Francesco Russo, Prefetto di Ravenna: “i furti nelle abitazioni sono calati del 10% nel 2015”

Il Prefetto affronta a tutto campo i temi della sicurezza e del controllo del territorio e annuncia un dato molto positivo: nei primi 6 mesi del 2015 sono calate le rapine nelle case - Francesco Russo parla il giorno dopo le sue dimissioni dall'ospedale, è in piena forma e non si sottrae alle tante domande dall'emergenza terrorismo a quella dei migranti

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L’intervista era fissata da tempo e, dopo la breve visita in ospedale da cui è stato prontamente dimesso, il Prefetto Francesco Russo ha deciso di confermarla. Al suo posto di lavoro come sempre. E in forma. Lui, campano del Sannio, un lupo dell’Irpinia, insomma, non si lascia certo scoraggiare da una piccola fibrillazione. “Mi hanno controllato e mi hanno dato una registrata” dice ridendo. E così si sottopone alle nostre domande, soprattutto sul tema della sicurezza – il nostro core business, come lo definisce Russo – principale responsabilità del rappresentante del Governo a Ravenna, a capo del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica. 

 

La sua ricetta in questo campo è chiara: più mezzi, più collaborazione e più rete per controllare meglio il territorio. E i risultati si vedono. Se la classifica del Sole 24 Ore ci castiga per la microcriminalità e i furti nelle case (per l’anno 2014), lui va orgoglioso dei risultati dei primi sei mesi del 2015, non ancora ufficiali, ma certi e spendibili: le denunce dei furti nelle abitazioni sono diminuite del 10%, un segnale importante. Un punto di partenza per fare di più.

 

Prefetto Francesco Russo, prima di tutto come sta?

“Bene, grazie. Ho avuto questo episodio leggero di fibrillazione. Sono andato in ospedale, mi hanno controllato, mi hanno dato una registrata, e adesso sono qua. Tutto a posto.”

 

Lei si è insediato il 5 gennaio del 2015, meno di un anno fa… che effetto le fa Ravenna?

“Ravenna è una città molto interessante, dove si può lavorare molto bene e dove c’è sicuramente uno spirito molto positivo, anche se risente ancora della crisi. Poi c’è una situazione territoriale particolare, perché abbiamo un forese di Ravenna esteso e altre zone della Bassa Romagna e del Faentino più isolate: si presentano alcune difficoltà in più per il presidio del territorio. Proprio per questo io ho scelto alcuni target di intervento per connotare il mio essere Prefetto a Ravenna. Sono partito dalle associazioni economiche di categoria – il primo incontro fu con gli agricoltori -e ho chiesto loro la collaborazione per affrontare i vari problemi.”

 

Quindi il suo modello operativo è basato sul principio della collaborazione?

“Sì, la collaborazione e poi la rete. Il fare rete. Faccio l’esempio dell’abusivismo commerciale, un terreno sul quale abbiamo sviluppato un buon lavoro con un confronto a più voci per affrontare il fenomeno: l’idea è che ognuno deve suonare il proprio strumento – quello che ha a disposizione – e mettersi in sintonia con gli altri per realizzare un’opera corale. Quindi una rete che veda partecipi e in azione le forze dell’ordine, la polizia municipale, gli addetti alla vigilanza degli stabilimenti balneari, ognuno deve fare la sua parte.”

 

Ognuno mette un pezzo, per creare il mosaico…

“Esatto. Un pezzo che alla fine deve comporre il tutto, per un’opera e un’azione di controllo efficace. E questo tipo di ragionamento e di modalità operativa vale per tutti i temi più importanti.”

 

Torniamo a Ravenna. Che cosa le piace di questa città?

“I mosaici. L’arte. E mi piace la gente di questa città. Le dico una cosa. Ero recentemente con amici e si osservava insieme che qui si respira un’aria di cordialità che è un valore prezioso. Il ravennate che vive da sempre a Ravenna magari non se ne rende conto e non lo sa apprezzare fino in fondo. Ma per chi viene da fuori e da altre città – come me – questa cosa si avverte in modo chiaro e evidente. E vale, mi creda. Poi Ravenna è una città molto viva, c’è un forte senso di solidarietà. È una bella cosa.”

 

Cosa non le piace di Ravenna?

“Sì, c’è anche qualcosa che non mi piace. Vorrei che Ravenna avesse maggiore attenzione a cogliere e capire i fenomeni negativi. Anche qui le faccio un esempio. Ho lanciato più volte segnali di attenzione sulla eventualità di infiltrazioni malavitose o strane presenze in economia e mi aspettavo dei ritorni – nel senso di denunce, segnalazioni – invece non è successo nulla. Questa cordialità e apertura non deve significare che abbassiamo la guardia.”

