Ravenna Festival. Presentato al Giardino Rasponi il libro-catalogo “Dedicato a Dante” foto

L’attenzione che tra le pagine del libro di Ravenna Festival da sempre è riservata alle realtà locali, a quelle nascoste negli archivi come a quelle che pur sotto gli occhi di tutti finiscono per essere trascurate, è confermata dalla piccola ma significativa scelta di scatti di Silvia Camporesi – parte della mostra Appunti per un terzo paesaggio (2021). Immagini che riportano appunto a un paesaggio che tutti conoscono, o credono di conoscere, ovvero quello delle archeologie industriali legate all’oramai tramontato stabilimento SAROM. La fotografa forlivese – che al suo attivo ha oltre a mostre in Europa ma anche in India e in Canada, è presente nelle collezioni del MAXXI di Roma e del MART di Rovereto, ha vinto premi importanti e pubblicato ben sette volumi – oltrepassa i muri finora invalicabili di quel misterioso complesso e, come ben spiega Sabina Ghinassi, traccia “un cammino in un luogo iconico che accoglie immaginari altri, un’immersione in un meta-paesaggio postmoderno dove rientra quello che è quell’area, oggettivamente ora, e quello che è diventata come luogo simbolico per tutti. […] ne raccoglie il riverbero mitico, censisce il vuoto delle architetture degli uomini e il pieno del movimento biologico, della natura nel suo farsi entropico e costruisce una lunga poesia”. Di quell’esperienza industriale, chiusa definitivamente dalla metà degli anni Ottanta, che ha segnato la storia economica, sociale, ambientale della città, nonché della sconfitta e delle delusioni che ne sono venute e dei problemi ingombranti che ancora oggi a essa sono legati parla anche, in appassionato saggio Danilo Montanari, che ne traccia con piglio giornalistico e disincantato l’evoluzione.

Ma tornando alle immagini di Silvia Camporesi, c’è un altro capitolo della “veste” iconografica di questa XXXII edizione di Ravenna Festival che si rifà al suo lavoro: la brochure che raccoglie l’intero programma è disseminata delle sue fotografie. Luoghi abbandonati, segnati dal tempo e dal maldestro passaggio dell’uomo, paesaggi deserti, immobili, frammenti di memorie: un varco verso la spiaggia, una poltrona abbandonata nel vuoto di una stanza dai muri scrostati, una panchina “mangiata” dal verde dell’edera, un capanno cadente sulle acque immobili di una laguna… “Cosa può fare l’artista ancora per sorprenderci?” si chiede Danilo Montanari: “Ritorna a valere l’originalità del pensiero, la coerenza stilistica e poetica. Un piccolo passo di lato per rivedere e ripensare luoghi e oggetti che hanno vissuto altre dignità”.

Una parte rilevantissima dell’apparato iconografico del volume di quest’anno è costituita dalle fotografie provenienti dall’archivio di Giovanni Zaffagnini, fotografo di Fusignano che per vent’anni ha condotto ricerche etnografiche entro i confini linguistici della Romagna insieme a Giuseppe Bellosi. Le fotografie pubblicate sono infatti una piccola selezione tra gli 11.000 scatti realizzati nel corso di quel lunghissimo e irripetibile lavoro sul campo, fra i primi anni Settanta e i primi anni Novanta. L’archivio fotografico di interesse etnografico di Zaffagnini è stato recentemente oggetto di vari interventi sulla stampa locale a seguito della proposta di acquisto da parte di una università americana, a cui sono seguiti vari appelli per far rimanere l’archivio presso le istituzioni culturali della nostra Regione. Appelli a cui le istituzioni hanno risposto con manifestazioni di interesse generico, ma senza alcuna reale proposta di acquisizione e di valorizzazione pubblica. Il saggio di Cristina Ghirardini ripercorre la ricerca intrapresa da Zaffagnini sul mondo popolare (prima autonomamente e poi, dalla metà degli anni Settanta, insieme a Giuseppe Bellosi), ricorda la formazione di Zaffagnini, avvenuta a contatto con altri grandi fotografi della nostra terra, come Luigi Ghirri e Guido Guidi, e insiste sulle strette relazioni tra le fotografie di Zaffagnini e le registrazioni sonore di Bellosi. I paesaggi, i luoghi, i contesti e le persone ritratte nelle immagini infatti trovano corrispondenza nelle interviste che Bellosi conduceva sul ciclo della vita e sul ciclo dell’anno nella cultura popolare, sulla medicina tradizionale, sui canti rituali, sul dialetto, sui carnevali e sui riti della Settimana Santa. Emergono così, intrecciando fotografie e registrazioni sonore, le figure di grandi depositari del sapere tradizionale, persone dalla scolarizzazione estremamente limitata, ma che sapevano utilizzare magistralmente la parola poetica, conoscevano tecniche artigianali raffinatissime, sapevano coniugare la produttività del suolo con la conoscenza dell’ambiente e con un senso del sacro intriso di mito e di magia che regolava la vita quotidiana, nella quale vivi e morti, umani e viventi non umani erano in stretta connessione.

