Faenza, Giuseppe Neri e l’antica arte del vimini

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La civiltà contadina, fatta di lavoro, di pazienza, di un diverso rapporto con l’ambiente. La cultura dei nostri padri sopravvive ancora in personaggi come Giuseppe Neri, agricoltore, che a Reda di Faenza intreccia i vimini oggi come si faceva appunto una volta, in quella società ormai lontana.
Neri, come ha iniziato questa sua attività?

«Di mestiere ho sempre fatto il contadino. In campagna ai miei tempi (ho finito le elementari nel 1942) c’era bisogno che anche i bambini lavorassero. Nei giorni di pioggia e d’inverno si facevano i cestini di vimini: allora non c’erano tv e computer. Era un passatempo utile, si imparava dai vecchi. Ho continuato fino all’arrivo della plastica, poi ho un po’ lasciato. 8 o 10 anni fa avevo dei vimini e ho voluto riprovare a fare i cesti. A una festa ho conosciuto i dirigenti dell’Ecomuseo delle erbe palustri, e con loro ho iniziato a collaborare e partecipare ad eventi: la prima "uscita" fu circa 8 anni fa a Faenza, presso la fiera "Enologica"».


Come si procura i materiali?

«Quando si va in giro per le campagne è facile trovarne in prossimità delle viti, grazie a piante allevate appositamente vicino ai filari. Lungo i fiumi invece c’è un tipo di pianta somigliante, della famiglia del salice, ma dopo averla provata èposso dire che non è adatta. Prima i rametti vanno cotti, come gli spaghetti, perché il vimini non si può usare fresco. Poi viene sgusciato, lasciando nelle mani una specie di colla colorata, ed è pronto per essere intrecciati. Ma bisogna fare presto, entro un’ora, altrimenti si secca e non si può più usare».

Che oggetti produce?
«Prima di tutto i cestini, piccoli e grandi. Poi c’è la rasparola: quando si pigiava l’uva in casa la si metteva nel tino per farla fermentare e la rasparola serviva come filtro, per non far uscire le vinacce quando si tirava il vino. Oggi però la rasparola si vende come abat-jour o vaso da i fiori. Per scherzo l’anno scorso ho fatto qualche pallina con vimini avanzati. Ne ho vendute un centinaio, come addobbi per l’albero di Natale, e una signora è venuta apposta da Fusignano a comprarle. E poi mi hanno fatto fare anche la capanna del presepe, per la parrocchia. Un altro oggetto che faccio è la stura, non so come si dica in italiano: una volta ci si metteva sopra la frutta e i pomodori da seccare al sole».


Qual è il giro d’interesse di questi prodotti?

«Mi muovo con l’Ecomuseo in zona e fino a Marche, Veneto, Lombardia. Siamo un gruppo di tutti anziani, compresa una donnina di 94 anni. A Villanova fanno anche scambi culturali con le università, soprattutto della Toscana. Questo mese siamo stati a Senigallia, dove ho venduto cestini a turisti inglesi e francesi, così ho potuto proclamarmi "internazionale"».


Quali doti occorrono?

«Beh, ci vuole passione: se non c’è quella… inutile pensare di farlo per i soldi. Spesso ai mercatini non si guadagna nulla. Ci vuole anche una mano un po’ robusta: se ci si mette una donna le si rompono le unghie. La mano ferma va bene ma più che altro deve essere robusta. Però la prima cosa è la pazienza: se uno non ha la pazienza è inutile provarci. Il materiale va raccolto e selezionato, poi per fare un cestino ci vogliono 4 ore…».

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