“Er” un atto d’amore di Marco Martinelli e un’incursione nel condominio femminile di Ermanna Montanari foto

“Er” è il prezioso vestito di sartoria artigianale – un film di 67 minuti – che Marco Martinelli ha confezionato con un sapiente lavoro di taglia e cuci, come tributo a Ermanna Montanari sua compagna di vita e di teatro. La pellicola celebra “l’arte-in-vita di Ermanna” come recita la locandina. A ricordare che Ermanna è viva e lotta insieme a noi. E continuerà a farlo per un pezzo, mentre di solito questi omaggi si confezionano “a fine carriera”. Ma per Marco è diverso: l‘omaggio-tributo è prima di tutto un atto d’amore, di devozione, di adorazione nei confronti della sua anima gemella. Già, qui siamo in presenza di quel legame fra anime per cui esiste un’affinità spirituale e sentimentale talmente profonda da poter essere interpretata come segno di predestinazione a incontrarsi e amarsi. Nel linguaggio di ogni giorno usiamo la metafora della “mezza mela”, per cui le due anime gemelle sono complementari come le due parti di una mela tagliata a metà. Tutto ciò ci porta – e non è forse un caso – al Simposio di Platone in cui viene rielaborato il mito greco dell’androgino. Il mito racconta che all’alba dei tempi gli umani non erano suddivisi per genere e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Poi questi esseri femminili e maschili insieme cominciarono ad essere preda di una sorta di hybris che potremmo definire come una forma di delirio di onnipotenza, osando perfino sfidare gli dei e questi, per punizione, li separarono in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano tende a ritrovare la propria iniziale completezza, cercando la propria metà perduta. Senza farla ancora più lunga, ecco Marco ed Ermanna. Ermanna e Marco. Predestinati. Inseparabili. Senza quel fulmine sarebbero ancora quattro gambe, quattro mani e due teste. E in certi momenti, nel furore creativo, ne siamo certi, lo sono ancora.

Ermanna è donna, è universo femminile. Ma sa essere anche uomo. Mescolanza di generi. Certo, sulla scena. Guerriera. Volitiva. Indomita. Dolce. Determinata. Feroce. Dominatrice. Assassina. Strega. Puttana. Madre. Regina. È una combattente, per il teatro, per la luce, per la vita, per l’amore. Nomen omen. Non a caso Ermanna viene dal tedesco Hermann che sta per guerriero. Non a caso il titolo deriva dal guerriero Er della Repubblica di Platone. E di Platone ci sono le  sette sirene, queste sette figure con le loro sette note a comporre l’armonia dell’insieme: Fedra e Frau Cazzafuoco, Arpagone e Fatima, Belda e madre Ubu, infine Tonina Pantani.

Il film – presentato il 5 dicembre scorso nell’ambito del Filmmaker Festival – è stato realizzato da Marco Martinelli durante la sosta forzata della gente di teatro nella primavera di questo 2020, partendo da una serie di materiali di archivio, una sorta di “sezione aurea” – come la definisce lui – delle opere costruite negli anni da lui stesso insieme all’inseparabile compagna. Er è un monumento in vita a Ermanna e “alla sua arte di attrice e autrice, sempre alla ricerca di nuove forme, suoni, voci. Le immagini dal repertorio degli spettacoli si innestano e fioriscono attorno a una lunga camminata, filmata di spalle, sul ciglio di una strada della campagna romagnola, in cui la scena teatrale diventa contrappunto in primo piano. Er ci riporta alla mente Ermanna, ma anche l’errare e l’errore alla radice del pensiero platonico. L’Errare sta alla radice della poetica di un fare \ disfare \ rifare sempre presente all’interno del teatro di Ermanna e Marco: sempre in cammino, per una messa in scena che sia messa in vitasi legge nella presentazione.

Ermanna Montanari

L’INTERVISTA

Marco Martinelli, perché questo titolo “Er”, ovvero il nome di un guerriero per un film su Ermanna Montanari?

“È il mito di Er ed è descritto nel decimo libro della Repubblica di Platone. Er è un guerriero, appunto, che muore e la sua anima si incammina assieme a tante altre verso i luoghi ultraterreni. Ma quando arriva là, i giudici dicono alle altre anime di andare agli Inferi o ai Campi Elisi – il nostro Inferno e Paradiso – mentre a lui dicono no, tu dovrai viaggiare, vedere tutto quello che c’è qui e poi ritornerai fra i vivi e racconterai ai viventi il mondo dell’aldilà.”

