Coronavirus. Marco Martinelli: “Tirare su muri nella nostra anima. Questa è la malattia più grave”

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Marco Martinelli è coscienza e anima della nostra Ravenna. Ed è un artista. Come spesso capita agli artisti più visionari, profetizza, anticipa, vede oltre. Casualmente, forse. Ma ne siamo proprio sicuri?

Decido di intervistare Marco Martinelli su tutta questa brutta storia del Coronavirus senza sapere che lui aveva già visto e scritto. Nel 2004. Con “Salmagundi. Favola patriottica.” Un’operetta meta-patafisica, la definì a suo tempo Luca Doninelli.

“Fin dall’inizio la mia intenzione era quella di inquadrare la stupidità… Evidenziare come stiamo cambiando, in peggio. Non un caso singolo, non l’imbecillità di questo o quel personaggio, ma il dilagare della stupidità di un popolo. Quella stupidità che è la vera, grande, feroce dittatura del nostro tempo, quella forma di paralisi interiore che ci fa tutti “salmagundi”, salami cotti, ululanti in corsa dietro la prima bandierina che sventola” scrive Martinelli in prefazione. E il tema è già squadernato.

Più avanti aggiunge: “Fin dall’inizio ho cominciato a pensare la stupidità come una peste… E insomma la storia del dottor Merletto e dell’Istituto Nazionale per la Prevenzione delle Epidemie ha cominciato a prendere piede… Dove colpirà l’epidemia, nell’Italia del 2094? Al cuore… Ma, si obietterà, non esistono epidemie che attacchino il cuore, le malattie del cuore non sono contagiose! Appunto. Neanche il regno di Salmagundi esiste. Ma nel 2094?”

Questo è in un certo qual modo l’antefatto della nostra intervista. Come avete capito l’incidente da cui partiamo è quello del Coronavirus, ma per “aggredire al cuore” una serie di altre emergenze nazionali. Anzi, esistenziali.

L’INTERVISTA

Sono tanti i rimandi o riferimenti letterari della vicenda Coronavirus. Se ne parla molto in questi giorni. A te questa storia cosa fa venire in mente?

“Be’, all’inizio degli anni Duemila, lavorammo io ed Ermanna su questo tema con Salmagundi, in cui ci figuravamo un’Italia travolta da una grande epidemia. E allora andammo a riprendere certi temi anche letterari. Furono due i testi che più ci colpirono, testi che amavamo da sempre. Il De rerum natura con le ultime immagini di Lucrezio sulla peste che colpisce Atene e poi i capitoli straordinari di Alessandro Manzoni ne I promessi sposi e nella Storia della colonna infame. Manzoni lì ci racconta tanto della nostra fragilità e anche della violenza che si può scatenare in una società davanti a fenomeni del genere, che mettono a dura prova sia l’anima singola, l’individuo, con tutta la sua fragilità, il mistero che siamo nel nostro essere caduchi, sia il tessuto di una società, come essa può rispondere a certe emergenze. Temi fondamentali, densi, da millenni.”

Ne La peste di Albert Camus – che nasce alla fine del secondo conflitto mondiale – l’epidemia si presenta come un’allegoria del male (nazismo, fascismo, guerra) con richiami al trauma della tragedia appena passata… E come il male, la peste non viene mai debellata del tutto, ma resta latente in attesa di poter rimettere fuori la testa. Cosa ne pensi, rispetto a ciò che stiamo attraversando ora?

“Penso che bisogna allo stesso tempo rassegnarsi e non rassegnarsi. Cioè, c’è sempre una parte di noi che dà per scontato che il male non ci sia, che non invecchieremo mai, che non moriremo: è un grande processo di rimozione che attraversa l’esistenza singola e quella delle nostre società. Il male invece è un grande monito e non potrà scomparire, perché fa parte della nostra condizione umana. Madama la Scienza non ce la può fare. Può trovare delle piccole risposte, può darci una mano a essere lucidi, razionali, per non impazzire davanti all’emergere del male, ma non abbiamo le armi per riuscire a debellarlo, a cancellarlo definitivamente. Perché è qualcosa che fa parte davvero della nostra condizione umana.”

In Manzoni – I promessi sposi e Storia della colonna infame – abbiamo la tragica epopea degli untori… lo stesso tema compare anche nel recente romanzo di Eraldo Baldini La palude dei fuochi erranti. Ora, fino a ieri c’erano alcuni nostri politici molto in voga che non si vergognavano di parlare dei migranti africani come di coloro che portano le malattie, la nuova peste… oggi per mezzo mondo gli untori e gli appestati siamo diventati noi italiani. Allora ci indigniamo di fronte agli articoli di giornale, ai servizi delle tv straniere, ai voli cancellati, agli italiani rifiutati… Che cosa ci dice questa cosa?

