Mario Mazzotti lascia guida di Legacoop Romagna: l’associazione è in buona salute, le coop hanno saputo reagire e devono innovare. La finanziaria Meloni è deludente

Mazzotti parla delle crisi di questi anni a cui le cooperative hanno reagito con vigore, della trattativa per salvare CMC, delle coop socio-sanitarie e delle difficoltà a trovare personale, ma anche della Romagna, della crisi della sinistra e delle prime misure del Governo Meloni

Più informazioni su

Mario Mazzotti, bagnacavallese, già Sindaco della sua città e poi consigliere regionale, l’11 novembre 2015 è diventato Direttore di Legacoop e l’11 giugno 2019 Presidente di Legacoop Romagna. Il 2 febbraio prossimo al congresso lascerà la presidenza e passerà il testimone a Paolo Lucchi, attuale Amministratore delegato di Federcoop Romagna, con un curriculum alle spalle molto simile a quello di Mazzotti, già consigliere regionale e sindaco.

In Emilia-Romagna i dati Unioncamere parlano di un 16% del Pil che è riconducibile alla cooperazione, in Romagna siamo al 17% e a Ravenna quasi al 18%. In Romagna, sono poco meno di 400 le imprese aderenti a Legacoop Romagna, l’associazione più importante, con un valore della produzione di oltre 6 miliardi di euro, 80 mila soci e oltre 23mila lavoratori. Possiamo più che raddoppiare la cifra delle imprese se mettiamo insieme anche le cooperative delle altre due centrali. Siamo quindi a oltre 1.000 imprese che aderiscono all’Alleanza delle Cooperative Italiane (ACI) in Romagna: complessivamente hanno circa 50 – 60.000 addetti.

Ma restiamo a Legacoop Romagna guidata negli ultimi tre anni e mezzo da Mazzotti. Un’associazione che si è molto trasformata per essere utile al mondo coop sia come strumento di rappresentanza, sia come ente erogatore di servizi attraverso le associate, in particolare Federcoop Romagna. In questa intervista Mario Mazzotti fa il punto della situazione, parla dello stato di salute delle cooperative e di Legacoop (buono, dice), delle prospettive (il futuro presenta grandi sfide sul terreno dell’innovazione), e di temi politico-istituzionali come la Romagna, la finanziaria del Governo Meloni e la crisi della sinistra. Rispetto alla quale, dice, “possiamo dare una mano” senza nessun collateralismo, perché “l’idea cooperativa è meno usurata di quella dei partiti”.

L’INTERVISTA

Presidente Mazzotti, il prossimo mese di febbraio, nel 2023, si terrà il congresso di Legacoop Romagna e lei passerà la mano, per raggiunti limiti di età. È così?

“Sì. È cosa nota. In Legacoop Romagna abbiamo un regolamento chiaro e giusto: prevede che chi arriva all’età della pensione può concludere il suo mandato, ma poi non può ricandidarsi. Quindi in forza di questo regolamento abbiamo deciso il ricambio e il mio avvicendamento.”

Lei ha vissuto molte vite. Prima perito e quindi dipendente. Poi ha fatto il sindaco, successivamente il consigliere regionale, infine il cooperatore. Ecco, come è stata quest’ultima parte della sua vita da cooperatore?

“È un’esperienza molto bella e anche faticosa. Molto simile alle esperienze politiche precedenti, che fra l’altro mi hanno consentito di essere attrezzato per affrontare le questioni del lavoro e del territorio, con l’occhio più rivolto alle imprese perché nella cooperazione associamo imprese oltre che persone. Questa esperienza mi ha permesso di condividere la grande storia collettiva della cooperazione in Romagna e a Ravenna. Una storia nella quale ho trovato molta modernità e molte opportunità di crescita. Ho trovato anche grande spirito di collaborazione e rapporti umani eccellenti, sempre, perfino nelle situazioni di difficoltà e di crisi, e in questi anni ce ne sono state. Queste cose sono un pezzo della cultura del nostro territorio. Ho capito che la storia di coesione sociale della provincia di Ravenna e della Romagna fonda le sue radici proprio nella vicenda antica della cooperazione.”

