“L’ultima città di Dante”, una mostra di Gianni Morelli nel Palazzo della Prefettura con 2 pareti arredate su Ravenna, i polentani e un busto di Biancini

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Tra le numerose iniziative che a Ravenna celebrano il 7° centenario dantesco ecco un nuovo contributo, “senz’altro il più scarno ed essenziale” così definito dal curatore Gianni Morelli. Si tratta dell’esposizione “L’ultima città di Dante” con due pareti arredate in Prefettura e con il busto del Poeta, opera del grande scultore e ceramista faentino, Angelo Biancini. Due pareti arredate che non parlano direttamente di Dante; raccontano invece di Ravenna e della famiglia Da Polenta che l’ebbe ultimo ospite gradito.

Questa mostra nasce da qualcosa di unico: la collezione degli stemmi dei Signori di Ravenna, che hanno inizio addirittura dall’anno 48 a.C. con Giulio Cesare e giungono al tramonto del governo pontificio. Collezione voluta dall’ultimo Cardinal Legato residente nel Palazzo della Prefettura di Ravenna, Francesco Saverio Massimo, commissionata in data 1 gennaio 1846 al proprio pittore di corte, il ravennate Angelo Ferrari.

La mostra – visitabile da domani venerdì 22 ottobre – è stata curata da Gianni Morelli con la collaborazione di Francesca Masi, realizzata con il contributo della Camera di Commercio, di Azimut e dello Studio Bolzani.

Scrive Gianni Morelli: “Uomini e insegne di governo” nella parete sinistra: 12 stemmi di coloro che avanti e durante la permanenza di Dante, tennero il governo della città di Ravenna. A destra “L’onore dei Da Polenta”. Una puntata pressoché inedita, dedicata alla famiglia Da Polenta, così come mons. Mazzotti, storico di grande temperamento, ebbe modo di commentarla attraverso le pitture della sua chiesa. Don Mario Mazzotti era a quel tempo parroco della basilica di Santa Maria in Porto Fuori, distrutta dalle bombe anglo-americane il 5 novembre 1944. Ci è piaciuto completare questo nostro contributo con alcune immagini flash tra cui le bellissime maschere, a cura della Società dantesca, del 1925, che forse già conoscete e che certo apprezzerete anche in questa circostanza. Un grazie speciale al Prefetto Enrico Caterino, che per primo ha suggerito questa incursione nelle celebrazione dantesche. E grazie altresì all’Amministrazione comunale per aver accolto il nostro contributo nel calendario delle celebrazioni. Grazie infine agli amici Francesca Masi e Paolo Bolzani che hanno condiviso fin dall’inizio questo non consueto omaggio.”

L’esposizione ospita opere in mosaico eseguite dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna dedicate alla Commedia.

“L’ONORE DEI DA POLENTA: sei identità svelate negli affreschi di Santa Maria in Porto” di Gianni Morelli

Che i polentani considerassero la basilica di Santa Maria in Porto la loro chiesa, è questione documentata fin dal 1292 quando Lamberto da Polenta, podestà di Ravenna, fa occupare a mano armata il campanile a fini di difesa della costa. Lo stesso Lamberto nel testamento del 1316 dispone che il suo corpo abbia sepoltura in quella chiesa.

Nel 1314 Guglielmo da Polenta, nipote di Lamberto e di Francesca (“da Rimini”) figura come priore ed è sotto di lui che si eseguono lavori e decorazioni nella basilica. Guglielmo reggerà le sorti di Porto sino al 1337 quando signore di Ravenna è, prima Guido Novello, l’ospite di Dante, poi in tempi alterni, Ostasio da Polenta.

A tale filiera polentana possiamo aggiungere che verso la fine del Xlll secolo, Chiara da Polenta ha fondato il monastero di Santa Chiara e che gli affreschi delle due chiese furono eseguiti quasi in contemporanea dalle stesse maestranze dei pittori riminesi.

Negli affreschi portuensi, oltre la figura statuaria identificata nell’arcivescovo Rainaldo (eseguiti quindi dopo la sua morte nel 1321) altri due gruppi si presentavano, raffigurando persone totalmente estranee alle scene sacre dipinte sulle pareti. Da un balconcino assistono alla strage degli Innocenti due figure femminili: una donna ornata, cui fa seguito una monaca. Alla scena della nascita di Maria assistono, invece, tre figure maschili con gli abiti del tempo e tra questi, due con barba. L’uno e l’altro gruppo erano collocati all’estremità della parete orientale.