 

Parliamo di sicurezza. Tema caldo e delicato, sul quale lei ha competenze specifiche. Partiamo dai fatti di Parigi e dal clima di attenzione e preoccupazione che c’è in Italia, in Europa, ovunque in merito al terrorismo. Che cosa ci dice di Ravenna? Abbiamo la guardia alta anche qui? Possiamo stare sereni?

“Io le dico che a Ravenna la guardia è sicuramente alta, ma non c’è un’attenzione specifica qui a differenza di altre città. Ovunque c’è grande attenzione. Anche a Ravenna, dunque. Noi ovviamente stiamo da sempre lavorando per un controllo del territorio sempre più efficace e raffinato e oggi adeguiamo il nostro lavoro alle nuove esigenze e alle nuove sfide. È un lavoro che facciamo insieme ai Sindaci, alle associazioni di categoria. In sostanza, non c’è nessun allarme particolare. C’è un lavoro che continua e che viene rafforzato in momenti delicati come questi.”

 

In più oggi c’è questa unità speciale, una sorta di unità antiterrorismo operativa anche a Ravenna…

“Sì, c’è un equipaggio speciale della Polizia di Stato che opera in città. Ma questo è un programma studiato da tempo, sviluppato da qualche mese e che ora è arrivato a maturazione. Non è una misura presa sul momento, sull’onda di un’emergenza. Fa parte del percorso di crescita costante della nostra risposta nel campo del controllo del territorio e della sicurezza.”

 

Foreign fighters. Ravenna vanta un piccolo non invidiabile primato: diversi combattenti sono passati proprio da qui prima di andare a servire il Califfato. Perché? Una pura casualità? Qualche ragione precisa?

“Quello che è accaduto è avvenuto prima che io arrivassi. L’idea che mi sono fatto io è che a Ravenna c’è una conoscenza più diffusa degli extracomunitari presenti sul territorio e quindi abbiamo scoperto che da qui sono passati. E uno è stato beccato prima che partisse per andare a combattere. Ma diversi di questi combattenti passati da Ravenna sono partiti prima che ancora esistesse il Califfato o il sedicente Stato islamico. Allora la conoscenza del fenomeno era scarsa e la guardia era meno alta. Oggi è diverso. Comunque, non credo che Ravenna sia un crocevia dei foreigh fighters.”

 

Abbiamo la seconda moschea più grande d’Italia dopo quella di Roma. C’è chi grida al lupo al lupo per questa presenza. C’è chi mette in relazione tale presenza con i foreign fighters. A molti in realtà sembra una forzatura. Lei che ne pensa?

“La moschea è un luogo di preghiera e il nostro Stato ha delle norme costituzionali ben precise che garantiscono il diritto di culto. In moschea si ritrova una comunità islamica pacifica, che anche in occasione dei fatti di Parigi ha condannato gli attacchi terroristici in modo netto e senza ambiguità. Noi siamo attenti a tutto, anche a ciò che si muove attorno alla moschea, nel rispetto delle diversità e delle sensibilità e sempre con senso di collaborazione. Se qualcosa di strano dovesse succedere auspico e sono certo che la comunità islamica collaborerebbe con noi ad affrontare episodi negativi eventuali.”

 

Parliamo di migranti: possibile che non si riesca ancora a trovare una soluzione per quelli che dormono all’addiaccio in una città come Ravenna?

“In Provincia noi abbiamo avuto complessivamente quasi 1.100 arrivi dalla fine dell’aprile 2014 fino ad oggi. Con un flusso continuativo. Un afflusso ora maggiore ora minore in base alle condizioni del mare. Poi ci sono persone che non arrivano dal mare, ma arrivano dall’Europa e con altri mezzi. E non rientrano nel programma Mare Nostrum e ora Triton. Parecchi di questi si sono concentrati a Ravenna. Non sappiamo perché, ma si sono raccolti qui. Noi ne abbiamo accolti più di 200. Per questi vanno attivati servizi di accoglienza di secondo livello, con modalità diverse dall’emergenza legata ai profughi che vengono dal mare, come dicevo prima. L’accoglienza di secondo livello viene garantita dalle strutture del territorio, tramite l’intervento sociale ordinario. Certo non siamo in grado di accogliere tutti. Non possiamo accogliere quelli che vengono dal mare e poi anche quelli che vengono anche da altre parti. Finiremmo per avere più profughi noi di una città come Bologna. Vogliamo accogliere e dobbiamo avere senso di umanità. Ma bisogna anche agire con equilibrio. La carità, il senso di umanità, la solidarietà e l’accoglienza devono fare i conti con la realtà.”

