Fanghi del porto, esposto in Procura di Ancisi (LpRa): “Il sindaco non ne ha ordinato la rimozione”

Secondo il capogruppo, il mancato seguito alla sua diffida dell'aprile 2015 si configura come "rifiuto di atto d'ufficio da parte di un pubblico ufficiale"

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I fanghi del porto tornano nell’occhio del ciclone: il capogruppo di Lista per Ravenna Alvaro Ancisi fa infatti sapere di avere presentato un esposto alla Procura della Repubblica a seguito della mancata risposta del sindaco a una sua diffida, del 3 aprile 2015, che chiedeva di ordinare “la rimozione dei fanghi rifiuto depositati abusivamente nelle casse di colmata, a seguito di prolungata scadenza delle autorizzazioni rilasciate da parte della Provincia”.

“In effetti, – si legge nella nota di Lista per Ravenna – mentre i fanghi di dragaggio sono classificati dalla legge come rifiuti speciali, l’art. 192 del Codice ambientale sul divieto dell’abbandono e del deposito incontrollati di rifiuti, impone al sindaco del Comune interessato di emettere, in tali casi, un’ordinanza che obblighi i responsabili ad effettuare ‘la rimozione, l’avvio al recupero o allo smaltimento dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi’, prescrivendo ‘il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate'”.

Dal mancato riscontro a tale diffida, il passaggio all’esposto “ravvisando nel fatto l’eventuale ipotesi del rifiuto di atto d’ufficio da parte di un pubblico ufficiale, sanzionato dall’art. 328 del codice penale, che ricorre quando l’atto ‘per ragioni di giustizia…o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo'”.

Nel testo dell’esposto, Ancisi sottolinea che la mancata rimozione dei rifiuti in questione ha procurato grave danno all’economia del porto di Ravenna, di fatto contribuendo ad impedirvi, almeno dal 2012, i lavori di approfondimento dei fondali – indispensabili per l’efficienza dello scalo e per reggere la concorrenza di altri porti – causa l’indisponibilità di altri siti a terra idonei al deposito dei fanghi escavati: liberati dai depositi abusivi, le casse di colmate avrebbero e potrebbero offrire volumi di nuovi conferimenti più che esaustivi a tal fine per almeno quattro o cinque anni. L’incontrollata prolungata permanenza dei rifiuti sul posto può inoltre aver prodotto – è scritto nell’esposto – ‘l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali, delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio0, che richiederebbe di imporre ai responsabili, ai sensi dell’art. 257 del Codice ambientale, la bonifica dei siti contaminati.

A rafforzare l’esposto, Ancisi “ha richiamato la sentenza n. 33034 del 2005 della Corte di Cassazione, che, in un caso analogo, ha espressamente affermato la responsabilità del sindaco per il reato medesimo. Ha anche richiamato la sentenza n. 33585 del 2015 della Cassazione Penale, secondo cui nulla importa, ai fini di tale responsabilità, che su determinate aree dove i rifiuti siano depositati illecitamente sussistano provvedimenti di sequestro penale (come nel caso in questione)”.

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