Eraldo Baldini: questa crisi dovrebbe farci ripensare l’organizzazione di economia e società, e no, non ci renderà migliori

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Eraldo Baldini è stato molto intervistato nella stagione del Coronavirus, perché è finito nel mazzo degli autori di genere “pandemico”, insieme ai vari – non ce ne vorrà Baldini se li definiamo più illustri – Manzoni, Camus, Saramago, García Márquez. Per sua ventura, infatti, nemmeno sei mesi prima della venuta del Covid-19 era uscito il suo ultimo romanzo La palude dei fuochi erranti che con il senno di poi è apparso in qualche modo profetico dei tempi che stiamo vivendo e della calamità che ci è piombata fra capo e collo. Ma con lui, al di là delle analogie e delle differenze fra la pandemia del XXI secolo e le epidemie del passato, parliamo soprattutto di cosa dovremmo fare ora: l’occasione posta dalla crisi di riorganizzare la nostra società e la nostra economia, di cui tanti parlano, sarà colta? Baldini non ha dubbi e risponde seccamente di no. Insomma sarà l’ennesima occasione perduta. Alla faccia di tutti quelli che dicono che questa crisi ci renderà migliori. E in attesa della prossima crisi.

Baldini Eraldo

L’INTERVISTA

Eraldo Baldini, con l’ultimo tuo romanzo La palude dei fuochi erranti sei stato in qualche modo profetico?

“Bah, profetico… le date di uscita del libro han voluto che succedesse così.”

Intendevo profeta di sventura, iettatore.

“(ride, ndr)”.

Ho parlato di profezia perché, come sai, c’è un romanzo scritto quasi quarant’anni fa da Koontz, The Eye of Darkness, nel quale si ipotizza che in un laboratorio di Wuhan sia stato creato un virus letale e così via.

“Diciamo che si tratta di temi ricorrenti nella narrativa, nel cinema. Io non tanto con il mio romanzo, ma con il saggio sulla storia delle epidemie in Romagna ho letto molto e studiato a fondo i problemi legati a questi fenomeni e, quindi, alla fine, la domanda che uno si pone conoscendoli non è se, ma quando capiterà di nuovo. Non ci volevano doti di preveggenza particolari: le epidemie fanno parte della storia dell’uomo. A volte sono state più ricorrenti anche perché l’uomo aveva meno strumenti di difesa. D’altra parte erano ormai 100 anni che non si registrava una pandemia e si poteva immaginare che prima o poi sarebbe arrivata. Segnali c’erano già stati, per esempio con la Sars e con l’Aviaria.”

Quanto incidono la violenza che l’uomo contemporaneo fa alla natura, l’organizzazione dell’economia, l’iperindustrializzazione, le conurbazioni di certe aree metropolitane?

“Da anni si parla di questo problema dello spillover, cioè della possibilità che un virus possa passare da un animale all’uomo, c’erano tanti scienziati che lo stavano segnalando. E ci stavano mettendo in guardia. D’altronde, dietro tutto questo c’è un dato quantitativo: quando tu su un pianeta limitato come la Terra metti 7,5 miliardi di persone, in certe realtà la pressione antropica diventa insopportabile.”

Al di là dei periodi storici, ovviamente molto diversi, che analogie hai trovato fra la vicenda che stiamo vivendo oggi e le cosiddette epidemie o pandemie classiche, storiche, dalla peste al colera?

“Questa epidemia ci ha portato a capire che, nonostante siano passati secoli dalle grandi epidemie del passato, quando ci si imbatte in un virus aggressivo, nuovo, a forte capacità di contagio, rispetto al quale non ci sono cure sicure, adesso come 500 anni fa le misure più importanti sono sempre le stesse: il distanziamento, i cordoni sanitari, le quarantene, le chiusure. Allora non sapevano dei microrganismi che causavano la malattia e il contagio, ma sapevano che il contatto esponeva al contagio e quindi pragmaticamente cercavano di limitare i contatti. Oggi l’esigenza primaria è ancora quella.”

