Maurizio Tarantino (Direttore Mar e Classense) e i suoi 5 anni a Ravenna: “non sono Quentin, quello che fa il film, piuttosto sono il produttore”

È proprio vero che nella vita gli esami non finiscono mai. E così, dopo 5 anni di duro lavoro con il doppio incarico di Direttore della Classense e del Mar, oltre che delle politiche culturali di Ravenna, a 62 anni Maurizio Tarantino si trova a dover sostenere un esame per vedersi rinnovare eventualmente l’incarico in Classense. Immaginiamo che questa se la sarebbe anche risparmiata.

L’Amministrazione comunale di Ravenna, infatti, ha deciso di sdoppiare gli incarichi e ha bandito due concorsi, uno per Direttore del Mar e Dirigente delle attività culturali e uno per la Direzione della Classense. Il primo è un concorso con procedura comparativa, riservata a dirigenti a tempo indeterminato in mobilità. Quindi un dirigente di un’altra amministrazione – locale, regionale o statale – fa domanda di mobilità per coprire quel ruolo se ha i titoli; se ci sono diversi pretendenti a concorrere si fa una procedura comparativa con cui viene scelta la figura stabilita che risulta più idonea. Questo dal 1° giugno, fino al 31 maggio invece resta in carica ancora Tarantino.

Per la Biblioteca Classense, invece, l’Amministrazione ha deciso di bandire un concorso pubblico, non più quindi la procedura comparativa per titoli e colloquio, ma un concorso pubblico vero e proprio con esame scritto, colloquio psicoattitudinale ed esame orale. Ed è questo il concorso a cui Tarantino partecipa per vedersi rinnovato l’incarico. Già c’è stato lo scritto la settimana scorsa. Se lo ‘passerà’, poi avrà il test psicoattitudinale e infine l’orale.

A lui l’esperienza a Ravenna in Classense piacerebbe continuarla. Mentre per quanto riguarda il Mar e la direzione delle attività culturali lo stesso Tarantino non dice ma fa capire che aveva in qualche modo caldeggiato l’idea di trovare una nuova figura, perché altri cinque anni come quelli trascorsi sarebbero stati piuttosto impegnativi e duri da reggere. Insomma, in questi anni ha sgobbato e prodotto molto – “Io mi chiamo Tarantino, ma non sono Quentin, il regista che fa il film, e nemmeno il primattore, piuttosto sono il produttore che sta dietro al film” dice di sé – e s’è trovato addosso non poche critiche e rogne, soprattutto per via del Mar (perché invece in Classense tutto è filato liscio). Critiche che però lui rispedisce al mittente, perché – pandemia a parte – secondo Tarantino il Mar fra il 2017 e il 2019 era andato bene e in crescendo. E adesso, dal 1° giugno se la sbrigherà qualcun altro.

Loggetta Lombardesca
Riallestimento Mar

L’INTERVISTA

Direttore Tarantino, lei è arrivato a Ravenna 5 anni fa, proveniente da Perugia. Cominciamo allora da un primo bilancio di questi 5 anni. Come sono stati?

“Diciamo che sono stati 5 anni molto molto intensi. Anche perché l’ultima fase, gli ultimi due anni, quelli della pandemia, non sono stati proprio come io me li aspettavo e me li immaginavo. Con l’Assessora alla Cultura, con il Sindaco e con l’Amministrazione avevamo fatto un piano quinquennale, e mi ero riproposto di raggiungere certi obiettivi nell’arco dei cinque anni. I primi tre anni sono andati bene, gli obiettivi che ci eravamo proposti sono stati tutti quanti raggiunti, con un trend complessivo di crescita delle attività culturali, malgrado una situazione completamente nuova da gestire. Poi negli ultimi due anni abbiamo avuto la pandemia, ma io ci metto anche le elezioni e le celebrazioni dantesche, che dovevano rappresentare il momento culminante delle scelte e delle iniziative culturali della legislatura e anche un po’ del mio quinquennio. Ma il Covid ha stravolto tutto.”

Elementi di crescita che possono essere valutati come, secondo lei?