Mario Mazzotti

 

A febbraio lascerà l’incarico rimanendo ancora nella cooperazione a vario titolo oppure si mette a riposo?

“Come si dice in questi casi, resto a disposizione. Ma voglio essere coerente fino in fondo rispetto a ciò che ho sempre pensato: chi ha avuto degli incarichi di direzione di primo piano come quello di fare il presidente di una delle principali leghe nazionali, come Legacoop Romagna, può ancora dare una mano e si mette al servizio, ma senza aspirare ad alcun incarico particolare. Dopo di me tocca ad altri e, soprattutto, a dirigenti più giovani, che devono proseguire il lavoro e fare le loro esperienze. Resto però presidente di Dister Energia di Faenza, dove il mio mandato non è concluso. In effetti ho fatto il presidente di Legacoop Romagna a metà tempo, perché l’altra metà del mio tempo l’ho dedicata alla cooperativa di cui sono presidente e di cui sono stato dipendente fino a un anno fa.”

A succederle alla guida di Legacoop Romagna sarà Paolo Lucchi (nella foto sotto), attuale AD di Federcoop Romagna. Che cosa vuole dire al suo successore?

“Gli mando un grande in bocca al lupo! La consultazione che la direzione ha condotto fra le principali cooperative ha indicato Paolo Lucchi come candidato alla presidenza di Legacoop Romagna. Sono scaduti i termini di presentazione delle candidature e lui è sostanzialmente il candidato unico. Non sono emersi altri candidati. Quindi la sua candidatura verrà sottoposta alla nuova direzione di Legacoop Romagna che ha il compito di eleggerlo, dopo il congresso del 2 febbraio. Comunque, quella di Paolo è una scelta naturale, che nasce dall’esperienza che lui ha condotto in questi anni come amministratore delegato di Federcoop Romagna, in dialogo costante con le cooperative. Legacoop Romagna potrà avvalersi dell’esperienza consolidata di un dirigente cooperativo di valore, che viene da una cooperativa di servizi di primaria importanza. Anche lui ha avuto modo di svolgere già importanti esperienze politico-amministrative sia come consigliere regionale dell’Emilia-Romagna sia come sindaco di Cesena. Quindi credo proprio che Legacoop Romagna con Paolo Lucchi sarà in buone mani.”

paolo lucchi - AD Federcoop

 

Torniamo a noi. In che stato lascia Legacoop Romagna? Voglio dire, qual è lo stato di salute delle cooperative romagnole dopo questi ultimi tre anni terribili?

“Allora occorre fare un ragionamento che riguarda le cooperative e farne uno per l’associazione. Per quello che riguarda le cooperative posso dire che abbiamo attraversato in questi anni dei periodi molto complicati. Prima c’è stata la fine della crisi iniziata negli anni 2008-2009, poi la pandemia e poi è arrivata la crisi attuale, che forse è quella più grave e per la quale si fatica a vedere la fine. In tutte queste fasi devo dire che la forza delle cooperative è emersa nella loro capacità di saper reagire e di saper leggere anche le opportunità che la crisi apriva, nonostante le situazioni veramente difficili. Penso alle cooperative culturali e a quelle sociali durante il periodo del Covid. Penso alle cooperative di produzione e lavoro nella prima crisi del 2008 e in quella attuale, soprattutto di fronte ai problemi che sono creati dall’aumento di costi energetici e delle materie prime. Penso anche alle cooperative che sono andate meglio, quelle dell’agroalimentare, che però non sono rimaste ferme, hanno saputo rinnovarsi e si apprestano adesso a fare un salto ulteriore di qualità.”

Insomma il mondo delle cooperative – pur fra molte differenze interne – nel complesso ha mostrato una forte capacità di resilienza.

