Se tuo padre si chiama Buffalo Bill: Baldini incanta il pubblico alla rassegna “Il tempo ritrovato”

Lo scrittore ha presentato a Palazzo Rasponi dalle Teste, con una sala gremitissima, il suo ultimo romanzo, "Stirpe selvaggia", che prende spunto dalla venuta a Ravenna del leggendario eroe del West

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Quando Eraldo Baldini presenta un suo libro a Ravenna, richiama sempre un pubblico numeroso ed affettuoso, che lo segue da anni con passione. Anche ieri pomeriggio si è ripetuto lo stesso copione: decine e decine di persone hanno affollato la sala al secondo piano di Palazzo Rasponi dalle Teste in occasione della presentazione dell’ultimo romanzo dello scrittore ravennate “Stirpe selvaggia” nell’ambito della rassegna letteraria “Il tempo ritrovato”.

 

Eraldo Baldini arriva un po’ in anticipo insieme al curatore della rassegna, Matteo Cavezzali, e molti ne approfittano per salutarlo e stringergli la mano. Qualcuno coglie l’attimo per anticipare il rito del “firma copie” che, come tradizione vuole, avviene sempre a fine incontro. Lo scrittore è sorridente e a suo agio. “Le presentazioni dei libri – dice – sono parte del mio lavoro. Stasera sono fra amici, è il mio compleanno, è il trentesimo anniversario dell’uscita del mio primo libro e sono nella mia città”.

 

Il suo ultimo libro, “Stirpe selvaggia”, è un romanzo di quasi 300 pagine, ricco di personaggi e di storie.

Un romanzo che attraversa i primi cinquant’anni del secolo scorso e racchiude in sé tutti i temi cari allo scrittore romagnolo che, per questa sua ultima fatica letteraria, prende le mosse dalla venuta a Ravenna, ben più di un secolo fa, del leggendario Buffalo Bill.

 

“Era un’idea che avevo da tantissimo tempo”, spiega rispondendo al giornalista Matteo Cavezzali che gli chiede come sia scoccata la scintilla che ha dato vita al libro.

“Un’idea – prosegue – che è rimasta lì, ed è maturata, cresciuta. Un’idea che prende lo spunto da un fatto vero, come testimoniano anche le foto dell’epoca: il 12 aprile del 1906 arrivò a Ravenna all’ippodromo, che era dove adesso si trovano i giardini pubblici, Buffalo Bill con il suo Wild West Show. L’evento ebbe grande risonanza. A tirare fuori questa storia fu mio nonno che all’epoca aveva 8 anni e io ne fui suggestionato”.

 

“Un altro stimolo – racconta Baldini – è stata poi una sorta di leggenda che circolava in Romagna”: quella di un Buffalo Bill donnaiolo impenitente nonostante l’avanzare degli anni. Fra le vittime del suo fascino attempato, narra la vulgata popolare, ci sarebbe stata una diciottenne di Boncellino che all’epoca faceva la cameriera a Ravenna.

La ragazza tornò a casa incinta, dicendo che il padre del figlio che aspettava era Buffalo Bill. Ovviamente nessuno le credette. La giovane però aveva il suo indirizzo americano e gli scrisse una lettera per renderlo edotto dell’accaduto e richiamare l’eroe del West alle sue responsabilità.

Buffalo Bill non riconobbe mai questo bambino e, narra appunto la leggenda, per mettere a tacere la coscienza inviò alla ragazza e alla sua famiglia una cassetta di legno piena di monete d’oro con le quali venne acquistato un podere sul quale vivrebbero ancora gli eredi.

“Ma che una storia sia vera oppure no – sottolinea Baldini – ad uno scrittore interessa marginalmente. Io ho immaginato cosa potesse provare un bambino dopo aver saputo di essere il figlio di Buffalo Bill”.

 

Nasce così il personaggio principale del libro, Amerigo, chiamato così dalla madre Giulia perché concepito in America mentre quest’ultima si trova come cameriera al seguito di una cantante lirica. Il rifiuto del famoso padre di incontrarlo lo spinge a schierarsi per sempre “dalla parte degli indiani”.

 

“All’inizio – racconta Eraldo Baldini – immaginavo un personaggio che nel bene e nel male facesse grandi cose. In realtà Amerigo cerca di rimanere ai margini, sempre sospeso fra responsabilità e fuga, fra amore e solitudine. L’unica cosa alla quale non riesce a sfuggire è la storia che attraversa i primi cinquant’anni del Novecento. La vicenda si svolge in un paesino delle colline romagnole dal nome di fantasia, San Sebastiano in Alpe, un paesino abitato da personaggi strani, sospesi fra la realtà ed un immaginario condiviso”.

Un mondo di cui Eraldo Baldini conosce “umori, colori” perché, ammette, “avrei difficoltà a non ambientare i miei libri nella mia terra”.

