“Il Fronte del Faro”. Personale di Mattina Battistini alla Galleria FaroArte di Marina di Ravenna

Più informazioni su

Tanta partecipazione di pubblico all’apertura della mostra personale di Mattia Battistini, dal titolo “Il Fronte del Faro” alla Galleria FaroArte di Marina di Ravenna. La rassegna, che resterà aperta fino al 26 giugno, è promossa dall’Associazione Capit Ravenna inc ollaborazione con la Pro loco di Marina di Ravenna.

Mattia Battistini, ravennate, classe 1968, espone una sessantina di opere del periodo2000-2008. Le sue costruzioni, elaborate spesso in uno spirito lirico, rivelano un accostamento di forme, di trame e di colori che richiamano non solo il costruttivismo russo, ma il primitivismo infantilista dell’arte italiana del primo Novecento, quando gli artisti dipingevano come bambini. I tratti elementari dell’arte primitiva gli servono a esprimere con immediatezza il suo mondo interiore, la frenesia e l’alienazione metropolitane che lo angosciano.

Ma Mattia non elegge solo la forma nei suoi dipinti, spesso predilige l’espressione rispetto alla rappresentazione, quando il colore travalica la composizione e diventa espressionista. Le forme si fanno particolarmente rigide e spigolose e i colori accesi,dissonanti. L’esigenza di tradurre in immagini il proprio stato emotivo e mentale influenza profondamente la sua poetica. Dipinge tutto il ritmo, il riverbero e la tensione della vita di una grande città con tratti molto semplici, colori molto vivi, vibranti e contorni molto marcati inseriti in un contesto per nulla naturalistico. I suoi paesaggi non sono più una riproduzione veristica della natura, ma come direbbe Carlo Carrà vogliono essere “un poema pieno di spazio e di sogno”.

Le tre sezioni

La prima si rifà all’omonimo libro dello scrittore turco, premio Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk “Il mio nome è rosso” dove Mattia evoca un tempo lontano, quello dei templari e dei saraceni, dei crociati erranti, mori e dame d’oriente, esseri sconosciuti, affascinanti e nel contempo spaventosi, incastonati in nicchie e castelli, richiami alle miniature e vetrate gotiche, in cui domina un sorprendente sincretismo fra l’arte bizantina e araba. Una narrazione mitica, intelligente, senza mediazioni ideologiche, in cui sembra giocare come con i soldatini.

Nella seconda sezione le opere “Per dimenticare Parigi”, che trasformano Parigi in una megalopoli immaginaria, uno storyboard da cartoon, fumettistico e caricaturale, da teatrino di burattini, che ricorda Appuntamento a Belleville di Sylvain Chomet, in un mondo non abitato da robot.
Parigi appare disabitata, dove compaiono insegne, qualche tipico caffè, palazzi, quinte, strade, navi, automezzi. Più facile incontrare intrusioni di animali urbani, corvi, gazze e naturalmente gatti. Le immagini appaiono in una sorta di equilibrio tra narrazione e invenzione costante con una libertà di segno che conduce Mattia a giocare con la materia, il colore, caricando di significato espressivo i suoi personaggi ed immergendoli in un mondo fantastico.

Infine la terza sezione, perché non potevano mancare i gatti, la sua grande passione, protagonisti di tante sue storie. Mattia Battistini ne ha sempre avuti: « Sono sempre loro che sono venuti da me. Mi piacciono gli occhi dei gatti: una volta pensavo di essere io un gatto o un uccello».
Ed ecco le favole del gatto con gli stivali e del soldatino di piombo, opere della mostra “C’era due volte…” , che Mattia ha letto mille volte senza mai condividerne la trama: il gatto paladino di due padroni e il soldatino senza una gamba, l’amore corrisposto ma impedito dal tragico susseguirsi degli eventi per poi finire bruciato al rogo. Che fare? Il gatto, alter ego di Mattia, incontra il soldatino, alter ego di Battistini impegnato al fronte delle periferie conosciute e qui parte una nuova narrazione.
E sono certa che alla domanda che un giornalista rivolse ad Alberto Giacometti, «Maestro, in caso d’incendio, tra un Rembrandt e un gatto chi salverebbe?» Mattia risponderebbe senza esitare come Giacometti : «Il mio gatto!», come dire che tra l’arte e la vita scelgo la vita, perché una vita vale di più della stupenda immaginazione. Ciò non significa che la vita debba avere la precedenza sull’arte, bensì che l’arte debba necessariamente racchiudere in sé la vita. Allora può diventare superiore, allora si parlerebbe di creazione ed è con questa filosofia che nascono le opere di Mattia, slegate dalla mortalità, ma profondamente allacciate alla vita dell’uomo.

Più informazioni su