“Sì, è una parola, resilienza, che non mi piace. Comunque la capacità di adattamento e di reazione delle cooperative non era scontata, perché avevamo invece osservato precedentemente che le cooperative faticavano in genere più delle imprese capitalistiche a reagire di fronte alle crisi. Ci sono tempi più lunghi di reazione, difficoltà maggiori a intercettare le novità e le innovazioni e anche a proporle nei processi produttivi, sia a livello di innovazione di prodotto che nei processi organizzativi. Invece in questa crisi abbiamo sfatato questa narrazione. Il segreto sta nella capacità che abbiamo avuto di costruire delle reti di collaborazione tra le cooperative, magari non sempre strutturate, però esse ci hanno consentito sostenerci fra noi e di interloquire meglio nei confronti delle istituzioni, di intercettare anche risorse esterne importanti. In tutto questo c’è stato un ruolo forte dell’associazione che non è più quella che ho incontrato quando diventai direttore l’11 novembre del 2015.”

Cioè?

“Legacoop Romagna è cresciuta molto e penso di lasciarla in un momento di ottima salute. Abbiamo costruito veramente Legacoop Romagna, abbiamo superato brillantemente le chiusure localistiche e campanilistiche che ci portavamo dietro, retaggio del passato. Siamo riconosciuti come un’associazione che ha una forte soggettività politica, una capacità di progettazione e un programma in grado di rappresentare bene gli interessi delle imprese cooperative. Abbiamo fatto una grande rivoluzione nei servizi per le cooperative potenziando Federcoop Romagna che ha ottenuto degli ottimi risultati e si sta rivelando come una delle principali aziende di servizi alle imprese a livello romagnolo. Teniamo insieme due elementi importanti per le cooperative associate: il ruolo di rappresentanza degli interessi e la fornitura di servizi, che sono le due facce della stessa medaglia.”

Mario Mazzotti

 

Quindi veniamo da una fase di crisi, di grandi cambiamenti e di evoluzione. Il futuro cosa riserva? Che cosa vede lei?

“Il futuro ci dice che bisogna dare un’accelerata fortissima ai processi di innovazione in atto. Il futuro ci dice che le transizioni in cui siamo immersi, l’ibridazione economica, la transizione ecologica e quella digitale, le grandi questioni imposte dai cambiamenti climatici e dal cambio del modo di comunicare, ci impongono di rafforzare la capacità dell’impresa cooperativa di stare sui mercati. Quindi il primo obiettivo che ci poniamo al congresso è quello di puntare fortemente sul rafforzamento delle reti di collaborazione, che vuol dire irrobustire le imprese attraverso forme di collaborazione o anche di fusione. Rafforzare la governance e i gruppi dirigenti. Mettere in tensione la modalità principale con cui la cooperativa si presenta: la democrazia interna e la partecipazione dei soci. Su questo punto bisogna particolarmente insistere perché abbiamo visto che abbiamo delle debolezze. Noi vogliamo mantenere questa diversità e peculiarità del movimento cooperativo, anche scontando il fatto che spesso la democrazia richiede tempi decisionali più lunghi, ma sono convinto che alla lunga consenta di ottenere dei risultati migliori. Poi dobbiamo investire in nuove professionalità, soprattutto nei settori emergenti, dalla logistica ai trasporti all’agroalimentare.”

E poi c’è il grande capitolo del welfare.

“Sì, il welfare è uno dei punti forti della cooperazione. Ricordo che se domattina le cooperative sociali decidono di incrociare le braccia, si fermano quasi tutti i servizi alla persona del territorio. Anche lì c’è da rinnovare profondamente. Vogliamo anche pungolare il pubblico, le istituzioni, non per fare concorrenza al pubblico, ma per consentire che ci sia un’offerta di servizi complementari e integrati, co-progettati insieme dal pubblico con il privato, che in questo caso è la cooperazione, cioè non un privato tradizionale. Vorremmo che il pubblico facesse ciò che ancora non ha fatto: superare il principio delle gare d’appalto sui servizi alla persona e orientarsi invece sul partenariato pubblico-privato e la co-progettazione, che sono forme ammesse. Questo farebbe crescere anche la qualità dei servizi.”