Er è un Dante ante litteram?

“Sì. O se vogliamo è proprio la figura dello sciamano. Parlo dei viaggi estatici degli sciamani, vere e proprie discese nella psiche profonda. L’Inferno e il Paradiso sono la profondità della nostra anima e gli sciamani dei tempi antichi la frequentavano, là discendevano. I grandi poeti – Dante è un poeta sciamanico – hanno ereditato questa capacità di viaggiare in territori profondi, anche pericolosi. E questa cosa l’ho legata al fatto che Ermanna spesso si firma Er: è un’abbreviazione che usa quando scrive. Il titolo l’ho pensato così, per accompagnare questa lunga camminata di Ermanna.”

Una lunga camminata attraverso il palcoscenico del teatro e della vita, che ritroviamo come azione nel film: le riprese si aprono con Ermanna che cammina, di spalle, i lunghi capelli neri fluenti. Dice qualcosa fra sé, recita una sorta di nenia, che subito non si capisce. E tu indugi a lungo su di lei, sulla schiena, sui capelli, sul sedere… con un piacere quasi voyeuristico.

“(Ride, ndr) Guarda, quella è l’unica ripresa che ho fatto io personalmente con la macchina in mano. Sono io quello dietro la cinepresa.”

E in quella scena state anche un po’ giocando…

“Adesso ti spiego com’è nata questa cosa. È stato parecchi anni fa. Avevo in mente di fare il mio primo film, Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, e così ho comprato una piccola camera per addestrarmi. Un giorno con Ermanna ci siamo messi in strada fra Campiano e San Zaccaria, lei stava lavorando in quel momento sul Macbeth e stava imparando a memoria il monologo famoso tomorrow, tomorrow, tomorrow. Siamo partiti da casa – dove siamo anche adesso – a piedi e io avevo in mano questa piccola macchina per riprendere: sapevo solo che volevo stare dietro di lei, imparare a usare la macchina riprendendo lei da dietro, mentre lei imparava il suo monologo camminando. Fu una lunga camminata di un’ora e un quarto. Poi nel lockdown di primavera, quando ho deciso di fare un film su Ermanna, sono andato a recuperare quel girato di tanti anni prima. Alla fine si capisce un po’ meglio quello che dice Ermanna, perché finalmente dopo oltre un’ora lei aveva imparato le parole di Shakespeare che all’inizio sembravano solo un borbottio.”

La domanda sul voyeurismo non era così superficiale come poteva sembrare. Perché questo film-tributo è un atto d’amore. Si percepisce in ogni passaggio del film che tu adori l’attrice e ami la donna. O viceversa, fai un po’ tu…

“(Ride, ndr). Sì, sì, tutte e due le cose, confusamente intrecciate.”

A me ha colpito molto nella sua semplicità e dolcezza la scena finale, con il primo piano di Ermanna in Piazza del Popolo… quel volto a te caro, sul quale indugi di nuovo a lungo. 

“Sì. A parte la ripresa della camminata per le strade fra Campiano e San Zaccaria, tutte le altre immagini sono materiali d’archivio che ho montato, tagliato, segato, rimontato, accostato, con figure, personaggi e rappresentazioni anche lontane fra loro negli anni. Quell’ultima immagine di Ermanna in Piazza del Popolo è dei primi anni ’90: è di una tv tedesca, venuta a Ravenna per fare un servizio sulle Albe, questa nostra compagnia multietnica, che allora era veramente una cosa nuova. Ho trovato queste immagini in archivio, con Ermanna in primo piano che ascolta mentre le stanno facendo una domanda. Con quel volto di un’Ermanna giovane e intensa mi sembrava bello chiudere il film. La giusta icona.”

Veniamo alle sette sirene e alle sette note. Spiegaci.

“È sempre Platone, nell’ultimo libro della Repubblica. Er vede queste sirene così accordate, ognuna ha la sua nota e insieme formano una sinfonia, assumono forma armonica. Mi è sembrata una metafora bellissima del teatro e dell’attore o attrice, che incarna ogni volta una figura, con una sua nota. Le sette figure che ho scelto per Ermanna sono l’una molto diversa dall’altra. Frau Cazzafuoco è molto diversa da Fatima, l’asinella parlante, madre Ubu è molto diversa da Fedra e Tonina Pantani. E così via. Ma insieme sono una musica.”

