Elena Bucci sulla riapertura dei teatri: “L’ascolto ritrovato non sia bruciato da incertezza del futuro”

Il 15 giugno 2020, per il mondo dello spettacolo dal vivo e in particolare del teatro, non sarà una data come un’altra. Riapriranno ufficialmente, infatti, molti teatri del nostro Paese, con gli addetti ai lavori chiamati ad una sfida tanto difficile quanto interessante ed inedita. Un’opportunità per gettare le basi di un futuro nel quale le parti chiamate in causa siano maggiormente consapevoli e attente alle esigenze delle persone..

È notizia di questi giorni che il progetto della Compagnia Teatrale Le Belle Bandiere “Archivio Vivo” sta proseguendo i suoi racconti di storie per ritrovare e mettere in luce la vitalità di un patrimonio comune di memoria, al quale tutti possono attingere e contribuire per il futuro. È possibile consultare la pagina archiviovivo.weebly.com, dedicata al Teatro Comunale di Russi e alla storia del lavoro fatto per la sua riapertura. Ricordiamo che “Archivio Vivo” è un progetto di teatro, cinema, musica, letture e incontri per raccontare una parte di storia dell’arte dal vivo, di persone e di luoghi.  Il progetto è ideato da Elena Bucci, progettato da Marco Sgrosso ed Elena e sostenuto dal Comune di Russi.

È proprio la vulcanica Elena Bucci, attrice, drammaturga e regista teatrale a fornirci uno spaccato molto approfondito in merito all’attuale situazione del mondo dello spettacolo italiano in questi tempi di fortissima crisi, cogliendo l’occasione per condividere riflessioni che vanno ben oltre la sfera dello spettacolo.

L’intervista

Il settore dello spettacolo è stato tra gli ultimi se non l’ultimo ad essere considerato nel decreto rilancio. Riflesso di una sottovalutazione radicata nel nostro Paese?

“Quel gentile, geniale, ironico, uomo che fu Anton Cechov fece un viaggio in Italia passando da Venezia, Bologna, Firenze, Roma e Napoli e scrisse in una lettera: “A parte la bellezza dei paesaggi e la dolcezza del clima, l’Italia è l’unico paese in cui ci si senta convinti che l’arte domina davvero su ogni cosa e tale convinzione infonde coraggio.” Questa frase mi provoca gioia e una grande nostalgia: chiarisce in maniera perfetta il mio desiderio di vedere allacciate, attraverso un progetto culturale di ampio respiro, l’arte e i luoghi incantevoli del nostro paese. Tutti ne avremmo da guadagnare, in bellezza della vita, vicinanza tra le persone, economia virtuosa, possibilità di lavoro e dignità. Se davvero si coniugassero le arti con la qualità dell’accoglienza, continuo a pensare che basterebbe poco al nostro Paese per diventare un paradiso, anche con tutti gli scempi che una politica economica poco attenta al futuro ha perpetrato in alcuni luoghi meravigliosi difficilmente recuperabili, come Venezia, Bagnoli, Taranto.”

Dal sogno alla realtà…

“Abbiamo visto quanto potere abbia la natura di rigenerarsi, basta sforzarsi tutti insieme di cambiare rotta correlando tutte le competenze perché questo nuovo movimento non crei povertà, ma nuove e diverse occasioni di lavoro. Abbiamo tanti luoghi da valorizzare, abbiamo la forza e l’originalità di tanti artisti, abbiamo l’entusiasmo e la fedeltà di tanto pubblico. In questo momento, nel quale dobbiamo inventare di nuovo le arti da vivo, mi pare che ogni luogo possa diventare un teatro, approfittando del patrimonio di bellezza che ci ha lasciato la storia e aprendo ancora di più i teatri stessi perché diventino per tutti spazi di confronto, riflessione, divertimento, sogno, rigenerazione del senso delle comunità. Abbiamo sussultato quando il settore spettacolo è stato dimenticato nei discorsi della politica, abbiamo temuto quando la difesa di un patrimonio così prezioso e di alta qualità, che è il sale del nostro paese, è stata affidata a volti noti, ma non sempre adatti a questo compito, abbiamo sofferto nel vedere atteggiamenti paternalisti e a volte superficiali. Ma si sono creati anche movimenti molto seri di organizzazione collettiva per discutere del nostro futuro e per cercare di migliorare la situazione esistente, quasi tutti sostenuti da professionisti di grande livello e da consapevolezza. Una parte sana, reattiva e in ascolto delle istituzioni e della politica ha cominciato a muoversi. Come mi è capitato già di dire, l’emergenza creata dal virus ha soltanto messo in spietata evidenza una situazione di crisi: molti artisti del teatro, della musica, della danza, molti operatori, direttori, organizzatori erano già in affanno e costretti ad ottemperare la regole non sempre adatte alle esigenze dell’arte dal vivo. Molti si stavano già interrogando intensamente sulla relazione con le istituzioni, con l’informazione, con i media e con il pubblico. Potrebbe essere un’occasione per ritrovare relazioni autentiche e armoniche che diventerebbero un’occasione di crescita per tutti”.

