene in vita Andrea Dileva?”.

La risposta è, ancora una volta, nel vissuto personale di Chiara Valerio. “Anni fa quando ero ancora a Cambridge – racconta la scrittrice –  la moglie del professore con cui studiavo che era una studiosa di Yale, mi ha fatto leggere quella che era la sua tesi di dottorato in cui spiegava che tutte le metafore provenzali, ad esempio, l’ombra del cuore, sono prese da testi medici. La seconda cosa è che nel ’98 il mio papà sta veramente male, ha un tumore piuttosto avanzato, si cura e adesso sta benissimo. Ma cosa succede? Mia sorella che allora era piccola dice: Troverò una cura per la malattia del mio papà.  Tutti ridiamo, anche mio padre. Però Silvia fa la tesi di dottorato sulla proteina che porta l’antitumorale. Silvia va ancora avanti: ma perché papà è sopravvissuto e alcune persone nelle sue stesse condizioni sono morte? Probabilmente la biografia di una persona vale quanto la biologia di una persona. Quando ad un certo ho pensato di scrivere questo libro ho pensato che ci dovesse essere qualcuno che diceva queste cose. L’avere  delle relazioni anche faticose delle volte esercita le cellule ad accogliere, è come se il tuo corpo fosse una parte di una cellula relazionale più grande abituata ad abbracciare. Se fosse vero che basta amare le persone per non farle morire – è la sua considerazione – avremmo trovato la soluzione. In realtà è vero, ma non è per sempre perché ad un certo punto le persone muoiono. Però è vero che se uno esercita l’unica forza che c’è che è la forza di gravità, questa forza, come ha scritto Dante nella Commedia, coincide con “… l’amor che move il sole e le altre stelle…” Noi pensiamo che salvare sia per sempre, ma non è vero, noi salviamo tutti i giorni, per un poco. Il libro in qualche modo racconta anche questo: che dobbiamo accettare il fatto che tutte le nostre salvezze sono come le nostre verità, assolute ma temporanee e da questa idea non si può abdicare, bisogna capire che si può fallire e che solo fallendo si può fare quella cosa”.

Stefano Bon commenta che “Il cuore non si vede” è un libro diverso all’interno della intensa produzione letteraria dell’autrice. Da qui la domanda: “Come lo collochi nella tua attività di scrittrice?”

Chiara Valerio risponde pensandoci solo un attimo. “Io penso che sia il libro dove non ci sia la matematica che decreta la mia lunga frequentazione con la matematica. Perché la matematica è la disciplina che si occupa delle relazioni fra gli enti e fra i numeri, che mette gli enti e i numeri da soli. E questo è un libro che, al contrario, dice che campiamo tutti insieme. Dopodiché  è chiaro che il personaggio di Andrea Dileva somiglia al personaggio de L’almanacco del  giorno prima. Come è  vero che i genitori di questo libro sono i genitori di tutti i miei libri che poi somigliano ai miei genitori, ed è vero che ci sono gli animali come ci sono in tutti i miei libri. Ma è vero che tutte queste cose sono mischiate, sono in qualche modo più calme. E come se avessi detto, dopo essere stata per anni una professionista della fuga, adesso rimango, anche se le cose non sono come me le sono immaginate e al contrario dei suoi personaggi  in questo senso,  Il cuore non si vede, è anche un romanzo coraggioso”.