Ad aprire la pubblicazione una dedica, “Dantesco da sempre”, un breve racconto per immagini che testimonia il legame del Ravenna Festival con il Poeta. Una traccia molto forte nella programmazione artistica, sviluppata ampiamente nell’edizione 2015 del catalogo, e qui ripresa da Susanna Venturi che con un’attenta ricerca d’archivio ricostruisce le celebrazioni propriamente musicali del Seicentenario della morte di Dante, dalla presenza di Toscanini alle composizioni appositamente commissionate.
Piergiorgio Giacché, biografo e studioso, di Carmelo Bene ricostruisce in modo competente e appassionato, la memorabile “Lectura Dantis” del 31 luglio 1981 a Bologna, dalla Torre degli Asinelli, nell’anniversario della strage della stazione di Bologna del 2 agosto dell’anno precedente, mentre il critico musicale Pierfrancesco Pacoda racconta come il musicista newyorkese Arto Lindsay, illuminato da quella lancinante lettura a cui fu fortunosamente presente, creerà possenti vortici sonori proprio partendo dalla voce, dalla ‘phoné’ di Bene.

A due protagonisti dell’attuale edizione del Festival come il coreografo Maurice Béjart e la ‘basilissa’ Teodora (protagonista assoluta dell’opera omonima di Mauro Montalbetti (musica) e Barbara Roganti (regia e testo) sono dedicati, invece, i saggi rispettivamente del critico di danza Rossella Battisti e della storica Maria Cristina Carile.
È la volta poi del rapporto con l’Italia di tre grandi compositori, distanti tra loro di cinque secoli: Josquin Desprez (500 anni dalla morte), Igor Stravinsky (50 anni dalla morte) e Astor Piazzolla, nei 100 anni dalla nascita, rapporto sapientemente indagato da Carlo Fiore, Oreste Bossini e Luca Cerchiari, con l’aggiunta di preziosi ricordi e annotazioni stravinskiane di Alfredo Casella, Beniamino Dal Fabbro e Marcello Panni, mentre Anita Pesce approfondisce la lettura del capolavoro del compositore russo Les Noces data da Roberto De Simone, che lo ‘traduce’ in dialetto garganico, facendolo diventare Lo ‘Ngaudio.
Ancora Pierfrancesco Pacoda ci offre un’analisi molto aggiornata dell’intenso rapporto tra musica, suono e parola nella musica rap, ossessionata da rima e quindi in dialogo continuo con la poesia, di cui rappresenta una dimensione giovanile popolare e metropolitana.
Chiude la serie dei contributi Minas Lourian che ripercorre i rapporti che sono intercorsi tra il festival e la sua terra di origine – l’Armenia, che sarà meta del prossimo Viaggio dell’Amicizia.

Sebastiana Nobili con un’intervista a Marina Sagona anticipa la pubblicazione del libro “ La Commedia delle donne” (The Comedy of Women), un progetto multidisciplinare promosso da Ravenna Festival che immortala nove donne della Commedia portando alla contemporaneità grazie alla sua arte figurativa immaginifica e a voci straordinarie della letteratura contemporanea.