 

Qual è il modello di accoglienza? Non abbiamo grandi strutture, ne sono previste?

“Esattamente. Noi abbiamo più di 25 piccole strutture che gestiscono i migranti. Non abbiamo nessun moloch, i grandi centri, che di solito generano problemi, contraddizioni, conflitti. E non ne vogliamo. Tornando ai profughi che dormono per strada, posso dire che in genere sono quelli nuovi che arrivano e sono in attesa di sistemazione. Ne arrivano sempre dei nuovi. Noi ne abbiamo sistemati e ne sistemiamo tanti… ma le persone che stanno arrivando scontano un periodo in cui dormono dove capita in attesa di una soluzione. È un qualcosa di fisiologico e riguarda un numero limitato di persone. Una sistemazione prima o poi si trova con l’accoglienza di secondo livello di cui parlavo. Ma certo non possiamo incoraggiare il fenomeno perché non possiamo accogliere tutti e – ripeto – bisogna cercare di fare i conti con le reali possibilità di accoglienza.”

 

La questione è complessa e non ci sono risposte semplici…

“Certo che no. Siamo in un’Europa che erige muri dappertutto mentre noi in Italia non lo stiamo facendo. Ma dobbiamo tenere in equilibrio l’accoglienza con la possibilità di dare risposte concrete. Per esempio, oggi abbiamo fra i 500 e i 580 rifugiati secondo il programma Triton: ne risultano censiti 500 ma sono circa 80 in più. Per carità sono censiti e tutto è sotto controllo, ma questo è. Ne abbiamo 80 in più di quelli che dovrebbero trovarsi in provincia di Ravenna. E stiamo lavorando con tutti i Sindaci e le varie istituzioni per gestire questa emergenza in tutta la provincia. Continueremo poi ad accogliere nuovi migranti in base ai programmi nazionali. Sempre cercando di fare rete e gestire al meglio questa emergenza.”

 

Negli ultimi tempi si è parlato molto di mafia in Emilia-Romagna, c’è stato un libro-inchiesta e proprio ora si sta celebrando il processo Aemilia. Che succede? Che si sta facendo?

“Stiamo lavorando con grande intensità su questo terreno. Per capire se ci sono infiltrazioni malavitose nel tessuto economico e per colpirle, come ho già detto. Ho dato il massimo impulso alle forze di polizia per operare in questo campo e ho chiesto la massima collaborazione delle categorie economiche.”

 

Ma lei ha detto prima che si aspettava un po’ di più…

“Mi aspetto qualcosa. Non un po’ di più.”

 

Cioè?

“Non denunciare e non segnalare fenomeni di malaffare per paura di danneggiare l’immagine di un territorio si è dimostrata nel tempo una politica molto, molto, molto perdente…”

 

La mafia non esiste, si diceva una volta in Sicilia…

“Ripeto, questa è un’idea perdente. Per cui ribadisco e auspico la massima collaborazione di tutti i soggetti per prevenire e colpire eventuali infiltrazioni della malavita nella economia locale.”

 

Il Sole 24 Ore ha pubblicato i dati sui reati 2014 denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia. Un quadro dove dominano i reati predatori, furti in primis. In questa classifica, la provincia di Ravenna si colloca al 6° posto in Italia con un triste primato per i furti in abitazione. Un suo commento.

“Io le dico questo. Intanto quei dati si riferiscono al 2014. E proprio perché abbiamo avuto percezione di questa cosa abbiamo messo in campo un’azione di prevenzione e repressione sul territorio provinciale – con posti di blocco e di controllo – che ha dato frutti importanti. Tant’è che i furti sono diminuiti nel 2015 rispetto al 2014… con un calo a doppia cifra dei furti nelle abitazioni.”

 

I dati non sono ancora ufficiali ma ci sono. È così?

“Sì. Ma mettiamoci d’accordo. I dati statistici vengono rilevati sulla base delle denunce. E noi nei primi 6 mesi del 2015, alla fine di giugno, rileviamo un calo superiore al 10% di denunce dei furti nelle abitazioni rispetto allo stesso periodo del 2014. Questo è un fatto. Ora, uno mi può dire che la gente si stanca di denunciare. Ma ripeto mettiamoci d’accordo: se i dati sono basati sulle denunce e le denunce sono calate del 10% allora vuol dire che la situazione per i furti nelle abitazioni nei primi 6 mesi del 2015 è migliorata. Se i dati valgono per il 2014 valgono anche per il 2015. Non possono valere solo quando fa comodo. Naturalmente noi non ci fermiamo e stiamo lavorando per migliorare il controllo del territorio.”