Silvia Travaglini: “La generazione che tu racconti è quella dei tuoi coetanei. Pensi che sia uno specchio della generazione che siamo?” “Io spero di no, ovviamente” risponde l’autrice. Per Chiara Valerio “parlare di generazione adesso è fallace. Forse l’unica faccenda generazionale dettata dagli anni ’90 che riguarda i personaggi del libro è che loro sono infantili, vogliono sempre tutto, forse questo è un tratto generazionale che non dipende né dallo studio, né dalla classe sociale. Il concetto di generazione, la percezione di concetto di generazione dipende da due cose. La prima è quando vivi in un posto piccolo, tu sei abituato ad avere tutte le fasce d’età davanti. Io a Scauri (il paese dove la scrittrice ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza, ndr) ero abituata a 12 anni a giocare a carte con persone che di anni ne avevano 80. Quando è morto Mario che di anni ne avrà avuti 85, io non ci potevo credere, perché era un mio amico, non un uomo di 85 anni e i miei amici non potevano morire. La seconda cosa è che ho studiato per tanti anni e che lo studio, in un qualche modo, ti congela. Io le guardo sempre le rughe degli studiosi e le rughe di quelli che hanno passato la vita in fabbrica: sono diverse. Le rughe degli studiosi sono come una tela di ragno sulla faccia, è come se sbiadissero, ma senza cambiare troppo. I miei nonni che hanno fatto i contadini non sono sbiaditi, erano forti”.

Silvia Travaglini torna sul protagonista maschile del romanzo: “Un’altra caratteristica di Andrea è che lui non parla mai al futuro. In un passaggio dice che il suo sentimento persistente è il tramonto. Lui è schiacciato sul presente, l’unica parentesi di futuro è il bambino di Carla, Simone, al quale si affeziona tantissimo. Questa dimensione è tipica dei nostri tempi?”.

A proposito del sentimento persistente del tramonto l’autrice racconta un aneddoto divertente che è una delle cose che le ha ispirato questa sintesi. “Un amico carissimo, Stefano Pisani, che è un matematico pure lui ed è tra i fondatori de Il lercio,  quando cade Berlusconi per la prima volta, mi chiama al telefono tutto allegro e mi dice: Chiara, stasera facciamo qualcosa di romantico, andiamo a vedere il tramonto di Berlusconi. Quello che interessa ad Andrea – continua l’autrice – è l’eternità. Il bambino in qualche modo lo seduce. È Carla che porta il bambino per accaparrarselo. Andrea è il gallo più bello del pollaio e in questa gara, Carla cala il bambino come se fosse un asso e in qualche modo è avvantaggiata. Io parlo come un videogioco perché Andrea è sì un supereroe.  ma è un supereroe per difetto, perché non ha di più ma di meno e tutti possiamo essere supereroi per difetto. Quando Andrea perde i polmoni, siccome Andrea è uno smidollato, la prima cosa che fa è stare sotto in piscina perché tanto non può affogare. Quando però ad un certo punto prova a tagliarsi le vene perché vuole morire ad occhi aperti il sangue non esce.  Tutte le cose che perde gli danno delle possibilità, come succede a noi: non voglio usare il proverbio di mia nonna, quando si chiude una porta si apre un portone, ma le mancanze, i limiti ci danno delle possibilità. Al bambino può raccontare le storie, può avere la coscienza che almeno la memoria delle cose che ha raccontato rimarrà, questa è la seduzione di Simone. Poi c’è una cosa miserabile che riguarda me. Mia sorella ha un bambino che si chiama Francesco ed è circondato da zii. Come fa un bambino a decidere qual è la sua zia preferita quando hai tanti zii attorno? Il giorno che è nato sono arrivati tutti, ma chi è arrivato con un maglione morbidissimo, quattro fili di cashmere? Solo io. Francesco vuole stare sempre in braccio a te, dicevano, sentirà il sangue, in realtà sentiva il cashmere. Si è creata allora la mitologia che il bambino volesse bene più a me. La natura fa sì che dobbiamo essere artificiali per essere amati e io non ho mai deflesso da questa cosa: io vado nel mondo con una maschera ben precisa sperando che alla fine la maschera diventi il volto. Quindi bisogna stare molto attenti  a scegliere le maschere, perché poi ti si piantano addosso come ci hanno insegnato alcuni eroi della Marvel. Però se tu indossi una maschera migliore di quello che sei puoi anche diventarci. Per il bambino di mia sorella ci sono riuscita”.

