Andrea Maestri (Possibile): Ravenna si mangia il territorio a ritmo vertiginoso

Maestri: questo nonostante i proclami dell'amministrazione comunale sul «consumo di suolo zero»; inoltre, secondo un'analisi condotta da opendata, ricavata dai dati diffusi dal rapporto dell'Ispra sopra richiamato, per il 2015, la provincia di Ravenna risulta essere quella con la minor spesa per la manutenzione del territorio

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L’on. Andrea Maestri ha presentato una interrogazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in merito all’XI Rapporto l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sulla «Qualità dell’ambiente urbano», da cui risulta che il comune con il valore più alto di suolo consumato pro-capite è risultato proprio quello di Ravenna che ha raggiunto valori superiori ai 500 metri quadrati ad abitante, molto superiori a quelli medi.  

 

Ecco il testo integrale dell’Interrogazione presentata dall’on. Andrea Maestri al Ministro

 

Mercoledì 20 gennaio 2016, seduta n. 551 ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: il 16 dicembre 2015, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha presentato l’XI rapporto sulla «Qualità dell’ambiente urbano», ove sono stati analizzati i dati relativi a 12 nuove città e 85 comuni, in prevalenza capoluoghi di provincia, con popolazione superiore ai 40.000 abitanti e i capoluoghi delle regioni italiane; fra i temi tipicamente «urbani» trattati dal rapporto risulta particolarmente importante quello relativo al consumo di suolo, perché fortemente interconnesso con le maggiori criticità ambientali delle città e dei territori italiani: dissesto idrogeologico, rischio di erosione e perdita di biodiversità, ma anche alterazione dei cicli bio-geochimici e della relazione suolo-atmosfera; secondo l’Ispra, in Europa si perdono ogni ora undici ettari di terreno, giungendo in Italia ad un consumo doppio rispetto alla media europea che è pari a circa 6-7 metri quadrati al secondo, mentre in Italia si aggira attorno ai 20 e i 25 ettari ogni ora; il comune con il valore più alto di suolo consumato pro-capite è risultato quello di Ravenna che ha raggiunto valori incredibilmente superiori a quelli medi, ovvero superiori ai 500 metri quadrati ad abitante.

Un primato negativo che si inserisce in uno scenario nazionale alquanto allarmante, soprattutto perché si registra per l’anno 2015, che è stato proclamato dalle Nazioni Unite come «Anno Internazionale del Suolo»; sulla base dei dati diffusi dall’Ispra, il territorio ed il suolo di Ravenna sono consumati ad una velocità pari a quella di una metropoli: la superficie consumata totale è pari a circa 9 mila ettari l’anno, un valore ben al di sotto dei 33 mila di Roma, ma quasi pari a grandi città come Milano e Torino, seconde nella graduatoria nazionale con 11 mila ettari totali «bruciati»; sempre secondo il apporto, a Ravenna spetta anche la maglia nera regionale del consumo di suolo totale, dato che Ferrara si ferma a 6.500 ettari, Bologna a 5 mila, mentre Forlì e Rimini non vanno oltre i 3 mila; nel apporto, il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale naturale o seminaturale (suolo non consumato), a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato). La copertura artificiale è quindi data dal «crescente insieme di aree coperte da edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane. Tale definizione si estende, pertanto, anche in ambiti rurali e naturali ed esclude, invece, le aree aperte naturali e seminaturali in ambito urbano» (Ispra, 2013); per combattere l’uso indiscriminato di suolo, ad avviso dell’interrogante, è necessario quindi, intervenire sul fronte della pianificazione urbanistica, limitando l’espansione di nuova superficie urbanizzata con la valorizzazione delle aree già edificate, attraverso quindi il recupero e la riqualificazione del patrimonio esistente, resi però difficili da diversi fattori, come ad esempio la lenta burocrazia e i costi altissimi che rendono spesso più conveniente la costruzione di un nuovo immobile, anziché la sistemazione dell’esistente; negli ultimi 25 anni, l’Italia ha perso il 28 per cento delle campagne proprio per colpa della cementificazione e dell’abbandono dell’esistente, provocati da un modello di sviluppo sbagliato, che al recupero dell’esistente ha preferito, spesso, per meri fini speculativi, consumare superficie «naturale»; è questo anche il caso della città di Ravenna che, anche durante gli anni della «crisi del mattone», si è infatti allargata con nuove edificazioni, inglobando quella che era superficie naturale e campagna ad un ritmo sempre più sfrenato, nonostante i proclami dell’amministrazione comunale sul «consumo di suolo zero» e i dati del censimento del 2011, dove già risultavano presenti 69.989 unità immobiliare attive occupate e 20.254 non occupate (il 23 per cento del totale); inoltre, secondo un’analisi condotta da opendata, ricavata dai dati diffusi dal rapporto dell’Ispra sopra richiamato, per il 2015, la provincia di Ravenna risulta essere quella con la minor spesa per la manutenzione del territorio; scelte politiche sbagliate, hanno portato il comune di Ravenna, oltre che ad un ampliamento sfrenato dell’urbanizzazione, alla riduzione graduale della capacità di ritenzione idrica dei terreni, rendendoli più fragili e vulnerabili di fronte agli eventi atmosferici estremi dovuti ai cambiamenti climatici e quindi, ad un peggioramento del dissesto idrogeologico del territorio, come mostrano i sempre più frequenti stati di emergenza; dal 6 marzo 2014 ancora risulta fermo, in corso di esame nelle Commissioni ambiente e agricoltura della Camera il disegno di legge n. 2039 recante «contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», pensato dal Governo per difendere il territorio e combattere il dissesto idrogeologico –: alla luce dei dati allarmanti diffusi dal rapporto dell’Ispra, se il Governo, in attesa di una legge nazionale sul consumo del suolo e di politiche dirette a favorire il recupero dell’esistente, non intenda assumere iniziative normative urgenti per arginare la perdita vertiginosa di suolo naturale e, alla luce di quanto emerso dal rapporto di cui in premessa, nell’ambito delle sue competenze, se non ritenga opportuno verificare i motivi dei tristi primati summenzionati. 

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