 

Che cosa si fa già e cosa si può fare di più per arginare la microcriminalità?

“In parte le ho già detto. La collaborazione di tutti i soggetti, dalle forze dell’ordine al singolo cittadino. La rete. La partecipazione di tutti. Ed è fruttuosa la collaborazione dei Sindaci per garantire una sempre maggiore presenza delle Polizie municipali. Naturalmente c’è poi anche il rafforzamento delle unità operative e in questi giorni sono arrivati nuovi mezzi a disposizione delle nostre forze di sicurezza.”

 

Come possono partecipare e contribuire i cittadini a questo lavoro comune di vigilanza?

“La collaborazione dei cittadini deve avvenire in rete, in collaborazione con i Comuni. Parliamo di cittadinanza attiva e consapevole, quindi. Se invece la partecipazione diventa dispersa e arruffata, con iniziative disarticolate, rischia di essere controproducente.”

 

Quindi mi sta dicendo che le ronde non hanno senso.

“Non hanno senso. A parte che non si possono fare. Ma rischiano appunto di essere controproducenti. Fanno perdere tempo ed energie se non sono collegate con le istituzioni.”

 

Non voglio aprire un conflitto fra istituzioni, ma emerge un grande problema nel campo della sicurezza. Le forze dell’ordine fanno un grande lavoro di prevenzione e repressione, colpiscono e arrestano ma poi nelle aule di giustizia spesso i piccoli delinquenti – e non solo quelli – vengono rilasciati. E la gente assiste perplessa a questa tela di Penelope che viene fatta e disfatta ogni giorno…

“Questo problema viene segnalato spesso. È un tema cruciale che riguarda però il Parlamento, che deve fare le leggi. Noi ci limitiamo ad applicare le leggi. E così anche i magistrati.”

 

Zona stazione: un problema che sembra senza soluzione. Che cosa si sta facendo? Non è possibile un presidio permanente nella zona come chiedono da tempo i residenti?

“Noi stiamo aumentano i controlli. E i cittadini lo hanno già notato. Ma non penso sia possibile un presidio permanente. Anche perché poi non è una questione di numeri e di presenze stabili, perché se ci mettiamo in questa logica non ce la faremo mai. Quanti luoghi dovremmo presidiare? E con quali forze? Per me si tratta piuttosto di fare un lavoro sempre più efficace. E lo stiamo facendo. Cerchiamo di isolare e colpire le persone che delinquono e più pericolose, ma anche di fare entrare nella legalità e integrare le persone in bilico, fare capire loro che hanno più interesse ad agire nella legalità che a permanere in una sorta di illegalità. Creiamo le condizioni per questo.”

 

Un po’ di bastone e un tanto di carota?

“Ci vuole equilibrio. Dobbiamo capirci fra diversi. Non dobbiamo metterci sempre e solo nell’ottica della paura rispetto a chi è diverso da noi. Questi arrivano e continueranno ad arrivare. Non si ferma il mare con le mani. Perciò dobbiamo capire il diverso, imparare a convivere e progredire nel campo dell’integrazione. Attivando la rete per l’accoglienza, l’assistenza, la legalità.”

 

L’insicurezza è un portato e un connotato specifico e permanente della modernità oppure è solo una contingenza legata al tempo storico presente della crisi economica e del terrorismo? Lei che idea si è fatta?

“Ci sono entrambe le cose. Sicuramente quando non c’è crisi e la gente sta meglio c’è meno insicurezza e meno paura. Le cose cambiano quando la crisi morde e in più c’è l’emergenza terrorismo, come in questi anni. Ma in un mondo interconnesso, nel villaggio globale, siamo collegati sempre con tutto il mondo e questo crea tanti motivi di ansia, paura e insicurezza a prescindere. Con tutto ciò dobbiamo imparare a convivere.”

 

Libertà e sicurezza sono valori già in rotta o che rischiano di andare in rotta di collisione, al punto che si parla di sacrificare pezzi sempre più significativi della nostre libertà in cambio di maggiore sicurezza. Le sembra un cambio ragionevole e accettabile? Che ne pensa?

“La sicurezza è un valore forte. In fondo è anche il nostro core business. Ma io mi auguro sempre di applicare le leggi e di garantire la sicurezza coniugando questo con le nostre libertà.”

 

Perché se la sicurezza è il suo core business, la libertà è il principio identitario delle nostre società, a cui non possiamo rinunciare…

“È così. Concordo pienamente.”

 

A cura di P. G. C. 

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