“Be’, dovrebbe essere una lezione per tutti noi e in particolare per chi ha seminato odio e violenza negli ultimi anni, per chi ha messo in piedi una macchina di propaganda che era ed è un vero e proprio imbroglio. Anche in questo Manzoni è maestro. Ci dice come è facile, come facciamo in fretta a creare dei capri espiatori: abbiamo sempre bisogno di rigettare il male, la colpa, sugli altri. Ma questo è l’inizio della fine. È qui la nostra debolezza, che diventa tragica.”

La malattia, l’ignoranza, la diceria, la paura sono tutt’uno… di cosa dobbiamo avere più paura?

“Di chiuderci. Ma non tanto di chiuderci in casa bensì di chiuderci in noi stessi. Cioè tirare su muri nella nostra anima. Questa è la malattia più grave.”

Cioè, tu dici, prendiamo pure tutte le precauzioni necessarie, ma l’importante è non avere paura dell’altro.

“Sì. Invece oggi la precauzione rischia di diventare proprio paura dell’altro. Una nazione dovrebbe essere non solo le sue autostrade o le sue industrie, dovrebbe essere prima di tutto un senso di solidarietà civile.”

La koinè come cultura e sentire comune.

“Sì. Se non è questo, che cos’è!? Quindi questa vicenda ci deve fare riflettere. Perché, per esempio, negli ultimi anni i vari governi hanno sempre tagliato la spesa sanitaria e oggi ci lamentiamo che mancano i medici e gli infermieri, i posti in terapia intensiva. Allora, invece di parlare solo di barconi e di trovare dei capri espiatori, se avessimo ragionato di più sulle esigenze degli italiani e della nostra sanità pubblica oggi saremmo in un’altra condizione, forse.”

Apocalittici o integrati? Siamo sempre ai due poli opposti… C’è chi vede la tragedia nazionale e chi tende a minimizzare il Coronavirus, perché sarebbe poco più di un’influenza. Secondo te?

“Sono entrambe posizioni sbagliate. Perché nel momento in cui minimizzo il problema non mi do strumenti reali per comprendere una situazione negativa e per agire di conseguenza. Nel momento in cui invece assolutizzo tutto questo creo una sorta di fatalismo. Diciamo piuttosto che l’apocalisse è la condizione quotidiana, è la condizione del molto comune, come diceva Alfred Jarry.”

Fa parte del nostro essere fragili e piccoli.

“Infatti. Bisogna partire da lì. Purtroppo invece chi ha visto in Prometeo il simbolo dell’uomo ha fallito miseramente. Forse ripartendo dal fatto che siamo fragili e piccoli possiamo costruire insieme. Siamo fragili, piccoli, ma insieme. Dobbiamo guardare l’altro come una chance, non come nemico, untore, assassino.”

Cambiare gli stili di vita, stare in casa, vedersi di meno prendendo precauzioni, gli spettacoli dal vivo vietati, i teatri chiusi… sono misure dure, dolorose e difficili da digerire, soprattutto per chi fa teatro e per chi ha una vita sociale ricca. Bisogna aderire per senso di responsabilità e per il bene comune superiore o bisogna opporre resistenza a queste imposizioni?

“Credo che in questo momento tutto questo sia necessario. Non fa comodo a nessuno quello che stiamo facendo, se non alla salute pubblica. Per tutti è un sacrificio o un danno gravissimo. Lo è per il nostro settore, ma anche per il cinema, il turismo, la cultura in generale e per tanti altri settori. Per adesso è un danno grave. Potrà diventare gravissimo e se continua ancora per un po’ diventerà un disastro. Se per curare un male alla fine dovessimo distruggere la nostra società il gioco non varrebbe la candela. Ciò detto, adesso credo abbia un senso dire proviamo a circoscrivere la diffusione del virus, a ridurre i danni. Fra un mese rifaremo i conti. Ma è chiaro che non si potrà andare avanti così. Anche perché ogni giorno in Italia muoiono tre persone sul lavoro ma non per questo si fermano i cantieri. Ogni giorno ne muoiono dieci sulle strade e le strade non vengono chiuse. E questo cosa vuole dire? Che ci sono delle morti a cui ci siamo abituati, che sono diventate naturali e fisiologiche? E queste qui invece? È un qualcosa che ci deve fare riflettere. Fra l’altro Salmagundi finisce con tutti chiusi nella propria casa. No, non è questa la soluzione. Se per un mese stiamo un po’ più in disparte, ci leggiamo qualcosa, pensiamo un po’ di più, forse non è nemmeno male. Certo non può diventare la regola.”

Cambiare stile di vita. Il Decamerone di Giovanni Boccaccio ci parla di questo. C’è un gruppo di giovani che approfitta della grande peste per coltivare l’arte meravigliosa dell’affabulazione, del racconto… e noi?

“Probabilmente stavano a un metro di distanza l’uno dall’altro e si raccontavano queste storie meravigliose.”