Certo c’è il teatro con la tua musa, Ermanna. Il suo volto. La sua voce. I timbri. La mimica. La fisicità. Sono gli amori di una vita. Ma poi ci sono anche altri temi. Il teatro mette in scena la vita. E qui prepotentemente c’è la vita al femminile, la donna, la dimensione e la figura femminile. Che spesso l’uomo non comprende. Che teme. Che demonizza. Che colpevolizza. Che ritiene pericolosa. E da qui tutti gli stereotipi… dall’assassina alla suicida, dalla pazza alla strega fino alla madre coraggio.

“Da quando conosco Ermanna, avevamo vent’anni, ci siamo innamorati e sposati, lei ha spesso usato questa espressione: il mio condominio. A significare tutte le figure che sono dentro di lei. Lei ha sempre sentito dentro se stessa la suicida come l’assassina, la strega come l’asinella che può ascoltare tutti i lamenti del mondo. E questa sua capacità di essere molte e molti ci ha permesso nel corso dei nostri 40 anni insieme di variare tanto sulla scena. Queste variazioni del femminile che giustamente sottolinei, sono anche le variazioni delle Albe, una compagnia che ha molto investigato in quella direzione.”

Ovviamente è molto attuale, tremendamente attuale, questo viaggio nell’universo femminile e nel plurale, nelle differenze di genere… se pensiamo a tutta la violenza che queste differenze fanno esplodere. Con le donne che diventano vittime della ferocia e spesso anche della cosiddetta giustizia maschile.

“Assolutamente. Quando eravamo giovani pensavamo che la divisione di classe fosse la chiave per risolvere il garbuglio del mondo. Questa divisione tremenda di generi, in realtà la precede forse nella storia…”

O perlomeno l’affianca e l’intreccia.

“Certo. Tutte queste sono le problematiche e i nodi che tengono l’umanità ancora in questo stato che con Marx potremmo definire di preistoria… non ne siamo ancora usciti. In questi ultimi anni, però, il fatto che la violenza sulle donne sia balzata così all’attenzione generale e condannata dalla gran parte delle persone almeno è un passo avanti importante. È un tema che si porta dietro anche l’altro nodo terribile irrisolto: quello dell’oppressione del forte sul debole. Perché ancora servi e padroni? Sono le domande prime e ultime di chi ancora prova a fare arte.”

Veniamo all’avarizia di Arpagone. L’avarizia è indifferenza, è omissione di aiuto, è egoismo, è solitudine. È tutto il contrario dell’empatia, della solidarietà, del ‘ci salviamo tutti insieme’ o, per dirla diversamente, nessuno si salva da solo. Mi sembra una riflessione perfetta per il tempo buio e pieno di incognite che viviamo.

“Certo. E pensa dunque quanto Molière sia nostro contemporaneo. Facendoci ridere, mette il dito in questa piaga terribile che ancora oggi ci affligge: non il denaro in quanto semplice oggetto, ma quello che noi proiettiamo sul denaro in termini di ansie e desideri. E non ne siamo usciti. Siamo dentro fino al collo a questo incantesimo maledetto.”

La figura di Belda, la strega di Lus, il testo di Nevio Spadoni, è una figura molto bella. Un po’ pazza, un po’ guaritrice, un po’ visionaria, incompresa, parla agli asini e sembra parlare a noi quando dice “mi sono caricata sulle spalle tutti i vostri mali” oppure “ci portiamo addosso la febbre alta di questo tempo”, vado a memoria, non ricordo le parole esatte… Belda parla di noi, qui, adesso. Dell’angoscia di questa pandemia. E invoca la luce… Non è un caso che tu abbia montato il pezzo di Belda oggi, no?

“È così. Quei versi di Nevio danno veramente i brividi. Sempre. Ed è un testo che ci ha sempre accompagnato. E oggi quei versi fanno eco a questa pestilenza. Belda parla della pestilenza degli esseri umani, della loro cecità in quanto tali, ripete “sfregatevi gli occhi con la guazza della mattina perché non diventiate ciechi del tutto”. È un’invocazione alla luce, sconvolgente.”

Se vuoi è un’invocazione attualissima. Potremmo dire altrimenti: aprite gli occhi, proteggetevi, salvatevi e salviamoci da questa pandemia… come individui e come comunità.

“Assolutamente sì.”

Altre figure molto belle sono madre Ubu, quasi come una maschera comica alla Charlot, oppure la Regina d’Africa a Diol Kadd.

