Referendum del 17 aprile: si vota su un solo quesito, limitato, ma dal forte potere simbolico

Sulla scheda si chiede di abolire l’articolo della riforma della legge di stabilità secondo cui le società petrolifere non potranno più ottenere concessioni per le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, ma quelle già esistenti si estingueranno solo all’esaurimento naturale del giacimento

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Domenica 17 aprile tutti i cittadini aventi diritto di voto saranno chiamati alle urne per il referendum sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia dalla costa. La storia di questo referendum ebbe inizio nell’estate del 2015, quando “Possibile”, il movimento fondato da Giuseppe Civati, appena uscito dal PD, promosse otto referendum, fra cui quelli riguardanti il tema delle trivellazioni vicino alla costa, ma non riuscì a raccogliere le 500mila firme necessarie per chiedere una consultazione popolare. 

 

Poche settimane dopo i Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise – l’Emilia-Romagna non ha partecipato a questa iniziativa – promossero sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. L’Abruzzo si ritirò poi dalla lista dei promotori.

Nel dicembre 2015 il Governo Renzi assorbì una parte dei quesiti proposti dai Consigli regionali nelle modifiche alla legge di stabilità, restituendo agli enti locali un ruolo rilevante nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio e facendo in modo che la Corte di Cassazione ritenesse ammissibile alla fine un solo quesito. Le Regioni Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania decisero a questo punto di sollevare un conflitto di attribuzione riguardo due quesiti dichiarati decaduti, contestando al Governo di aver legiferato su una materia di competenza delle Regioni. Il 9 marzo 2016 la Consulta ha bocciato il ricorso delle Regioni che, se accettato, avrebbe riportato in vita altre due questioni, ovvero il “piano delle aree”, ossia lo strumento di pianificazione delle trivellazioni che prevede il coinvolgimento appunto delle Regioni, abolito dal governo con un emendamento alla legge di stabilità, e la durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma.

 

IL 17 APRILE, UNA SOLA SCHEDA

Il 17 aprile, dalle 7 alle 23, si voterà quindi per un unico quesito (con una sola scheda) e questa è in sostanza la domanda che gli elettori si troveranno sulla scheda: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri).  

La portata del referendum è quindi limitata, ma il suo valore è fortemente simbolico. Se vincesse il Sì, arriverebbe un segnale forte per rivedere la politica energetica del Paese (è quello che si propongono i promotori) oltre a porre un limite alle trivellazioni. Se vincono il No o l’astensione nulla viene messo in discussione e tutto resta come prima. 

 

SE VINCE IL SI’, SE VINCE IL NO

Se vincerà il Sì, a scadenza delle concessioni, queste non saranno più rinnovate.

Se vincerà il NO o nel caso in cui non si raggiungesse il quorum (50%+1 dei votanti) le concessioni rimarranno in vigore fino all’esaurimento del giacimento.

 

Affinchè il responso del referendum sia valido deve votare il 50% più uno degli aventi diritto.

 

GLI SCHIERAMENTI

Il comitato per il Sì ha visto aderire alla campagna per fermare le concessioni alle trivellazioni moltissime associazioni come Greenpeace e Legambiente, ma anche Fiom, WWF, Libera e Slow Food e anche Confesercenti.

A livello politico si sono schierati per il Sì la minoranza del PD – con in testa alcuni Presidenti delle Regioni che hanno promosso il referendum, come il pugliese Emiliano – il Movimento 5 Stelle, Sel e Sinistra Italiana, Possibile, la Lega Nord.

La maggioranza del PD che fa capo a Renzi si è schierata in parte per il No e in parte invita a non partecipare al voto e quindi invalidare l’esito del referendum. In Romagna anche il PRI spinge per il boicottaggio del voto.

 

Forza Italia non ha espresso indicazioni di voto ufficialmente nè per il Sì nè per il No e quindi pare lasciare libertà di giudizio ai propri elettori.

Per il boicottaggio del voto, anche il comitato degli “Ottimisti e Razionali”. Secondo gli “Ottimisti e Razionali”, “l’estrazione di gas è sicura e dà molto al paese: 800 milioni di tasse, 300 milioni di investimenti di ricerca e 10 mila posti di lavoro, perché rinunciarci?”.

I “NoTriv” spiegano che secondo i dati elaborati dal ministero dello Sviluppo Economico, le piattaforme soggette a referendum coprono solo l’1% del fabbisogno del petrolio nazionale e il 3% di quello di gas, mentre secondo il ministero dell’Ambiente, un monitoraggio Ispra, commissionato da Eni, ha rilevato che due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie. In molti tra i promotori hanno inoltre chiesto a più riprese che le votazioni per il referendum venissero accorpate alle elezioni amministrative di giugno, cosa che avrebbe fatto risparmiare tra i 300 e i 400 milioni di euro, ottenendo però sempre un responso negativo dal Governo che ha deciso di tenere disgiunto il voto referendario da quello amministrativo di giugno. 

 

A cura di Federica Berlanda

 

Nell’immagine Trivelle d’Italia, fonte Fabrizia Arduini WWF Abruzzo

 

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