Potrebbe essere un’occasione. Ma il 15 giugno è la data di riapertura dei teatri. C’è grande incertezza e anche curiosità su come potrà evolvere la situazione…

“L’annuncio di questa data mi ha stupito e, confrontandomi con altri, ho riscontrato lo stesso stupore, misto a contentezza e preoccupazione. Ci si aspettava di dover attendere più a lungo. Sono certa che molto hanno influito le istanze presentate da grandi festival che hanno fatto il possibile per confermare i loro appuntamenti con il pubblico e con gli artisti. Credo che anche i maggiori teatri d’Italia si siano mossi in tal senso, cercando di proporre protocolli che garantissero sia la salute del pubblico che quella degli artisti in vista della ripresa delle arti dal vivo. Ci sono poi le molte petizioni al riguardo che, come già ho accennato, sono state promosse e sostenute da tanti artisti e operatori.”

C’è stata una spinta alla riapertura.

“Di certo il mondo dello spettacolo ha mostrato grande vitalità e forza di reazione: è importante che si valutino anche le grandi difficoltà alle quali si va incontro, a partire dalla realizzazione dei protocolli per arrivare alla questione legata alla diminuzione dei posti nei teatri e a tutte le difficoltà economiche e organizzative relative. Se per i grandi e medi enti e teatri sostenuti dalle istituzioni sono problematiche impegnative ma risolvibili, pur con tanto impegno e investimento, rischiano di essere motivo di chiusura momentanea o definitiva per tante realtà più piccole o indipendenti che hanno storie e programmazioni prestigiose e di qualità, ma con minori se non quasi inesistenti risorse pubbliche. Sarebbe triste se l’originalità virtuosa e sobria diventasse un ostacolo che conduce alla sparizione e non fosse considerata un merito. Dovremmo garantire lo spazio per ogni tipo di pubblico, di gusto, di programmazione. Abbiamo comunque sentito che c’è molto desiderio di uscire di casa e lasciare ogni tipo di comunicazione in video, per quanto interessante, per tornare a ritrovarsi intorno ad eventi dal vivo. Fa piacere sentire questo rinnovato desiderio per un piacere dello spirito, della mente e del cuore: forse la grande paura, non ancora finita, di perdere libertà, lavoro, vicinanza ha costretto ad allargare lo sguardo a tutto il mondo, a valutarne le ingiustizie; forse ha restituito a molti la consapevolezza di quanto l’azione di ognuno sia preziosa per il benessere di tutti, restituendoci in pieno la coscienza di quanto la democrazia chieda a livello di partecipazione ma restituisca in libertà, forse ha rivelato quanto ci sia bisogno di rinunciare al superfluo, scegliere, liberarsi dalle vocine della pubblicità per sentirsi più leggeri, generosi, in armonia; forse ha indotto a pensare quanto sia importante che alla guida del paese e nei punti chiave dell’economia, della politica, dei servizi, delle istituzioni ci siano persone competenti, capaci di ideali volti al bene comune e che a tal fine usino il loro potere, resistendo alle lusinghe della manipolazione.”

Come ci ha cambiato il Coronavirus?

“Questi pensieri, che sono anche sentimenti, visioni poetiche, parole, immagini, trovano la loro privilegiata palestra negli spazi delle arti dal vivo e dell’incontro. In quei luoghi siamo presenti, liberi con un gesto, una parola, un silenzio o semplicemente con la presenza o assenza, di cambiare e dirigere il corso delle cose. I teatri e i luoghi dell’arte possono tornare ad essere il centro della società civile, ma solo se ritrovati con quella cura che spesso mancava. Anche se in questi giorni sembra tutto tornato quasi come prima, io sento che qualcosa è cambiato nel cuore e nella consapevolezza di molti. Spero allora che si sappia guardare a questa data del 15 giugno come a un’opportunità per guardare, vedere, osservare veramente cosa accadrà, sperimentare e riflettere. Ognuno di noi tiene stretto un pezzetto del futuro che andremo a costruire, con attenzione, rispetto e capacità di scelta. Io scelgo di sognare ad occhi aperti. Mi diverto di più”.

