Ravenna Festival, è un trionfo per il Falstaff dei giovani diretto da Riccardo Muti

Successo annunciato per l'opera verdiana giovedì sera al Teatro Alighieri, nell'allestimento di Cristina Mazzavillani

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Lunghissime ovazioni e battimani cadenzati hanno salutato Riccardo Muti quando non aveva ancora abbassato del tutto la bacchetta dopo le ultime note del “Falstaff” di Giuseppe Verdi con cui il Ravenna Festival 2015 si è avviato alla conclusione, giovedì sera al Teatro Alighieri. Un successo annunciato, per uno spettacolo attesissimo, unico impegno operistico di Muti in Italia per quest’anno, inserito tra i contributi della Regione Emilia-Romagna per Expo. E dunque sala esaurita in ogni ordine di posto e festa grande anche per tutti gli altri artisti impegnati nella produzione.

“Falstaff” è l’opera della maturità verdiana, composta quando aveva già ottanta anni, e anche di quella del maestro napoletano (ormai ravennate d’adozione) che la diresse per la prima volta nel 1993, quando la sua arte era stata ammirata e apprezzata già in tutto il mondo. Da allora Muti è tornato spesso su questo capolavoro assoluto e la sua direzione è oramai considerata di riferimento: varietà dei colori ed elasticità ritmica fanno a gara con una tensione di fraseggio incisiva.
Una direzione ricca di illuminazioni sia nei tanti momenti sinfonici della partitura, che, e non poteva essere altrimenti, nella grandissima attenzione al canto. Con i giovani interpreti che componevano il cast si è comportato quasi da chioccia: li ha accompagnati per mano, proteggendoli dalle mille insidie disseminate da Verdi tra le note. Così Kiril Manolov ha potuto dar vita ad un Falstaff spigliato, malinconico ma divertente allo stesso tempo, ricco di quelle sfumature che inducono più al sorriso che al riso, anche se è un sorriso disincantato. Voce e recitazione da cantante navigato, fraseggio elegante e timbro solido. Per lui grande successo personale.
Anche il resto del cast è stato molto applaudito a partire dall’eccellente quartetto delle allegre comari, Eleonora Buratto (Alice), Damiana Mizzi (Nannetta), Anna Malavasi (Meg) e Isabel De Paoli (Quickly). E poi Federico Longhi (Ford), Giovanni Sebastiano Sala (Fenton), Giorgio Trucco (Cajus), Matteo Falcier (Bardolfo) e Graziano Dallavalle (Pistola).
Riccardo Muti ha ottenuto un’ottima risposta anche dai suoi ragazzi dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, capace di suonare con grande leggerezza, e dal coro del Teatro Municipale di Piacenza. L’allestimento era quello realizzato due anni fa, in occasione del bicentenario verdiano, da Cristina Mazzavillani (moglie di Muti e responsabile del Festival), che trasporta la scena nei luoghi verdiani (la casa natale alle Roncole con il busto del compositore al quale Falstaff si appella dopo il bagno nelle acque gelide del Tamigi, la villa di Sant’Agata dove Verdi compose l’opera, e il teatrino di Busseto) con una freschezza inventiva di grande suggestione: attraverso un gioco di proiezioni fotografiche i personaggi shakespeariani vengono immersi nei luoghi nebbiosi della Bassa Padana, col povero Sir John, ormai libero da ogni illusione amorosa, a meditare sotto la quercia di Herne, che “tutto nel mondo è burla”, che non è solo lui ad essere “grasso e panciuto”, ma che anche tutti gli altri lo sono, perché tutti sono in qualche maniera compromessi.

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