Adesso abbiamo la scienza e la medicina che conoscono e possono molto molto di più. Anche se non tutto.

“Certo. Abbiamo questo che è un punto di forza. Ma abbiamo anche dei punti di debolezza. Nel mondo interconnesso e in cui la gente è molto più numerosa e circola molto di più, si diffonde molto più facilmente anche il virus rispetto a società del passato in cui le comunità erano spesso isolate e i mezzi di comunicazione più lenti e limitati. E poi c’è un altro fattore: allora la vita media era di circa 35 anni, inferiore in ogni caso ai 40 anni, vuol dire che c’era stata una sistematica selezione naturale delle persone. Adesso abbiamo – soprattutto nei paesi più avanzati – società piene di anziani, con tanti malati cronici, persone che allora non avrebbero potuto vivere, perché la medicina e le condizioni generali di vita non consentivano alla gente di arrivare a un’età così avanzata. Adesso hai delle aree di società quindi estremamente fragili, in cui il virus può diventare più che mai letale.”

Tu come pensi sia stata trattata questa faccenda del Covid-19 fra gli anziani nel nostro paese, in particolare nelle strutture che li ospitano?

“Senza entrare in opinioni personali, credo sia abbastanza evidente a tutti che sono stati compiuti degli errori. Perché i luoghi che ospitano le persone più fragili andavano protetti con un cordone sanitario rigido.”

Invece da qualche parte hanno pensato bene addirittura di portare nelle case di riposo i malati di Covid-19. Una follia.

“Ci sono delle inchieste in corso che stabiliranno come sono andate le cose. Ma pare proprio che queste cose siano accadute e non dovevano accadere.”

Che cosa pensi dell’idea che è circolata e circola, piuttosto cinica, in cui i governanti – e non solo – ritengono che forse è necessario sacrificare i più fragili purché la vita continui, soprattutto affinché non si fermi l’economia?

“Per dirla in termini generali, direi che è una distorsione del capitalismo, per usare vecchie categorie. Abbiamo società con quote elevate di anziani improduttivi, in cui questa improduttività è anche frutto di nuovi stili di vita. Perché anche solo 40-50 anni fa gli anziani continuavano a vivere all’interno delle famiglie e ad avere un ruolo significativo. Adesso la struttura sociale e familiare è diversa e spesso gli anziani restano soli, ai margini.”

Nella dicotomia salute ed economia – posto che bisognerebbe riuscire a trovare un equilibrio virtuoso fra questi due corni della realtà attuale, ma non sembra affatto facile – tu da che parte stai?

“Io penso che siamo arrivati a un punto in cui pensare che ci debba essere costantemente e all’infinito quella che viene chiamata ‘crescita’ sia un fatto deleterio. Non ci può essere crescita economica continua. Perché non ci sono le condizioni. Non c’è nulla che sia inesauribile né infinito. Pensiamo alle risorse che abbiamo a disposizione. Con questo non voglio perorare la causa delle decrescita felice.”

Ma bisogna ripensare il modello di sviluppo, l’organizzazione economica e sociale forse.

“Sì. Dobbiamo renderci conto che si può vivere con meno, con meno superfluo, perché oggi forse metà delle cose prodotte non sono veramente necessarie. Bisogna trovare un equilibrio nuovo con la natura, con la qualità della vita, e soprattutto con la salute. Altrimenti cose di questo genere diventeranno sempre più frequenti. Anche perché il Coronavirus ha fatto passare in secondo piano il tema drammatico dell’emergenza ambientale e del cambiamento climatico, che resta e con cui dobbiamo fare i conti comunque. Covid o non Covid. La mia idea è che questa era l’occasione per ripensare seriamente il nostro modello di economia e di società. Ma allo stesso tempo sono convinto che questa occasione sarà sprecata.”