“Le diverse istituzioni ravennati hanno smesso di essere delle isole e hanno cominciato a lavorare insieme, anche con fatica, certo, perché amministrativamente Mar e Classense hanno continuato ad esistere come istituzioni separate. Quindi con i due CdA, i due bilanci, i due collegi dei revisori dei conti e così via. È stato faticoso mettere in relazione queste istituzioni, ci sono state resistenze delle persone, abituate a lavorare separatamente. Si sono aggiunte le difficoltà amministrative di cui parlavo. Per le celebrazioni dantesche è stata una fatica enorme gestire un bilancio che in parte era in capo alla cultura e che però doveva servire anche per cose della Classense e altre del Mar e viceversa. Però, malgrado tutto questo, il nostro obiettivo era superare la separatezza e far interagire queste istituzioni. E lo abbiamo fatto.”

Quando lei è arrivato, ricordo che era molto contento perché le piace leggere e studiare Dante. Le è toccata anche la grande opportunità della celebrazione del VII centenario dantesco che capita solo ogni 100 anni. Purtroppo non è andata come sperava.

“No, non è andata come mi aspettavo e come speravamo tutti, per via della pandemia. Ma diverse cose importanti le abbiamo fatte. Il Museo Dante e Casa Dante sono due obiettivi significativi raggiunti. Io ho spinto per queste realizzazioni. Feci subito presente che noi non potevamo presentarci all’appuntamento del 2021 con un Museo Dantesco come quello che c’era prima. I risultati secondo me sono buoni, anche se per via della pandemia è difficile dare un giudizio sul gradimento del pubblico. Naturalmente tutto è migliorabile, però abbiamo messo in piedi una Zona Dantesca completamente rinnovata e più ricca e questo è un seme importante per il futuro. Poi abbiamo fatto tante altre cose, dall’evento con il Presidente Mattarella alle due mostre dantesche. Sono stati eventi veramente di ottima qualità e abbiamo fatto delle cose importanti anche in Biblioteca Classense. Sono tutte cose che resteranno anche per il futuro. Per esempio, il catalogo della mostra sull’Epopea POP è un catalogo di quelli che saranno ricercati anche tra 10 anni: chi vuole studiare la fortuna popolare di Dante non può prescindere da quel catalogo.”

Museo Dante
sacral
Opera di Marina Abramovic esposta al Mar nell'ambito della mostra ?War is over

Non le chiedo i numeri, perché gli anni del 2020 e del 2021 sono stati completamente falsati dalla pandemia e fare paragoni senza tenerne conto sarebbe poco serio. Ma le chiedo lo stesso come è andata?

“Sì, i numeri del 2020 e del 2021 purtroppo sono quelli che sono. Posso dire però che l’inizio del 2022 è un buon inizio, questo è incoraggiante. Ma dal 2017 al 2019 – prima della pandemia – c’era stata una crescita costante fino al 90% sia delle presenze sia degli incassi rispetto agli anni immediatamente precedenti. Certo abbiamo volutamente fatto in quegli anni anche una politica di ingressi gratuiti per allargare a nuovi pubblici, soprattutto ai più giovani.”

Questi dati immagino si riferiscano al Mar. In Classense invece?

“Nel 2019, prima della crisi pandemica, la Classense fece 350.000 ingressi e nei primi due mesi del 2020 i numeri erano ancora in crescita, ma di tanto. Noi avremmo fatto un 2020 strepitoso. E sarebbe andato bene anche il Mar, perché avevamo in programma nel 2020 la mostra di Paolo Roversi in primavera e la prima delle due mostre dantesche in autunno. Poi sappiamo come sono andate le cose.”

Come va adesso la Classense, dopo il Covid?

“Adesso sta andando molto meglio, i dati sono di nuovo in crescita. Tra qualche giorno rimettiamo le sedie nel giardino del chiostro, si sta tornando alla normalità. Io non credo che nel 2022 riusciremo a fare i numeri del 2019, però secondo me ci avvicineremo a quei numeri.”

Biblioteca Classense

Torniamo al Mar. Lei si aspettava una polemica così vivace e continua come si è verificata in questi anni, soprattutto in certi ambienti politici? C’è stato un accanimento particolare o tutto sommato ritiene sia solo ordinaria amministrazione?

“No, non me l’aspettavo. O meglio, io ero consapevole che così come si configurava il mio incarico potevo espormi a critiche e appunti di vario genere, perché venivo da una competenza vasta, ho seguito dei progetti importanti non soltanto a livello bibliotecario, però non ho una competenza da storico dell’arte. L’ho ribadito in mille occasioni fin dall’inizio: guardate che io non farò il direttore artistico del Mar. Io non farò il regista e neanche il primo attore, anche se mi chiamo Tarantino. Io sono piuttosto il produttore. In questa cosa io vedevo e vedo naturalmente anche gli aspetti positivi, che secondo me ci sono tutti. Dopo lo stesso direttore artistico e lo stesso curatore di mostre per 15 o 20 anni, il Mar si era indirizzato su una strada sicura e quasi obbligata, che aveva portato sicuramente dei buoni risultati, ma non consentiva nessun tipo di apertura e sperimentazione verso nuove direzioni.”