Uno dei suoi crucci più grandi alla direzione di Legacoop Romagna immagino sia la vicenda della CMC che non s’è ancora conclusa e che non si sa bene come si concluderà, anche se tutti speriamo in una soluzione positiva. CMC è stato per un secolo il simbolo della cooperazione e non solo a Ravenna o in Romagna.

“CMC è la storia di un’impresa che ha saputo essere fra prime cinque grandi imprese italiane di costruzione e un player mondiale, che ha portato il fare cooperativa nel mondo insieme al nome di Ravenna. La grande crisi che ha attraversato il settore delle costruzioni ha colpito in pieno anche CMC, tant’è che c’è stata una sorta di desertificazione fra le grandi imprese del settore in Italia. Ne è rimasta una, oggi, grazie a una forte partecipazione pubblica quasi del 50%, parliamo di Webuild, che è nata dalla fusione di imprese precedenti, sostanzialmente fallite. Lo vediamo anche per il PNRR: c’è una difficoltà incredibile a realizzare le opere già finanziate, non solo perché c’è l’incremento dei prezzi ma anche perché non ci sono le imprese. In questa situazione di crisi, abbiamo fatto tutto il possibile per offrire una prospettiva alla CMC e abbiamo chiesto fin dal primo giorno al governo di trattare la CMC come tutte le altre imprese. Stiamo parlando di 15.000 persone complessivamente impiegate nel mondo, negli anni migliori, anche se ora le maestranze sono diminuite. Poi ci sono migliaia di imprese artigiane collegate al sistema CMC, penso in particolare ai lavori italiani, in Sicilia e non solo. Per CMC non abbiamo mai chiesto un sostegno assistenziale ma un aiuto pubblico su un progetto industriale da realizzare con un partner esterno, in modo da poter proseguire l’attività e impedire che l’Italia perda un’altra azienda importante, con tutto il suo patrimonio umano e di conoscenze.”

A che punto siamo ora?

“Ci stiamo lavorando da 4 anni e devo dire che in questo caso la capacità di adattamento e di resilienza è stata notevole, perché abbiamo esplorato diverse strade, a cominciare dall’ipotesi di collaborazione con Webuild che poi si è dimostrata impraticabile. E mentre si lavorava per dare uno sbocco alla situazione si lavorava anche per tenere in piedi l’azienda. Attualmente si sta ragionando con un partner che ha mostrato interesse, che ha presentato le proprie credenziali ai Ministeri che stanno valutando l’operazione. Si tratta di Renova Red, una società che ha sede a Roma ma con gli addentellati fondamentali in Romagna. Con loro CMC sta costruendo un’ipotesi di progetto industriale credibile, che consenta di poter ripartire attraverso la cessione del ramo d’azienda CMC, di capitalizzare l’impresa con fondi pubblici, oltre che con i fondi di Renova, di poter corrispondere agli impegni concordatari. Siamo in attesa di capire se questo progetto può andare avanti. A Roma la pratica ha avuto una fase di stallo per via del cambio di governo e forse anche in attesa di capire quali siano gli orientamenti dei nuovi ministri su questa faccenda. Devo ringraziare il lavoro e il supporto fin qui svolta dalla Regione Emilia-Romagna, da AD, presidente e da tutti i soci della CMC che hanno resistito e garantito la continuità dell’azienda.”

Ma lei oggi è più ottimista o più pessimista rispetto a tre o sei mesi fa? C’è stato un momento in cui la trattativa sembrava finita su un binario morto.