Stefano Bon accentra l’interesse su Carla, “la gattamorta”. Lei ha una storia particolare che si racconta a modo suo. E anche l’autrice racconta, a modo suo, come è andata con questo personaggio. “C’è questa storia pazzesca – esordisce Chiara Valerio –  che io cito sempre. Il rabbino ha un problema, quando il rabbino ha un problema, va in un bosco, accende il fuoco e dice le preghiere. Quando fa queste tre cose il problema si risolve. La seconda generazione di rabbini ha un problema, ma non sa più qual è il posto nel bosco sa solo accendere il fuoco e dire le preghiere, fanno queste due cose e il problema si risolve. La terza generazione di rabbini ha un problema, solo che il rabbino non sa dove è il posto nel bosco, non sa accedere il fuoco, allora dice le preghiere e il problema si risolve. La quarta generazione di rabbini ha un enorme problema: il rabbino non sa dire le preghiere, non sa dove è il posto nel bosco e non sa accendere il fuoco ma può ancora raccontarlo e questo bastò. Questa è la funzione della letteratura. Questa è la funzione di Carla. Carla è stata in un qualche modo sedotta da un uomo di trent’anni più grande di lei quando ne aveva 12, ma ad un certo punto Carla dice: Io ho preso l’amore nella forma in cui me lo sono trovato davanti, che è poi quello che facciamo tutti. Carla come tutti sopravvive perché si racconta una storia e se la racconta con elementi autentici ma se la racconta a modo suo. Io non so che cos’è l’amore, so semplicemente che è quella cosa che ti fa cambiare stato, non è detto che ti faccia andare verso il meglio, ti fa cambiare stato e per sopportare di cambiare stato bisogna trovare una storia in cui credere ed è quello che fa Carla e lo fa benissimo, io ci credo alla sua storia”.

Matteo Cavezzali si riallaccia ad una conversazione avuta con la scrittrice prima dell’incontro. La sua domanda riguarda il lavoro di  editor di Chiara Valerio: “Secondo te si potrebbe fare un’analisi del nostro paese attraverso i manoscritti degli scrittori o aspiranti tali che arrivano ad una casa editrice?”.

“Io – ricorda la scrittrice – lavoro in casa editrice dal 2008. Nei primi dieci anni ho lavorato gomito a gomito con Ginevra Bompiani, quindi un grandissimo privilegio e una grandissima scuola. Adesso a Marsilio, quando incominciato a leggere siccome sono una persona ossessiva, ho incominciato a fare una specie di mappa di tutto ciò che leggevo e si raggrumavano in vari temi”. In cima alla classifica ci sono allora i manoscritti che riguardano storie che parlano di droghe. “Ma oltre all’eroina e alla cocaina, ci sono dei romanzi storici, sulle saghe familiari e dei romanzi che raccontano del ritorno alla natura e poi, e questa è una cosa nuova degli ultimi due mesi, dei romanzi epistolari: forse ci siamo stancati di scrivere sms e whatsapp e siamo tornati alla carta”.

Infine l’ultimissima domanda è di Silvia Travaglini che si riallaccia alla trasmissione domenicale di Radio 3 di cui si dichiara apertamente fan: “Un libro, un film e una musica che porteresti in un’isola deserta”. I libri in realtà sono due. “Al di qua e al di là dell’umano di Ludovica Koch oppure il dizionario del nomenclatore di Premoli che è una lettura appassionatissima: ti dà il significato della parola in relazione alle parole che le stanno attorno, quando sono molto di malumore apro il Premoli. Poi mi porterei una cosa di musica sacra, ad esempio la Passione secondo Matteo di Bach”. Infine il film. “I film che ho visto più volte nella mia vita sono due: Lanterne rosse e A qualcuno piace caldo. Forse dopo la musica sacra a palla mi rivedrei quest’ultimo, perché la lapide di Jack Lemmon – conclude la scrittrice – mi fa sempre ridere”.