Tu non sei fra quanti vanno dicendo che questa crisi ci renderà migliori?

“No. No. Assolutamente.”

Che cosa pensi del comportamento degli Italiani nella crisi che stiamo attraversando. Sei rimasto colpito positivamente, negativamente? O cosa?

“Per il mio stile di vita, io sono uno di quelli che senza alcun sacrificio è rimasto a casa. Praticamente non esco di casa da due mesi e mezzo. Da quello che osservo e leggo mi sembra che – al di là di episodi fisiologici e inevitabili – la popolazione abbia risposto bene a una chiamata al senso di responsabilità individuale e collettivo tanto forte e nuova.”

Sei preoccupato della Fase 2? Apre quasi tutto e la gente circola molto di piu.

“Credo sia inevitabile mettere in conto che il virus avrà delle occasioni in più per diffondersi. Bisogna solo continuare ad essere responsabili. Non dobbiamo pensare che il peggio è passato e che quindi ora c’è il liberi tutti. Non è così.”

E cosa pensi invece della conduzione della crisi da parte dei decisori politici?

“Mi pare che a livello regionale e comunale le cose vadano meglio. Invece ci sono dei problemi a livello nazionale. Il decreto aprile diventa maggio. Le mascherine non ci sono. I tamponi non hanno i reagenti. Nonostante i 450 esperti e i 750 decreti e tutto il resto, non mi sento di poter dire che le cose siano gestite in maniera adeguata.”

Eraldo Baldini con il suo ultimo lavoro

Allora ti chiedo di fare un altro confronto. La politica del XXI secolo è tanto più preparata di quella dei secoli del passato ad affrontare emergenze come questa?

“C’è la stessa differenza che esiste fra uno stato totalitario e uno stato democratico. Teniamo conto che secoli fa la democrazia non esisteva, nemmeno quando il potere era gestito in maniera per così dire illuminata. Il potere di allora – che fosse il Granduca di Toscana o il Papa – prendeva misure draconiane.”

Come in Cina, fatte le debite proporzioni.

“Beh, allora ti impiccavano. Mi viene in mente la figura di Gaspare Mattei, il Commissario del Papa che salvò praticamente la Romagna dalla peste del 1630: lui aveva tirato delle linee sul terreno e dato ordini precisi che quelle linee non fossero superate. Aveva ai suoi ordini drappelli armati che se trovavano qualcuno che trasgrediva lo impiccavano sul posto. Certo non è auspicabile. Ma allora diciamo che il rispetto delle regole non era basato sulla responsabilità individuale quanto sull’esercizio della coercizione e della forza da parte del potere.”

Difficile dunque convivere con il virus in un regime democratico, in cui bisogna confidare più sulla responsabilità delle persone che sul potere di coercizione?

“La responsabilità individuale è fondamentale, ma sarà tanto più convinta e diffusa tanto più lo Stato e il Governo daranno l’idea di sapere cosa fare, con misure chiare, messe in atto. Altra cosa è quando il Governo e lo Stato sembrano non sapere cosa fare, i politici e perfino gli scienziati litigano o hanno opinioni contrastanti sulle cose da fare, con una confusione di decreti che ce n’è uno ogni tre giorni e non si capisce più cosa è in vigore e cosa no. Aggiungi la lentezza nell’applicazione delle misure economiche di sostegno. Quando succede tutto questo la responsabilità individuale non trova un punto di riferimento per rafforzarsi.”

Nel Medioevo e durante la grande crisi del Seicento trionfavano credulità, pregiudizi e superstizioni. C’erano gli untori. Si dava la colpa a questo o a quello. Adesso, sui social per esempio, dilagano stupidità, pregiudizi e fake news. Quindi? 

“Sì. Ma non è la stessa cosa. Allora da una parte si cercava il capro espiatorio, l’untore, che poteva essere l’ebreo, la strega piuttosto che altre figure marginali della società. Poi c’era il pensiero religioso dominante per cui da ogni pulpito di ogni chiesa si parlava di terremoti ed epidemie come di castighi divini.”

