Bilancio 2020, Confagricoltura Ravenna: “Bene i cereali, attenzionare i comparti frutta e vino per criticità in campo e crisi di mercato”

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«Salutano il 2020 soddisfatti i produttori di cereali del Ravennate; soffrono di liquidità le aziende frutticole, che sono ancora in attesa del risarcimento dei danni causati dalle gelate di marzo e quelle viticole medio-piccole per le criticità di mercato dovute all’epidemia da Covid. Questa fotografia – incalza il presidente di Confagricoltura Ravenna Andrea Betti – fa riflettere perché un ettaro di frutteto crea lavoro 10 volte di più di un ettaro di seminativo e in un momento così delicato non ce lo possiamo permettere». Il bilancio dell’annata cerealicola è positivo sia in termini quantitativi che qualitativi. Sotto il profilo commerciale, la buona partenza del duro all’apertura della Borsa Merci di Bologna, a fine giugno, ha spinto gli imprenditori a vendere il prodotto prima degli anni precedenti e a riconfermare la coltura nelle semine autunnali.

«Anzi, nel 2021 – dice il presidente dei cerealicoltori di Confagricoltura Ravenna e Confagricoltura Emilia Romagna, Lorenzo Furini – si prevede addirittura un aumento delle coltivazioni di frumento tenero e duro». Sono 30 mila circa gli ettari coltivati a frumento nella provincia, su un totale regionale pari a 238 mila ettari circa e il duro rappresenta quasi il 35% della superficie provinciale complessiva. «È andata bene anche la campagna dell’orzo. Pure per questa tipologia si stimano superfici in crescita nel Ravennate da 2500 a 2700 ettari».

Preoccupante è invece lo scenario del settore frutticolo, reduce da un disastroso 2019 dovuto alla cimice e al maltempo. «L’anno è cominciato tra le difficoltà dell’epidemia sanitaria anche per l’adeguamento dei relativi protocolli di sicurezza nelle campagne. Poi le gelate primaverili hanno distrutto la quasi totalità delle albicocche, l’80% delle susine e nettarine e il 50% di kiwi, oltre ai danni sulle altre varietà. Purtroppo – spiega il responsabile del comparto frutta di Confagricoltura Ravenna, Nicola Servadei – l’applicazione della legge sulle calamità, in deroga, tende a premiare le aziende monocolturali (se non monovarietali), ma gli imprenditori della nostra provincia coltivano invece varie specie quali ciliegie, albicocche, pesche, nettarine, susine, mele, pere, kiwi, cachi, melograne, castagne, olive e noci, in molteplici varietà. Così sono esclusi dai parametri richiesti per ottenere i rimborsi». A questa “distorsione” normativa si aggiunge l’inefficacia del sistema assicurativo, che offre coperture sempre più onerose e meno risarcitorie. Nel caso dei danni da gelate, infatti, la polizza copre al massimo il 60% del valore assicurato.

Servadei sottolinea come la frutticoltura ravennate stia cambiando aspetto. «Non si arresta l’eradicazione di alberi di pesche e nettarine a favore di nuovi impianti di kiwi; pressoché stabili sono gli ettari a albicocco, melo, pero, susino, e cachi, mentre aumentano quelli a ciliegio, noci e ulivo. Sempre più spazio acquistano anche melograni e noccioli che restano comunque una vera nicchia come i piccoli frutti».

Lo sguardo d’insieme sul comparto vino è di Roberto Foschi, responsabile del vitivinicolo di Confagricoltura Ravenna: «Sono 800-900 le aziende viticole in difficoltà, che vendono l’uva a circa 50 piccole cantine, alle prese con una crisi di liquidità senza precedenti e uno stock di invenduto del 30-40% dovuto alla chiusura del loro principale sbocco commerciale: il canale Horeca». Ravenna, lo ricordiamo, è la prima provincia per numero di aziende viticole in regione e ne conta 4000, di queste circa l’80% rifornisce le grandi cantine del vino romagnolo, legate soprattutto alla GDO: una rete che non ha per nulla risentito degli effetti del Covid.

«Quest’anno anche le uve dei vitigni di pregio – come i bianchi della Doc Colli Faentini e il Sangiovese Doc -, sono state deprezzate del 10-15%. È un duro colpo», conclude Foschi.

 

 

 

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