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Foto di Marco Caselli

 

L’episodio della demolizione del teatro di Tirana è stato un duro colpo al cuore per la comunità locale e non solo. Difficile comprendere cosa stia realmente accadendo in questo momento…

“Sono stata nel Teatro di Tirana, molti anni fa, con il Berretto a sonagli di Pirandello che dirigevamo in quattro (Bucci, Sgrosso, Vetrano e Randisi, ndr) e interpretavamo in sei (Marika Pugliatti e Antonio Alveario) per un progetto di ETI, un ente teatrale italiano che da un giorno all’altro è stato soppresso e che si occupava, tra le altre cose, di scegliere compagnie e spettacoli da portare all’estero. Ricordo che trovai in rete la notizia in maiuscolo rosso: l’ETI è soppresso. Non so e non voglio entrare qui nel merito di quelle decisioni – chissà che cosa avrà combinato qualcuno – che avranno avuto ottime ragioni, ma la modalità di questi e altri eventi legati al nostro mondo mi fanno spesso sentire in un romanzo di Bulgakov o di Kafka, sopraffatta da movimenti che rendono tutto possibile e allo stesso tempo assurdo. Quell’ente e quella sigla erano per molti di noi qualcosa di inossidabile e sono spariti nel nulla, come molti nomi di artisti. Mi domando spesso: esisteranno archivi dove sono raccolti i documenti? E per gli artisti, qualcuno ne avrà custodito carte e memorie? Nel Teatro di Tirana le pareti erano tutte una memoria: manifesti, fotografie e documenti. L’accoglienza fu molto cordiale e calorosa, ma il teatro era gelido, molto più freddo dei nostri dei quali pure spesso ci lamentavamo. Si capiva che era stato un teatro molto attivo e amato, ma ora era quasi in stato di abbandono. Era dicembre, ma noi non dicemmo una parola di protesta. Un’attrice ci disse: anche nelle case non abbiamo il riscaldamento, non possiamo lamentarci di non averlo in teatro. Tremando, con la schiena nuda, recitai fino alla fine sperando che la mandibola continuasse a muoversi. Antonio Alveario, che è siciliano, non disse una parola ma stoico, con eleganza, indossò nove strati di lana. Dopo lo spettacolo però fummo invitati a cena in un lussuoso ristorante appena ristrutturato a forma di antico castello. Quando andammo in visita in un orfanotrofio dove fu tenuto un laboratorio di teatro, notammo con sgomento i vetri rotti. Ci spiegarono che i soldi venivano stanziati, ma sparivano subito, prima di diventare vetri. I bambini ci guardavano come se fossimo personaggi di una favola e non volevano lasciarci andare via. Per le strade era buio. Enzo Vetrano in un momento di entusiasmo guardò le stelle, ma non dove metteva i piedi e finì dritto dentro un tombino. Li rubavano per rivenderli. Dai finestrini della corriera che ci portò da Tirana a Valona vedevamo decine di bancarelle di carote e centinaia forse migliaia di parabole per la televisione, anche appese alle baracche. Sulla nave, che avevo costretto tutti a prendere per paura di quello che avrebbe potuto essere il volo, e avevo ragione, molti dormivano a terra con la parabola in braccio. La portavano in dono alla famiglia per Natale.”

Questa era l’Albania di ieri. Oggi?