 

Nella serata che scorre in un clima di divertita attenzione c’è spazio per i ricordi personali.

“Mia madre è sempre stata la mia prima lettrice ed il suo era il giudizio che attendevo di più, perché era un giudizio sincero e, per questo, prezioso. C’era un rito quando ero bambino: tutti i sabati mia mamma mi vestiva bene e partivamo da San Pancrazio in pullman per venire a Ravenna, nella libreria che c’è ancora sotto i portici di via Corrado Ricci. Ogni sabato mia madre comprava un libro con i soldi che aveva risparmiato durante la settimana e mi coinvolgeva nella scelta. Lei comprava buoni libri: allora trovare buoni libri era facile”.

I libri di John Steinbeck ad esempio: “’I pascoli del cielo’ – dice Baldini – è un libro che mi ha folgorato, che racconta di una comunità all’apparenza insignificante. Ma non esiste un luogo del mondo che sia insignificante”.

 

Ogni scrittore ha nel suo bagaglio tutto quello che “ha letto, di buono o di meno buono; tutti i film che ha visto belli e meno belli”.

Nel bagaglio di Eraldo Baldini ci sono Steinbeck, Erskine Caldwell, entrambi poco conosciuti dai ragazzi d’oggi, si rammarica Baldini e Stephen King un autore al quale è stato spesso paragonato, soprattutto ai suoi esordi e che definisce “altalenante”.

 

“Che rapporto c’è fra il Baldini saggista e il Baldini narratore?”, domanda Cavezzali.

“C’è un legame circolare, molto stretto. Il mio amico Giuseppe Bellosi dice che lavoro su due tavoli distinti ma non distanti. Nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni trovo sempre degli elementi straordinari da portare nella narrativa. Inizialmente sono stato colpito dal lato oscuro e misterioso: la cultura popolare è piena di paure e i miei primi lavori si sono sintonizzati su questa frequenza. Adesso vorrei fare anche altro: con ‘Stirpe selvaggia’ ho cercato di scrivere un romanzo che fosse un romanzo di respiro largo, con personaggi ben definiti, che interagiscono fra di loro”.

 

“Stirpe selavaggia”, incalza Cavezzali, è un libro molto diverso da quello che si scrive oggi in Italia. Ricorda il “realismo magico sudamericano”, al punto che il luogo dove si svolge la vicenda viene paragonato, nell’ultima di copertina, al Macondo di “Cent’anni di solitudine”.

“In realtà l’Italia di realismo magico ne ha in abbondanza, ma nessuno mette le mani in questa materia. Fra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta c’è la riscoperta del piacere della trama, nasce la cosiddetta letteratura di genere che poi è un solo genere, sdoganata da Umberto Eco con ‘Il nome della rosa’. In Italia oggi si è perso il gusto del romanzo vero. Io ho sempre fatto scelte che piacessero prima di tutto a me: non ho mai fatto romanzi con personaggi seriali, anche se la serialità crea uno zoccolo duro di lettori e se dovessi tornare indietro rifarei tutto quello che ho fatto fin’ora”.

 

“Amerigo – la parola passa ancora una volta a Cavezzali – è un personaggio solitario. Solitario è anche il lavoro dello scrittore”.

“Sì certo, il lavoro dello scrittore è solitario ma anche un po’ schizofrenico. Quando stai scrivendo un libro pensi sempre alla tua storia, sei sempre solo con i tuoi personaggi e quando hai finito di scriverlo, ti sei quasi sgravato di un peso. Di quel romanzo quindi non vorresti parlare più, perché il libro non è più il tuo, ma dei lettori e tu vorresti pensare ad una nuova storia. Invece devi promuoverlo, presentarlo in pubblico: in questo sta la schizofrenia”.

 

Infine l’ultima domanda viene dal pubblico: quanto “Stirpe selvaggia” può diventare una sceneggiatura per un film o una fiction?

“Si tratta di un libro molto sceneggiabile – è la risposta di Eraldo Baldini – ma con costi elevati. Pensiamo solo al numero di attori che servono per interpretare le diverse età di ciascun personaggio della storia o alla grandiosità dell’allestimento del Wild West Show di Buffalo Bill”.

 

A questo punto lo scrittore  conclude l’incontro con un divertente aneddoto di quando scrisse una sceneggiatura per la Colorado Film, la casa di produzione cinematografica fondata, fra gli altri, da Maurizio Totti e Gabriele Salvatores.  

“La mia sceneggiatura iniziava con l’immagine di un paesino pieno di stradine che si inerpicavano sulle colline ripreso dall’alto. Faccio giusto in tempo ad inviare il testo in direzione, che mi arriva la telefonata di uno dei patron della casa di produzione: ‘Ma non lo sai quando costa noleggiare un elicottero? Scrivi un paesino di montagna ripreso dal basso’”.

 

A cura di Ro. Em.

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