Invece?

“Allora, solo per citare alcuni dati, dal 2017 il Mar ha avuto almeno 15 curatori di mostre diversi, tra cui figure come Alfonso Panzetta, i direttori de Le Bal di Parigi per la mostra di Alex Majoli che ha avuto una curatela particolare, Angela Tecce per War is over? poi diventata presidente del museo Madre di Napoli. Nicolas Ballario ha portato Toscani. Abbiamo dato spazio anche ai curatori locali da Alessandra Dragoni a Giacinto Cellini, da Giorgia Salerno a Daniele Torcellini a Benedetto Gugliotta e poi aggiungo Massimo Medica, Giuseppe Antonelli. Abbiamo portato la mostra di Paolo Roversi con la curatela molto particolare di Jean-Hugues de Chatillon. Sono momenti di crescita per il museo, che ha sperimentato ogni volta curatele diverse, anche con tanti problemi, certo, perché il personale del Mar era abituato a lavorare solo con Spadoni che voleva le cose fatte in un certo modo. Ma tanti curatori diversi, con punti di vista diversi, portano arricchimento e crescita sia per il museo sia per il personale. Abbiamo allargato e consolidato i rapporti con importanti musei ed enti prestatori dal Louvre di Parigi agli Uffizi, dai Musei Vaticani al MAXXI. Abbiamo avuto rispetto al passato almeno 30-40 prestatori completamente nuovi ed esposto tanti artisti che non erano mai stati in mostra al Mar: Close, Saint Phalle Abramovic, Kounellis, Rauschenberg, Tresoldi.”

Una delle vostre rivoluzioni è stata quella di avere spostato alcune grandi mostre dalla primavera all’autunno. Ha funzionato?

“Era un obiettivo e una richiesta dell’Amministrazione comunale, abbiamo tenuto conto della necessità di destagionalizzare: questo ha cambiato un po’ le cose, però questo ha portato ad avere pubblico al Mar in tutto l’arco dell’anno. Dunque un museo più vivo per 12 mesi. Prima del 2016 i visitatori del Mar erano concentrati all’80% nei tre mesi della mostra, mentre per tutto il resto dell’anno c’era solo il rimanente 20%. Noi siamo arrivati esattamente al 50 e 50. Quindi i visitatori sono distribuiti lungo tutto l’anno e questo secondo me è un elemento importante. Lo è almeno quanto la valorizzazione delle collezioni permanenti. Prima il Mar era tutto incentrato sulle mostre, quasi tutta l’energia del museo era indirizzata su quelle, la collezione dei mosaici contemporanei e le collezioni antiche erano un po’ delle appendici, che lavoravano in autonomia, facevano alcune cose anche interessanti ma circoscritte. In questi anni abbiamo provato a tenere tutto insieme: valorizzazione delle collezioni permanenti, mostre, nuove acquisizioni. Lo abbiamo fatto con la Biennale di mosaico contemporaneo. Abbiamo acquistato il Cavallo di Mimmo Paladino, le pale di Rondinelli e Barbara Longhi. Abbiamo valorizzato il patrimonio del Mar nelle mostre, in quella di Montezuma Fontana Mirko un quarto delle opere erano del Mar. L’abbiamo fatto con ogni mostra.”

Chuck Close - Mosaics
Sol LeWitt

Veniamo all’ultima polemica. Ce l’ha o non ce l’ha il consenso per esporre l’opera di Sol LeWitt?

“Ma certo che l’abbiamo. Abbiamo chiesto il permesso alla Fondazione LeWitt a febbraio, e loro hanno risposto gentilmente che erano lieti che noi esponessimo l’opera. Naturalmente, l’esposizione è temporanea. Sappiamo che la poetica di Sol LeWitt prevede che le sue opere spariscano dopo l’esposizione, tuttavia sappiamo anche che ci sono state mille eccezioni a questa cosa e noi tratteremo con la fondazione perché quest’opera non venga distrutta. Dopo la fine dell’esposizione la rimetteremo nei depositi, ma di distruggerla non se ne parla proprio, perché il codice dei beni culturali ce lo impedisce. Quella è un’opera inventariata nelle collezioni del Mar e non ci sono disposizioni testamentarie che quest’opera debba essere distrutta, non ci sono lettere scritte dall’autore, né da nessun altro, né note di inventario particolari. Al massimo potrà succedere che la fondazione disconosca l’opera, ma io credo che arriveremo ad un accordo. Noi conserviamo quei pannelli perché sono un documento storico. Il valore storico e artistico dell’opera c’è a prescindere da un atto formale, che per ora c’è e contiamo in ogni caso di consolidarlo.”