Numerosi studiosi si sono impegnati ad attribuire un nome alle cinque figure; in questa pagina ci atteniamo alla riflessione di mons. Mario Mazzotti che a suo tempo fu parroco della stessa chiesa di Porto e ne raccolse i resti l’indomani della sua distruzione avvenuta domenica del 5 novembre 1944, a seguito di un bombardamento aereo anglo-americano.

“Sono le uniche figure – commenta mons. Mazzotti – completamente estranee dal punto di vista iconologico alle sacre rappresentazioni; ed un motivo per introdurle vi deve essere stato”.

La presenza della figura di Rainaldo in posizione così eminente può giustificarsi col fatto che egli nella Ravenna di primo Trecento svolse una azione davvero eccezionale non solo in campo religioso, ma anche in quello civile, come rettore della Romagna. Per la basilica di Porto egli fu il consacratore della nuova ampliata chiesa e il suo ricordo doveva rimanere legato nel tempo alla basilica.

Ma le altre figure? Certo dovevano essere uomini e donne legati in modo particolare a Porto: alla chiesa, alla canonica, alla vita ravennate e alla famiglia della Signoria dominante.

Il nome di Guglielmo da Polenta potrebbe allora rivelarsi decisivo: un da Polenta che nelle pitture con cui fa ornare la sua basilica vuole onorare le persone che più gli erano vicine e che nella sua vita avevano un ricordo. Guido Novello, cugino e signore oppure Lamberto, zio sulla cui tomba poteva pregare ogni giorno.

E se Lamberto, perché non anche la zia Francesca, la cui morte i da Polenta ritenevano un assassinio? Forse proprio perché “assassinata” ebbe posto come spettatrice nella scena del grande assassinio erodiano. E poi Chiara da Polenta, che sembra voler attenuare col suo abito la mondanità della figura principale.

Riconoscere in una delle figure barbate (quella esterna) un ritratto di Dante, onorato ed ospitato da Guido Novello e qui in dialogo serrato con lui, che Santa Maria in Porto avrà certamente frequentato, magari in una di quelle giornate solenni in cui i ravennati veneravano l’icona greca della Vergine…

Fin qui mons. Mazzotti. Ma in questo gruppo noteremo infine un terzo volto, alle spalle di Guido e Dante: più paffuto e senza barba, che non partecipa al dialogo e che osserva noi che lo guardiamo. Perché non un ritratto dello stesso Guglielmo da Polenta sotto il cui priorato furono iniziati e portati a compimento anche i lavori pittorici?

Mons. Mazzotti non accenna naturalmente a quest’ultima ipotesi ed anche noi uniremo la nostra confessione a quella del grande studioso e parroco “la mia fantasia ha corso un po’ troppo; allo stato attuale degli studi tutto quanto ho detto su queste figure rimarrà una ipotesi allettante, ma sempre una ipotesi”.

Pannello polentano

Didascalie delle immagini del pannello

1) La basilica di Santa Maria in Porto nell’anno 1938

2) Novembre 1944: la basilica distrutta dalle bombe. La figurina in nero al centro delle macerie è il parroco don Mario Mazzotti

3) Guido Novello da Polenta in dialogo con Dante. Alle loro spalle Guglielmo da Polenta

4) Francesca da Rimini e Chiara da Polenta

5) L’Arcivescovo di Ravenna, Rinaldo da Concorezzo

6) La celebre terzina dedicata a Ravenna come si legge nel Canto XXVll dell’Inferno. Trasportata in prosa e nel linguaggio corrente, potrebbe suonare così: “Ravenna non è cambiata, l’aquila dei da Polenta la governa e anche Cervia protegge sotto le sue ali”

7) De’ Bacco Venuti: Dante svela in sogno al figlio Jacopo dove cercare le pagine del Paradiso

8) Jan Toorop (1858-1928): Dante nella voragine infernale. Cartolina dell’artista per le poste olandesi nell’anno 1942

9) “I ritratti più conosciuti di Dante, da Giotto a Raffaello”, cartolina postale nella giornata della società Dante Alighieri (1925 ?)

 

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