“O anche il fantasma della donna bianca al cubo. Quella coppia l’abbiamo costruita insieme a Mandiaje Ndiaye, padre Ubu, lì stiamo facendo I Polacchi proprio nel suo villaggio in Senegal. Facemmo lo spettacolo all’interno di uno spiazzo – praticamente un teatro di sabbia – e poi terminammo lo spettacolo uscendo dal teatro e inoltrandoci per le vie del villaggio, fino alla savana. Questa camminata mi è piaciuta molto perché fa il paio con la camminata iniziale di Ermanna. È la struttura generante di tutto il film.”

Mi vengono in mente immagini di Pasolini, so che tu lo ami e quindi magari non sono accostamenti forzati. Ma vedo la passeggiata di Ermanna nella campagna di Campiano e vado al viaggio di Totò in Uccellacci e Uccellini. Mentre la Regina d’Africa mi fa venire in mente Medea o il Pasolini della trilogia della vita…

“Hai ragione, sì. Ho sempre amato di più il Pasolini cineasta rispetto al drammaturgo, che pure è autore di tutto rispetto. E in particolare i suoi primi film da Accattone a Il Vangelo secondo Matteo e poi Uccellacci e Uccellini, sono stati per me un riferimento.”

Finiamo con Tonina Pantani, madre coraggio. A mio parere uno degli spettacoli più belli portati in scena dalle Albe. E in quella occasione Ermanna fu una madre straordinaria, con questa metamorfosi da donna timida e appartata a madre combattente in nome del figlio morto: “dopo quello che è successo non ho più paura di niente”, dice indomita. 

“E tra l’altro, anche questa sequenza non è stata decisa a tavolino. È nata nello studio di Francesco Tedde, che voglio proprio citare perché è stato un compagno di lavoro preziosissimo. Lo studio Antropotopia che Francesco ha messo su a Ravenna insieme al fratello Alessandro, è uno studio di montaggio e post produzione con i fiocchi. Alla fine accostare una figura all’altra è stato come creare un’armonia musicale e questo finale di Tonina che va al cimitero a parlare col figlio e gli dice “ci qua bel” è un qualcosa che ti fa trattenere il fiato, ti sospende. Una donna capace di combattere in maniera furiosa e di parlare poi così dolcemente sulla tomba del figlio. Fra l’altro, abbiamo trovato delle immagini di un Marco Pantani giovanissimo, quasi adolescente, quando andava in bicicletta su e giù per la strade della Romagna. Una specie di contrappunto al vagare di Ermanna per le strade della nostra campagna.”

Due assenze di cui ti chiedo conto. Non hai inserito né Maryam né Aung San Suu Kyi. Perché?

“Nel caso di Aung San Suu Kyi è stato facile, perché gli avevamo già dedicato un film intero. Mi sembrava inutile inserirla qui. Per Maryam non c’è una spiegazione precisa. Quella figura credo che la recupererò in qualche maniera, ho già qualche idea in testa.”

Ora tu ed Ermanna siete a Campiano, nel vostro buon ritiro durante questa sorta di semi lockdown, e che cosa state facendo?

“Stiamo lavorando al Paradiso. L’ipotesi di fare tutto il trittico delle tre Cantiche nel 2021 purtroppo è saltata. Non è pensabile per esempio proporre l’Inferno, fondato proprio sull’assembramento, un assembramento continuo e furioso di corpi.”

Se rappresentaste l’Inferno gettereste le premesse di un inferno… sarebbe perfetto.

“Infatti (ride, ndr). Non si può fare. Anche il Purgatorio è impensabile, sebbene ci sia meno densità. Noi stiamo provando a ipotizzare di fare solo il Paradiso, cioè di completare le tre Cantiche nel 2021 anche se la situazione non sarà ottimale. Poi d’accordo con il Sindaco, perché gliene abbiamo già parlato, dal momento che la trilogia Inferno-Purgatorio-Paradiso era uno degli eventi centrali delle celebrazioni dantesche del 2021, a pandemia finita la prima grande festa che faremo in città sarà la rappresentazione di tutta la trilogia, come un grande evento liberatorio.”

Ma come fate con la chiamata pubblica e la partecipazione corale dei cittadini al Paradiso?