“Confesso che rispetto a 3 mesi fa sono un po’ più ottimista. Eravamo arrivati a un punto in cui sostanzialmente le risorse erano quasi esaurite. Poi CMC è riuscita a stare al passo delle necessità degli stipendi, dei fornitori, a tenere aperta anche la fiaccola dei cantieri. Per evitare ulteriori contenziosi si è lavorato molto bene per sistemare delle partite vecchie, per esempio con la cessione di opere in essere che non potevano essere completate. Fra l’altro per chi è in regime concordatario non è facile reperire le risorse necessarie per poter proseguire i lavori. Di fronte alle scadenze il tempo non è una variabile indipendente e quindi io penso che bisognerebbe arrivare a una conclusione entro gennaio. L’impongono anche i tempi della procedura concordataria. Noi faremo tutto ciò che possiamo perché il progetto per salvare CMC sia valutato in modo giusto ed equo da chi deve sostenere questa ipotesi in sede governativa.”

Ci sono state in un recente passato fasi politiche in cui c’era un forte attrito fra il mondo cooperativo e chi governava il paese. In particolare con i primi governi Berlusconi si era presa una strada che puntava a penalizzare le cooperative. Che cosa si aspetta dal governo di centrodestra guidato da Fratelli d’Italia?

“Mi aspetto che quella fase non si ripeta. Fra l’altro quella strada si è anche dimostrata non percorribile e l’attacco alle cooperative si è concluso in nulla. Anzi c’è stato poi un rafforzamento della normativa che ci riguarda. Mi aspetto invece dialogo, confronto e collaborazione al pari degli altri soggetti economici che sono ai tavoli romani dove si discutono i provvedimenti principali che riguardano il governo del paese.”

Un giudizio a caldo su questa prima finanziaria da 35 miliardi.

“Fin qui, appare una finanziaria di sostanziale continuità con le misure del Governo Draghi. C’è qualche boutade propagandistica che ha poco senso, perché strizza l’occhio a comportamenti antisociali deprecabili come l’evasione fiscale…”

Si riferisce al contante portato a 5 mila euro?

“Certo. Ma nella finanziaria non c’è quella spinta che noi abbiamo chiesto al governo, insieme alle altre cooperative, per il sostegno al reddito e per gli interventi di ristoro alle aziende per sostenere gli incrementi dei costi energetici. Noi abbiamo proposto di replicare quanto fatto durante il periodo del Covid, quando siamo riusciti a salvare imprese e lavoro. Furono interventi fatti solo in Italia, tant’è che il rimbalzo economico successivo in Italia fu positivo e migliore che in altri paesi. Noi paghiamo l’energia più degli altri paesi anche perché abbiamo un’autoproduzione più debole e quindi va fatto un intervento non solo per le aziende energivore, ma per tutte le attività economiche. E poi va fatto un intervento di sostegno al reddito perché noi abbiamo il 12,6% di inflazione mentre gli incrementi dei salari sono solo all’1,1%. C’è una forbice che pagano soprattutto i salari bassi e le pensioni. Senza sostegno al reddito c’è un crollo dei consumi, già lo vediamo per un 4-5% nelle nostre cooperative della grande distribuzione e questo provoca a catena degli effetti devastanti.”

Quindi siete preoccupati per la tenuta delle imprese e per la tenuta sociale.

“Certo. Ripeto, gli effetti possono essere devastanti. Pensiamo al made in Italy nell’agroalimentare: se l’incremento dei prezzi porta a scegliere i prodotti a basso prezzo e a bassa qualità alla fine le nostre aziende saranno penalizzate. E tutto il nostro sistema ne risentirà.”

Mario Mazzotti

 

Il processo di alleanza delle cooperative a che punto è?