“L’Albania era una terra di contraddizioni, ma i suoi artisti erano molto appassionati, fieri, curiosi, ansiosi e pieni di speranza per il grande mutamento che il paese stava attraversando. Mi ha colpito la notizia del piccolo gruppo di registi e attori rimasti nella notte dentro il Teatro, mentre tutti gli altri, alle 4 di notte passate, erano andati a dormire, sperando che per quel giorno il pericolo fosse scampato. Li ho immaginati, stupiti, poi disperati, trascinati fuori dal teatro mentre le ruspe avanzavano. Quel luogo aveva resistito a tanto, ma non ai devastanti effetti della pubblicità e del consumo fine a se stesso, che fanno parere luoghi di sollievo e incontro i centri commerciali, dove ad ogni relazione è sottesa una manipolazione. Anche in Italia ho visto molti palazzi, teatri, piazze, luoghi di lavoro, lavatoi, distrutti per fare posto a torri moderne, cinema, centri commerciali, teatri modernissimi e brutti dove nessuno va volentieri. Sono stata in quei teatri, in quei palazzi e ho provato, per tutto il tempo, un senso di grande tristezza e sconfitta: tanti anni di storia, tanta sapienza, tanta cultura accantonati in un lampo. Non sono mai stata contro il nuovo, sono molto curiosa, ma solo se il nuovo si integra nel patrimonio del passato e lo valorizza, se diventa l’anello di congiunzione tra le generazioni e le epoche. Di solito queste operazioni devastanti nascondono accordi politici, questioni di interesse non sempre limpide, ma a volte sono soltanto il frutto dell’imitazione di modelli che paiono vincenti in virtù dei numeri. Il fatto che debbano distruggere l’esistente secondo me ne denota la fragilità e la cattiva coscienza: perché non integrare il vecchio e il nuovo se non perché il nuovo ci farebbe una gran brutta figura? In quest’ottica, il teatro e l’arte sembra che possano esistere soltanto se affiancati da luoghi di commercio che muovono grandi numeri, se essi stessi diventano grandi numeri, perdendo le loro naturali finalità e cominciando ad inseguire con affanno i modelli della televisione, perdendo se stessi e la loro funzione centrale di punto di riferimento dei cittadini.”

Torniamo all’Italia.

“In Italia abbiamo il privilegio di osservare, nelle nostre città, quanto l’armonia delle relazioni tra commercio, lavoro e arte si sia spesso trasformata anche in bellezza dei luoghi che a sua volta ha contribuito alla qualità della vita di molte generazioni. Non sono certa che al presente questa affascinante relazione tra utilità e bellezza sia cercata e studiata, temo che vinca la casualità delle speculazioni o un’idea di progresso e felicità che ha già dimostrato tutti i suoi micidiali difetti. Credo che sia molto importante oggi, per la salute fisica e mentale nostra, del pianeta e di chi verrà dopo di noi, distinguere tra quanto è necessario e ci dà gioia e quanto acquistiamo compulsivamente per colmare l’angoscia che deriva, appunto, da un mondo brutto e ostile, orientato soltanto a manipolare e a considerare le persone fonti di guadagno o speculazione. Vengono spacciate per progresso e migliorie economiche, ma qui, dove gli scempi sono già stati fatti, già vediamo come molti centri commerciali si trovino a chiudere perché, anche senza rendersene conto con chiarezza, molti si sono stancati di essere considerati soltanto polli di batteria pronti all’acquisto”.

Siete soddisfatti della prima puntata di Polis Teatro Festival?

“Osservo con partecipazione gli sviluppi di questo e altri progetti, contribuendo meglio che posso con il mio pensiero e il mio lavoro, che offrono la possibilità di creare visioni collettive e di mantenere, anche tra mille difficoltà acuite dall’emergenza ancora in corso, una relazione viva tra artisti, studiosi, pubblico che induca a interrogarsi sul ruolo dell’arte, sul suo futuro, su spazi, diritti e doveri all’interno delle comunità. Come ho già detto altre volte, mi pare che quanto è accaduto nell’ultimo periodo e le reazioni all’emergenza nelle loro molte sfumature abbiano rivelato in modo fulmineo e inequivocabile quello che siamo al presente. Anche le piattaforme social sono per me un microscopio attraverso il quale, anche senza volere, si amplificano le caratteristiche delle persone. Ho avuto il tempo di osservare meglio, di riflettere e credo di avere compreso quanto abbiamo bisogno di attitudini costruttive per accantonare le abitudini classificatorie, giudicanti, estremamente critiche che permeavano e permangono in ogni aspetto della nostra vita, culturale, politica e quotidiana. Non vorrei più essere coinvolta in questa gara senza premi, volta spesso al massacro o fine a se stessa e mi sorveglio. Faccio tesoro di questo sentimento, cercando di mantenere questo atteggiamento di ascolto ritrovato che non vorrei fosse bruciato dalla mia paura del futuro. E appunto, per non temerlo, trovo sia un bene evocarlo insieme e progettarlo, come in questa occasione di incontro, scambio e pensiero”.