“Adesso stiamo lavorando con l’Accademia di Brera, con lo scenografo Edoardo Sanchi e i suoi allievi e con la costumista Paola Giorgi e i suoi allievi, e poi con Luigi Ceccarelli per le musiche. Stiamo facendo diverse ipotesi su quante persone sarà possibile coinvolgere, perché la risposta si potrà conoscere solo a primavera avanzata, non prima. Posso aggiungere che pensiamo di ripartire dalla fine del Purgatorio, cioè dal giardino della Casa di Riposo Garibaldi, per terminare sul prato della Loggetta Lombardesca.”

Un’ultima domanda è d’obbligo: come state vivendo voi questo tempo di penitenza per i teatri che sono chiusi e per i teatranti che non lavorano?

“Noto una grande difficoltà a gestire questa pandemia, non solo qui in Italia, ma in tutto il mondo. È qualcosa che va oltre le capacità umane. Ci può essere un governo che fa meglio e uno che fa peggio, ma nessuno ha la ricetta. Si va avanti mano a mano, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. L’unica cosa che abbiamo chiara – al di là del vaccino che arriverà e che speriamo risolva la situazione, ma è ancora tutto da vedere – è sempre quella misura di difesa messa in atto già nell’Atene di 2.500 anni fa o nella Londra di Defoe: il distanziamento, la chiusura. Altre armi per ora non abbiamo. È vero che l’estate scorsa quando i teatri erano stati aperti erano sembrati luoghi sicuri, più sicuri di altri luoghi: eravamo stati bravi. Che proprio i teatri fossero un luogo di contagio, beh qui ci sta un grande punto interrogativo.”

Sai che non è questa la ragione della chiusura. Si sono chiusi cinema, teatri e musei per ridurre la circolazione delle persone… non perché fossero luoghi particolarmente pericolosi.

“Certo. Certo. Lo capisco. È difficile prendere queste decisioni. In ogni caso noi abbiamo deciso in questa fase di donare 70 mila euro devoluti dal Governo ad artisti e compagnie per dare loro un aiuto concreto. Questo è ciò che ora devono fare i teatranti: preparare il tempo della festa futura, preparare degli spettacoli importanti, che abbiano senso. E avere anche del tempo per lo studio e l’approfondimento può essere utile. E poi chi ha un teatro, delle strutture, finanziate dal Ministero, deve essere conseguente in termini di solidarietà. Non fare solo dei bei proclami sui valori e sulla solidarietà, ma praticarla. Non bisogna pensare solo al proprio orticello.”

Se fai come Arpagone non va bene, no?

“Sì. Ma qui è ancora peggio. Perché almeno Arpagone è coerente. Tanto dice, tanto fa. Altri invece a parole dicono tanto ma nei fatti fanno poco. C’era un vecchio adagio una volta: Avere il cuore a sinistra e il portafoglio a destra. Ecco, così proprio non va bene.”

Marco Martinelli ed Ermanna Montanari

“Er” un film di Marco Martinelli dedicato all’arte-in-vita di Ermanna

  • con Ermanna Montanari
  • montaggio da materiali di archivio Marco Martinelli, Francesco Tedde
  • consulenza e relazioni con la stampa Rosalba Ruggeri
  • organizzazione e promozione Marcella Nonni, Silvia Pagliano con Francesca Venturi e Veronica Gennari
  • produzione Ravenna Teatro/Teatro delle Albe in collaborazione con Antropotopia
  • materiali dall’Archivio del Teatro delle Albe: I brandelli della Cina che abbiamo in testa regia di Maria Martinelli, produzione Albe di Verhaeren, ST. ART; Ippolito regia di Gerardo Lamattina; Sterminio riprese di Alessandro Renda; L’Avaro riprese di Alessandro Tedde e Francesco Tedde; Siamo asini o pedanti? riprese video TV ARD/Germania; LUṢ regia di Gianni Celati, produzione Pierrot e la rosa; Perhindérion riprese di Stefano Mordini; Museum Historiae Ubuniversalis di Alessandro Renda, distribuzione Ubulibri; Ubu Buur di Alessandro Renda, distribuzione Ubulibri; Rosvita-Lettura Concerto di Aqua-Micans Group, distribuzione Luca Sossella Editore; Pantani riprese di Alessandro Renda e Marco Martinelli; L’isola di Alcina di Nico Garrone; Cenci riprese di Isabella Ciarchi
  • si ringraziano per la preziosa collaborazione Maria Martinelli, Cosetta Gardini, Laura Redaelli, gli asinelli della Pianura e le strade di Campiano.