Adesso non c’è più la punizione divina perché siamo secolarizzati. Ma resta la ricerca del nemico su cui scaricare le responsabilità. O la buttiamo in politica, come stanno facendo Usa e Cina, per esempio.

“Sì. E poi attraverso il web circolano milioni di pseudo informazioni che vengono diffuse e prese per buone. Questo fa crescere nuove forme di credulità e d’altra parte fa ritenere tutti di essere diventati degli esperti.”

Come hai vissuto tutta questa fase sul piano emotivo e sul piano creativo?

“Lavorando in casa e non essendo una persona con una grande socialità, l’unica cosa che ha cambiato la mia vita è stata l’impossibilità di presentare i miei libri e incontrare il mio pubblico. Per il resto sono stato qui come sempre a scrivere, a leggere, a lavorare, non soffro per niente la solitudine, sono abituato a vivere da solo.”

Hai avuto paura?

“Quel sano e inevitabile timore. D’altra parte ho limitato al massimo le uscite di casa e i contatti, per cui…”

Avresti dovuto essere davvero ‘sfigato’ per beccarti il Covid-19.

“Esatto (ride, ndr). Pensa che in quasi tre mesi, da metà febbraio mi sono sempre fatto portare la spesa a casa, tranne due volte.”

E che cosa hai prodotto nel tuo periodo di clausura?

“Un saggio a cui pensavo da tanto tempo che s’intitola Quel che vedevano in cielo, in cui spazio dall’antichità ai tempi moderni raccontando tutti i prodigi celesti, le comete, gli oggetti volanti, gli strani fenomeni naturali, che andavano a comporre l’immaginario collettivo delle varie epoche. Il libro è fatto, le bozze sono corrette, c’è la copertina: ci stiamo solo chiedendo insieme all’editore se e quando vale la pensa uscire. Anche perché ero appena uscito con il libro Dante in Romagna, scritto insieme a Giuseppe Bellosi, che praticamente è ancora da presentare. Avevamo già un ricco calendario di presentazioni che poi è saltato. Presentazioni che, per chi scrive saggi come me, sono molti importanti, perché questi libri li vendi solo andando a fare le presentazioni. Io ne ho sempre fatte in media circa 130 all’anno.”

Quindi la perdita economica è stata forte?

“Certo. Lo scrittore non è professione contemplata fra quelle che possono ricevere nemmeno i 600 euro, perché chi lavora in regime di diritti d’autore non necessita di partita d’iva. Dunque noi semplicemente non esistiamo. Va così.”

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Commenti

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  1. Scritto da Cittadino inc..to

    Questa crisi ha messo in evidenza il peggio del peggio delle persone.Gente che fotografava i vicini di casa in giardino, che chiamava le ff.oo. per comportamenti secondo loro scorretti, ecc.ecc.. Solo tanta malvagita’ del genere umano. Gente che applaudiva dai balconi tutti gli operatori sanitari, e che quando questi entravano alla coop senza fare la fila ne dicevano di ogni!!! Questo triste momento ci ha aperto gli occhi, adesso sappiamo chi sono le persone che ci circondano. Utile saperlo per guardarci le spalle. Sono capaci di tutto.

  2. Scritto da Eric

    No, dai, non solo tanta malvagità, non esageriamo.
    Come ci sono i “malvagi”, esistono anche i”buoni”
    Gente come a Russi, che ha regalato, mettendole nelle buchette della posta in molte case, le mascherine….
    Operatori sanitari che facevano la fila anche se potevano passare avanti.
    Gente che faceva la spesa per chi non poteva.
    Gente che si è adeguata a stare in casa, come Eraldo.
    O chissà quante altre cose.
    Non siamo mica tutti uguali, da qualche decina di migliaia di anni.