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Foto Massimo Agus

 

Su quali progetti artistici e culturali avete lavorato in queste settimane nonostante le difficoltà?

“Ci siamo dedicati con grande piacere alla creazione dei moltissimi contributi che ci sono stati richiesti per sostenere progetti in rete che mantenessero una relazione con il pubblico in attesa della riapertura dei teatri. Abbiamo scritto testi, registrato voci, realizzato video per molti teatri e compagnie, come Ravenna Festival, Napoli Teatro Festival, Kilowatt, Università di Bologna, progetto La permanenza del classico, Teatro pubblico ligure e i già presenti ErosAntEros. Alcune riprese dei nostri video sono state messe a disposizione della Regione Emilia Romagna per il progetto #laculturanonsiferma. Abbiamo virtualmente partecipato nello stesso modo alla rassegna del Centro Teatrale Bresciano, Il posto delle fragole e a Radio Tre Suite su invito di Laura Palmieri con riflessioni sull’emergenza e brani di spettacoli annullati. Per Emilia Romagna Teatro sto realizzando un testo registrato su Leo de Berardinis, il nostro maestro. Abbiamo partecipato a molte video conferenze con allievi di Accademie di Teatro, come la Nico Pepe di Udine, Accademie di Belle Arti come quella di Macerata, Università come quelle di Bologna, Roma Tre per Teatro Palladium, Statale di Milano, gruppi di artisti interessati a discutere del presente e del futuro, sia giovanissimi che di grande prestigio internazionale. Abbiamo partecipato a movimenti di pensiero e rilasciato numerose interviste, con molto piacere.”

Parlaci del progetto Archivio vivo.

“Contemporaneamente abbiamo sviluppato il progetto Archivio vivo, che si propone di raccontare la storia della nostra compagnia, intrecciandola a quelle degli artisti e dei teatri che abbiamo avuto vicini, ma raccontando anche della Romagna dove abbiamo sede e dove abbiamo riaperto il Teatro Comunale, insieme agli attori del nostro laboratorio e a cittadini di ogni età, estrazione e credo politico, con le banche, le istituzioni, le associazioni. Vorrei raccontare la storia di persone che per me sono come romanzi, di mestieri che si perdono, di luoghi che mutano, creare una biblioteca che raccolga la memoria di tutti. Abbiamo per questo realizzato un sito, Archivio vivo, un blog, Cinema Teatro Italia, aperto alle testimonianze di artisti e pubblico, stiamo realizzando documentari e quaderni. Inoltre ci siamo dedicati alla cura dei progetti futuri, scrivendo, leggendo, studiando, immaginando scenografie, ascoltando musica e pensando agli attori; uno dedicato alla storia degli attori e uno dedicato ad un testo mai rappresentato in Italia di David Grossman che ha apprezzato e accettato le mia visione, e poi sta cominciando la costruzione del giro degli spettacoli, visto che lo smarrimento di tutti sta lasciando posto al desiderio di spettacolo dal vivo. Abbiamo anche accolto una simpaticissima e assai preparata troupe della RAI che ha voluto riprendere la casa dei miei genitori, dove tutto è cominciato e dove ha alloggiato molto teatro italiano, il Teatro di Russi e la mia ex scuola di Fossolo, dove lavoriamo per l’Archivio, registriamo e proviamo: una bellissima giornata di scambio di esperienze e pensiero. Per quanto mi riguarda, ho avuto il tempo di ripensare a spettacoli del passato che mi sono sembrati degni di essere ripresi in futuro e ho scritto tanto per costruire lavori nuovi e un poco anche per mio piacere e necessità. Ne avevo davvero un grande desiderio e ho capito che devo riservarmi anche in futuro questo tempo di creazione che diventa il fondamento dell’ispirazione”.

Si prospetta un’estate completamente diversa da quelle che abbiamo conosciuto, ma anche piuttosto triste, inutile nascondersi dietro a un dito. Il mondo dello spettacolo come può fornire stimoli costruttivi?