“Su questo punto bisogna essere franchi. Noi abbiamo lavorato insistentemente per arrivare ad un’alleanza organica e quindi a uno scioglimento delle tre principali centrali cooperative compresa la nostra, ma dobbiamo prendere altro che questo processo non è andato avanti nei tempi che ci eravamo dati. Siamo riusciti a costruire collaborazioni e sinergie positive, oggi abbiamo uffici dell’Alleanza delle Cooperative a Roma e a Bruxelles, quindi possiamo presentarci con una voce sola ai tavoli europei e ai tavoli nazionali. Ma resta un ritardo. Oggi l’obiettivo è quello di consolidare questo patto associativo, evitare che ci siano passi indietro, fare in modo di strutturarci meglio nei territori. In Romagna lo stiamo già facendo. La nostra prospettiva resta quella di fare un’unica casa dei cooperatori e per questo dobbiamo consolidare ciò che abbiamo fatto, senza fughe in avanti che possono essere controproducenti.”

Parliamo dell’assetto istituzionale della Romagna: se ne discute tanto e ci sono molte proposte in campo. A che punto siamo?

“Siamo indietro. È una discussione che comunque abbiamo stimolato anche noi ed è ripresa. Abbiamo sentito anche recentemente delle importanti novità dall’assessore regionale Paolo Calvano, però siamo indietro. Noi abbiamo proposto in tempi non sospetti di avere un ente intermedio che si chiami provincia o che non si chiami provincia – non ci formalizziamo – che svolga funzioni e compiti di programmazione a livello di area vasta. Abbiamo subito pesantemente e negativamente la semi chiusura delle province, la loro trasformazione in enti ibridi con poche risorse, poche competenze e poco peso. In Emilia-Romagna e in particolare in Romagna ciò ha pesato negativamente sul sistema economico, perché è mancato un luogo di interlocuzione e di gestione delle politiche territoriali. Noi pensiamo che questa strutturazione a livello intermedio possa avvenire da subito. Perché le tre province non fanno già un patto tra loro per gestire insieme le funzioni residue?”

Perché non lo fanno?

“La risposta che hanno dato è quella che bisogna lavorare sull’elaborazione di un piano strategico – cui collaboriamo che noi – sulle prospettive di sviluppo della Romagna, che sicuramente è importante per individuare le eccellenze, i punti di forza e le debolezze. Ma la cosa più semplice da fare – il coordinamento o patto – non è stata fatta, perché forse i tempi politici non sono ancora maturi. Ci viene detto che la provincia così com’è non va bene. È vero, ci sono dei disegni di legge per cambiare le province. Chiariamo: noi non proponiamo di fare la provincia di Romagna così com’è, noi pensiamo a un ente che abbia gli stessi poteri di una realtà metropolitana, che sia incardinata tra regione e comuni, che non faccia quello che fanno i comuni e impedisca alla regione di trasformarsi in un ente gestore, perché sarebbe la fine della regione.”

Veniamo al tema delicato della manodopera, delle professioni e delle specializzazioni. Sappiamo che ci sono problemi in vari campi a trovare il personale. Voi vi siete trovati di fronte a difficoltà, penso solo ai dipendenti delle cooperative socio sanitarie che operano nelle Rsa. Come state affrontando questa problematica?

“L’incontro fra domanda e offerta di lavoro è oggi una delle questioni principali per tutte le imprese, anche le nostre. È un problema di grande portata e quindi non si può affrontare semplicemente con degli atti organizzativi, ma nel frattempo dobbiamo gestire l’emergenza. Per questo abbiamo stretto un accordo tra Federcoop Romagna e Randstad, una grande società che si occupa di mercato del lavoro, che ci ha consentito di avviare al lavoro circa 500 persone in Romagna, nelle cooperative. Non è poco. Però è sempre un intervento tampone.”

In linea di massima qual è il numero di figure lavorative che mancano nelle vostre aziende.