A dire la verità, mi pare che Boccaccio la pensasse diversamente sul tenere le distanze.

“Hai ragione (ride, ndr). In ogni caso questa di Boccaccio e dei suoi giovani è una bellissima risposta. Dobbiamo fare come loro: coltivare le nostre anime. E poi vedersi fra amici e conoscenti non fa male. Le precauzioni vanno bene, ma senza eccessi. L’eccesso non porta al palazzo della saggezza, per parafrasare William Blake.”

In “Cecità” di José Saramago l’epidemia si materializza nell’incapacità di vedere, è la storia di un morbo misterioso, che colpisce proprio la vista, e della quarantena a cui vengono sottoposti i malati. Il romanzo è anche un feroce atto d’accusa contro la cecità degli uomini: «È una vecchia abitudine dell’umanità passare accanto ai morti e non vederli.» Stiamo facendo la stessa cosa? E non solo per il Coronavirus?

“È giustissimo, perché succede sempre anche quando non c’è il Coronavirus.”

Pensiamo a quelli che muoiono sui barconi nel Mediterraneo o a quelli che muoiono in Siria.

“È così. E quindi? Vuol dire che questa vita è così impossibile, folle, paradossale? Sì, questo è. E non dobbiamo avere paura di guardare in faccia, vedere, queste cose. Che è l’apocalisse, l’apocalisse del quotidiano, del molto comune. Non è che abbiamo solo ora l’apocalisse perché un manager di 38 anni di Codogno si è beccato il virus e lo ha trasmesso.”

La politica è passata dall’uno vale uno al decidiamo in base a ciò che ci dicono i medici e gli scienziati. È la nemesi: la rivincita della scienza contro l’ignoranza? Della tecnica contro l’incompetenza? Oppure ancora una volta la politica mostra tutta la sua debolezza… incapace di una visione d’insieme del bene comune, prigioniera di un pensiero tecnico e altamente specialistico difficilmente comprensibile alle masse, per ciò stesso oscuro e anche di facile manipolazione?

“C’è da dire che questo Coronavirus è particolarmente bastardo nel nostro caso, perché colpisce una nazione in declino come l’Italia: questo noi siamo da decenni. Declino demografico. Declino economico. Declino politico. Il vuoto della politica è grande e non basta lo slogan dell’ultimo arrivato per trasformare veramente questo vuoto. Non so cosa ci vorrà per ritornare a una visione politica alta. Salmagundi, scusa se torno lì, racconta di un’Italia berlusconiana travolta da un’epidemia di imbecillità. Be’, la realtà non è molto cambiata. Non c’è più quella faccia e quel modo di parlare, ma ce ne sono altri.”

E le imbecillità sui social dilagano quotidianamente.

“Appunto. Sempre peggio. Serve una trasformazione davvero profonda. Finché non saranno ascoltate le persone vere. Vedi, anche nella loro fragilità, fenomeni come quelli di Greta o delle Sardine, sono fenomeni fondamentali: con la loro irruenza adolescenziale e la loro ingenuità ci stanno dicendo delle verità fondamentali. Sono come il bambino della favola che dice: il re è nudo. Dicono solo quello. Non è che possiamo chiedere loro di risolvere i problemi. Siamo noi, la società adulta, che deve prendersi le proprie responsabilità.”

In definitiva, che Italia o che mondo abbiamo davanti? A cosa ti fa pensare?

“Io spero solo nelle belle persone, e ci sono sempre questi segnali positivi. Perché a fronte di un declino politico, di cui ho parlato prima, questo nostro popolo ti dimostra sempre che ci sono delle cose buone, straordinarie.”

Tu sei un ottimista.

“Sono un ottimista scettico.”

Gramscianamente, il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà.

“Sì. Che ha delle radici, se posso, nei Padri della Chiesa. Perché la lunga grande tradizione è quella, di chi guarda il mondo dalla parte delle vittime e non dalla parte dei potenti. Quindi se guardo a questo popolo, vedo tanti segni di belle persone, di gente che anche in questo momento si sta spendendo per gli altri, dà esempi meravigliosi. Questa è la vera grande risorsa. L’Italia in cui spero è questa.”

Hai immaginato di mettere in scena qualcosa su tutta questa storia? Tipo Salmagundi, di cui mi parlavi?

“In questi giorni i miei attori mi chiedevano di riprendere in mano proprio Salmagundi. Il paradosso è che in questo momento non possiamo riprendere nulla, perché abbiamo appena cancellato fra l’altro tutta una serie di date della tournée di Va pensiero. E poi c’è Dante che incombe.”

Magari nel 2022.

“Intanto speriamo che tutto finisca al più presto (ride, ndr). E poi ci penseremo.”

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Commenti

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  1. Scritto da Linda.

    Bello, bravo. Grazie!