“Credo che la tristezza debba essere legata al pensiero di quanti morti si sarebbero potuti evitare se la sanità italiana avesse avuto la protezione e gli strumenti adeguati a fronteggiare questa pandemia, prima di tutto. E dico a me stessa che dovrò essere triste se dimenticherò in fretta quanto ho imparato, se tornerò a correre senza riservarmi il tempo necessario al pensiero, come accennavo, se smetterò di ascoltare con questa rinnovata partecipazione che mi permette di ascoltare suoni che non percepivo da tempo, se rinuncerò ad osservare tutto ciò che non mi assomiglia, se perderò interesse a seguire le vicende del mondo, se smetterò di osservare il nido di tortore che ho ora davanti agli occhi, inaspettato, e il movimento dei suoi abitanti che, pur diffidenti, sopportano la mia presenza e il mio sguardo, se ricomincerò a desiderare quello che non mi serve perdendo di vista invece quello che per me è essenziale, se perderò il piacere di questa sobrietà che mi fa respirare meglio e la capacità di dire no a quello che non voglio. Il mondo dello spettacolo può, con ironia, gioco, pensiero poetico, commozione, urgenza, raccontare quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, può mettere l’accento sulle visioni che derivano, può celebrare lutto e nascite, gioia e dolore attraverso la trasformazione dell’esperienza di ognuno in storie di tutti. Abbiamo cominciato a progettare, insieme al Comune di Russi, di allestire uno spazio per letture e azioni di teatro all’aperto, in un luogo che si chiama Parco Bucci perché fu della mia famiglia. Era un campo tra i filari di vite, un luogo di giochi e di lavoro che mantiene ancora il suo fascino fuori dal tempo, come se si cadesse nella Romagna di molti anni fa. Sono felice che diventi uno dei primi luoghi dedicati al teatro dopo la chiusura. Progetti simili si stanno facendo in altri luoghi con i quali collaboriamo con piacere, si riaprono le Accademie di Teatro con le loro prove aperte. Potremmo avere delle sorprese e ritrovare le radici della gioia di stare insieme, dal vivo, ancora una volta, nell’essenziale, dove non ci sono orpelli o stratagemmi per incantare o mascherare il vuoto, ma soltanto l’autenticità e la qualità dell’esperienza, le sue profonde, antichissime ragioni. Potrebbe essere un’estate che non vuole dimenticare le memorie dolorose, ma proprio per questo, potrebbe essere molto molto meno triste di quelle vissute tra confusione, smercio e solitudine del cuore”.

Torniamo un attimo al nido di tortore dinanzi alla finestra. Spiegaci meglio il ‘quadretto’…

“Mando una cartolina dalla mia finestra in Romagna: se si guarda bene a sinistra si vede quello che io vedo dalla mia finestra di lavoro. Forse in virtù del silenzio della prima fase dell’emergenza, una coppia di tortore dal collare, di solito solitarie e guardinghe nei confronti degli umani, ha fatto il nido proprio qui davanti. Pare anche che siano monogame, una volta che si sono scelte non si lasciano più. Ho il privilegio di avere una compagnia d’eccezione. Ora, a turno, covano le uova, scambiandosi il posto. A volte mi guardano, poi si girano di spalle. Sembra che non mi temano, anche se non possono non sentire il ticchettio dei tasti del computer o la mia voce al telefono. Mi insegnano a stare tranquilla, a sostare, ad ascoltare anche in questa seconda fase durante la quale tutto e tutti paiono agitarsi. Osservo, sento. E poi: mi telefona A. F. un signore classe 1937, nostro fan fin dai primi tempi in Romagna. È lui, con gli amici del Circolo fotoamatori, che ha ripreso tutte le nostre gesta, gli incontri, gli spettacoli. Grazie al suo archivio abbiamo straordinari materiali per il documentario Archivio vivo. È molto preoccupato perché non ha ripreso dalla televisione il servizio della RAI. Gli spiego la questione del link al podcast. Ma non si può dire in italiano? Mi chiede. Ma cosa è successo che la nostra lingua non basta più a niente? Comunque mi faccio aiutare da mia figlia, dice, vado sul computer e poi riprendo. E poi: voglio dirti che mi hanno telefonato dal teatro di Russi per chiedermi cosa volevo fare con l’abbonamento, se riavere indietro i soldi o spostarlo all’anno prossimo. Io ho detto: ma non si possono dare i soldi dell’abbonamento agli artisti? Dicono di no. E allora lo sposto all’anno prossimo, magari così è una scommessa che porta bene, a me e a voi. Io, appena si può, a teatro ci vado”.

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A cura di Alessandro Bucci