“Giuditta di Betulia” di Nevio Spadoni, Il Vicolo editore

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Nevio Spadoni è nato a S. Pietro in Vincoli (Sa’ Pìr a Vẽcul), e qui ha trascorso l’infanzia e la giovinezza. Dopo la laurea conseguita all’Università di Bologna nel 1984 si è trasferito a Ravenna, dove ha insegnato Storia e Filosofia nelle scuole superiori. È uno dei massimi autori dialettali di oggi. Premiato più volte con prestigiosi riconoscimenti, è conosciuto e ammirato in ambito nazionale e internazionale, e le sue opere si trovano inserite in diverse antologie italiane e straniere. 

 

Tra i più importanti riconoscimenti ricordiamo:

1992, Premio Lanciano per la poesia inedita

1995, Tratti Poetry Prize per E’ côr int j oc

2000, due nomination al Premio Ubu come migliore novità italiana e miglior spettacolo dell’anno per L’isola di Alcina

2012, Premio speciale Via Francigena, per Cal parôl fati in ca

2013, Premio nazionale G.Gozzano, per Cal parôl fati in ca

2014, Premio speciale “Salva la tua lingua”, Roma, Campidoglio.

 

“Giuditta era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già tre anni e quattro mesi. Si era fatta preparare una tenda sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava le vesti delle vedove. Da quando era vedova digiunava tutti i giorni, eccetto le vigilie dei sabati e i sabati, le vigilie dei noviluni e i noviluni, le feste e i giorni di gioia per Israele. Era bella d’aspetto e molto avvenente nella persona; inoltre suo marito Manàsse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti e terreni ed essa era rimasta padrona di tutto. Né alcuno poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché temeva molto Dio” (Giuditta 8, 4-8) Racconta la nota introduttiva dell’autore “…Giuditta, vedova di Betulia al tempo dell’invasione d’Israele da parte delle truppe di Oloferne, generale del re babilonese Nabucodonosor… Ella, con atto eroico, invocando Dio e con argomenti convincenti, ammalia, poi taglia la testa all’invasore Oloferne che, ebbro, si era invaghito della sua bellezza, e conduce così il popolo d’Israele schiavo degli Assiri, alla vittoria”. L a decisione di Giuditta può essere interpretata come ribellione al sopruso, alla prepotenza maschile ma anche in generale al potere che non si ferma davanti agli ostacoli, anche se questi sono esseri umani. Giuditta, nell’eseguire la sua impresa conta molto sul sostegno di Dio: “Onnipotente Iddio/inaccessibile/imperscrutabile/più volte hai sollevato/chi calpestava il corpo dei tuoi figli/e donne violentava/spargendo orrore e sangue./Prostrata nella polvere con sacco/io vedova Ti supplico/ a Te domando che/l’inganno di parole/diventi un flagello/ e il nemico abbatta”. Ma l’opera di Spadoni non si conclude con l’impresa eroica di Giuditta (personaggio che Dante pone nel XXXII canto del Paradiso), non si conclude con la vittoria e con questa prima parte, ne segue una seconda in cui le donne di oggi denunciano gli oltraggi e le violenze che sono dolorosamente attuali:più donne accusano e alla loro voce si unisce quella di Giuditta: “Il mio gesto/seppur cruento/a cosa è valso/se ancora mille/catene rigano/e tumefanno/dei piedi nudi/e strascinati?” Ed è il coro dei fanciulli e delle fanciulle a sottolineare ulteriormente il non estirpato seme della violenza contro i più deboli. Un famoso personaggio di ieri e tanti interventi di oggi a denuncia di un male mai estirpato.

 

A cesellare la preziosità di questa opera contribuiscono in una interessante postfazione Eberhard Bons, dottore di ricerca presso l’Università di Magonza e Daniela Scialabra dottoranda presso la facoltà di Teologia Cattolica dell’Università di Strasburgo e membro dell’Associazione Biblica Italiana. L’opera di Spadoni, è la storia di un Dio che sceglie la bellezza (di Giuditta) per salvare il suo popolo. Argomento riproposto e sottolineato nella postfazione.

 

Anna De Lutiis

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