Hanno fatto bene o male i suoi predecessori a non esporla?

“Hanno fatto benissimo a non distruggerla e a tenerla nei depositi. Secondo me sono stati un po’ timidi nel non esporla, io sono stato solo meno timido. Sarò un vecchio comunista, però io sinceramente tra l’interesse generale alla fruizione dell’opera e la volontà individuale, penso debba prevalere l’interesse generale. E non lo penso solo io. Ce lo dice la Costituzione, la convenzione di Faro, cioè il fatto che la cultura e l’arte debbano essere fruite. Questo deve sempre prevalere: rispetto a ciò sono anche disposto a rischiare qualcosa.”

In questi cinque anni, lei si è fatto più amici o più nemici a Ravenna?

“(ride, ndr) No, io penso più amici. Naturalmente mi sono fatto anche qualche nemico, ma poi non so quanti siano veramente nemici miei o acquisiti per altre vie.”

Maurizio Tarantino
Mar riallestimento

È l’epoca del narcisismo che dilaga a tutti i livelli. In particolare fra gli intellettuali, e in special modo in provincia. Lei invece in tutti questi anni è stato molto discreto e ha tenuto perfino un profilo basso. Perché?

“L’ho fatto per diversi motivi. Un motivo è perché il profilo del lavoro intellettuale lo vedo costituito di tanto lavoro, di studio e poi, dopo, di pubblicazioni riguardanti il lavoro svolto. Scrivi gli articoli, i saggi, eccetera eccetera. Io questa cosa l’ho fatta per 20-25 anni, perché le condizioni me lo consentivano. In questi cinque anni non è successo, diciamo che di tempo ne ho avuto ben poco. Anche se qualcosina l’ho fatta anche qui, non ne ho parlato, ma ho pubblicato due o tre cosette che magari uno potrebbe andarsi a leggere. Il secondo motivo è perché credo sinceramente che il riconoscimento debba venire dall’esterno. A Napoli dicono giocare a chi sono io e chi sei tu. Ecco, a me non piace. Mi piace invece un atteggiamento di understatement, mi piace anche un po’ stupire qualche volta le persone che magari si sono fatte un’idea e invece… Io sono fatto così, è il mio carattere. Il mio curriculum è pubblico, tutti possono vedere quello che ho fatto, quello che ho scritto e pubblicato, dove l’ho pubblicato, con Mulino, Treccani, Einaudi, Utet. Non con editori locali.”

Lei pensa che a Ravenna questo riconoscimento ci sia?

“Beh, qualcuno se n’è accorto, sì. Qualcun altro ancora no. Ma sinceramente non è la cosa che mi preoccupa di più.”

Una cosa che ha fatto e di cui va orgoglioso.

“Avere strutturato la politica delle convenzioni culturali. Lo considero un grosso obiettivo raggiunto. Mi hanno detto: noi fino ad ora abbiamo dato i soldi un po’ a tutti. Adesso vogliamo introdurre dei criteri precisi di merito. Allora mi sono inventato di sana pianta quel regime convenzionato, con le 5 materie, i commissari esterni, i criteri di valutazione, la spartizione dei fondi. C’erano tanti rischi nel farlo, rischi di creare dispiaceri e gelosie. Qualche problema c’è stato, ma tutto sommato abbiamo fatto un bel lavoro. L’altra cosa pure molto spinosa, che alla fine ho portato a termine è stato l’accordo di valorizzazione con RavennAntica per i servizi di accoglienza del Mar e della Zona Dantesca. Anche questo era un terreno un po’ pericoloso, ma l’abbiamo portato a casa bene.”

Una cosa che non ha fatto, invece, è stata l’apertura della Classense su Piazza Caduti.

“Purtroppo non è stato possibile per il 2021. Ho visto che il sindaco ha messo questo obiettivo nel suo programma di legislatura. Secondo me è una cosa che dovrebbe essere fatta per completare il percorso dantesco ma anche per aprire la Classense verso la città. Spero vivamente che venga fatta.”