“Più o meno un anno fa avevamo fatto un censimento: erano circa 2.000 i posti occupabili. Ora il numero andrebbe aggiornato, ma è questa la dimensione. Facciamo interventi di autoformazione, perché abbiamo bisogno di formazione per i nostri servizi. Abbiamo fatto un’Academy per Federcoop formando una ventina di giovani che stiamo inserendo. Lo stesso facciamo per quello che riguarda il settore sociale e quello socio-sanitario che è il settore dove è più difficile reperire manodopera. Qui sarebbe necessario un raccordo più stretto con il pubblico, per evitare che ci sia una fuga dalle cooperative verso il settore pubblico più garantito. Secondo me sarebbe più opportuno avere un’unica sede di reclutamento del personale sia per il settore privato che per il pubblico, perché le funzioni sono le stesse e in ambito socio-sanitario le cooperative di fatto hanno una funzione pubblica.”

Siamo alla fine. Ovviamente il tempo del collateralismo è finito da un pezzo, però Legacoop è sempre stata parte del grande movimento che fa riferimento alle forze progressiste, al mondo del lavoro e della sinistra. Che cosa pensa Mario Mazzotti della crisi attuale della sinistra in Italia e della sconfitta subita il 25 settembre nelle urne?

“La sconfitta del 25 settembre non riguarda solo la politica. Parla anche dei corpi sociali intermedi e, al di là della lettura che si può dare del voto, c’è il chiaro segnale di una rottura verticale tra il mondo delle cosiddette élites, l’establishment, e il mondo dei ceti popolari. Quel voto registra l’incapacità della sinistra, del centrosinistra, dei partiti politici di essere in grado di rappresentare i bisogni e le necessità dei ceti popolari, i quali in sostanza chiedono principalmente protezione, temono la perdita del proprio benessere e sono portati in questa fase a radicalizzarsi e a individuare più i nemici che gli amici. Questa radicalizzazione della democrazia in Italia è molto più forte che altrove e si indirizza verso certi partiti e leaders di volta in volta. Per cui abbiamo assistito agli exploits del 40% di Renzi poi al 33% del M5S, poi al 34% di Salvini e adesso al 25-26% di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Tutti exploits i primi tre bruciati in tempi rapidissimi senza la possibilità di trovare un assestamento. C’è bisogno di un percorso di forte ricostruzione che riguarda la politica e anche la società e i corpi sociali intermedi. Penso che i corpi sociali intermedi possano dare una mano alla politica, al di là del collateralismo che giustamente non c’è più.”

La crisi della sinistra si riflette anche in un calo di popolarità per la cooperazione e per le cooperative?

“L’idea cooperativa si fonda sui valori della solidarietà fra persone e generazioni. È un’idea antitetica rispetto ai valori individualistici ed egoistici tradizionali propri della destra…”

Fra l’altro 100 anni fa ci fu l’assalto fascista alla Federazione delle Cooperative di Ravenna: il fascismo non a caso individuò nella cooperazione un avversario da distruggere.

“Sì, e la celebrazione con il Presidente Mattarella è stata una delle cose più belle che abbiamo fatto quest’anno. Ma tornando alla domanda, la mia percezione è che l’idea cooperativa si sia usurata molto meno di quella dei partiti politici. Per questo dico che possiamo dare una mano nella ricostruzione della politica e della rappresentanza in senso lato, per rafforzare la democrazia. Ma anche noi dobbiamo fare un nostro percorso che riguarda la nostra identità come imprese cooperative: che cosa vuol dire oggi essere cooperatori. Come si fa impresa cooperativa, in termini moderni e competitivi, tenendo fede ai principi della democrazia economica. Mentre per la sinistra bisogna ricucire quella frattura che si è determinato con la base popolare. È un tema che non si affronta semplicemente con un cambio di dirigenti o con una discussione più o meno franca sugli errori commessi. Occorre un bagno di umiltà. Bisogna che la politica torni ad essere un luogo vero di selezione della classe dirigente, dei migliori, e non invece un luogo di cooptazione degli amici. Senza entrare nell’agone politico – noi siamo autonomi e siamo fortemente gelosi della nostra autonomia – credo che la nostra esperienza sul terreno sociale ed economico possa essere utile nel processo di ricostruzione della sinistra.”

Più informazioni su