Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi… e il MAR torna a splendere

Pubblichiamo un estratto del saggio a catalogo del curatore della mostra, Alfonso Panzetta

Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi è una grande mostra. Di quelle che non fanno rimpiangere le passate stagioni. Quelle stagioni che qualcuno ha chiamato le stagioni d’oro del MAR. E a maggior ragione – dunque – quest’apertura avviene durante la Notte d’Oro. È una mostra che riempie gli occhi e lo spirito, con opere straordinarie. Tutte da vedere. Assolutamente da non perdere. L’evento è stato presentato questa mattina al MAR dal Sindaco Michele de Pascale, dall’Assessora alla Cultura Elsa Signorino, dal Direttore Maurizio Tarantino e dai curatori Panzetta e Torcellini.

LA MOSTRA

Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi

La mostra indaga il rapporto tra la scultura e il mosaico, con l’intento di sondare e documentare la nascita, l’evoluzione di questo linguaggio e le differenti declinazioni del concetto di “tessera” da parte degli scultori a partire dagli anni Trenta del Novecento, momento in cui, dopo che Gino Severini rinnova la pratica del mosaico in funzione della decorazione architettonica, si avviano le ricerche plastiche mosaicate di Lucio Fontana e Mirko Basaldella, tra i più geniali artisti del secondo Novecento italiano. Se Fontana e Mirko sono “i precursori”, antesignani dell’unione felice tra scultura e mosaico, tra anni Sessanta e anni Settanta, Zavagno e Licata sono invece da considerare come i due indirizzi su cui si dipana la ricerca dei decenni seguenti soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo di materiali “non tradizionali”, il primo, e l’impiego delle tessere musive, lapidee o vitree, nel contemporaneo, il secondo.

Sulla trama di questo doppio e diverso utilizzo dei materiali – tradizionali e non – corre l’ordito della mostra che documenta le differenti temperature espressive della scultura tra XX e XXI secolo, iconica o aniconica, poetica o narrativa, simbolica o concettuale, sempre nella specifica coniugazione con l’arte del mosaico che si intensifica e si individua come “genere specifico” allo scadere degli anni Settanta ad opera di Antonio Trotta, Athos Ongaro e della Transavanguardia di Chia e Paladino; artisti che, anche nei decenni seguenti, faranno della scultura mosaicata una ricerca non episodica, soprattutto grazie alle innovazioni tecniche e tecnologiche date dai nuovi materiali di origine sintetica, che hanno permesso il superamento dei limiti tradizionali delle malte cementizie rendendo più agevole l’esecuzione musiva sulla tridimensionalità. Tale ripresa non mancherà di suggestionare designer “colti” come Mendini e Sottsass che opereranno alcune incursioni sperimentali nella scultura.

Dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi, le ricerche e la produzione artistica in questa singolare declinazione della scultura si moltiplicano con esiti diversi e singolari e nel contempo tracciano il disegno della multiforme ricerca artistica dell’ultimo scorcio del XX secolo. Alcuni artisti e mosaicisti eseguiranno occasionali lavori tridimensionali, altri li alterneranno equilibratamente alla loro produzione bidimensionale, altri ancora si orienteranno verso la scultura in maniera più frequente, sino a farla diventare sempre più esclusiva. Da questo momento, anche grazie alla realizzazione di alcuni lavori di importanza internazionale realizzati a Ravenna, come la tomba di Rudolf Nureyev a Parigi – oggi inamovibile, ma presente in allestimento mediante una installazione virtuale e multimediale – il fenomeno scultura e mosaico vedrà un’accelerazione con artisti di varia provenienza che si connoteranno fortemente come scultori mosaicisti tout-court, consolidando la percezione che la scultura mosaicata abbia ormai imboccato una strada di assoluta autonomia.

 

Alfonso Panzetta – La scultura in mosaico dalle origini a oggi. Un percorso


La produzione artistica del Novecento offre ancora numerosi spunti di indagine e ragionamento, sia riguardanti le iconografie e i generi trattati, sia le tecniche, le suggestioni e le fonti cui fa riferimento. Una riflessione sull’incontro che avviene tra l’arte della scultura e la grande arte del mosaico, non era mai stata condotta prima del 2014, anno in cui venne allestita, a cura dello scrivente, una sintetica esposizione sull’argomento negli spazi temporanei del Cassero per la scultura italiana, Museo Civico di Montevarchi, incentrata sulla nascita e l’evoluzione di questa nuova arte del Novecento tra gli artisti italiani. Prima di quel momento, la questione scultura e mosaico era stata affrontata in modo assolutamente incidentale come breve paragrafo all’interno di trattazioni onnicomprensive dedicate all’arte del mosaico nel suo complesso; in tali interventi, spesso in modo sommario, si sovrapponevano le nozioni sulla sua storia millenaria a quelle sulla tecnica esecutiva e sul restauro; sul suo utilizzo nella decorazione parietale e nell’ambito del design; sul suo essere arte nel senso più stretto del termine e sul suo impiego come arte applicata; sull’originalità di ideazione di taluni artisti che si esprimono con questa tecnica esecutiva e sulla pratica della trasposizione/traduzione da parte delle botteghe di mosaico di originali nati con la tecnica della pittura; ma anche sulle specificità della scuola di Ravenna e di quella friulana di Spilimbergo.

Tutte queste trattazioni pongono l’esordio della scultura mosaicata in Italia tra la fine degli anni trenta e la prima metà dei quaranta ad opera di due scultori – Lucio Fontana e Mirko Basaldella – che si riveleranno tra i più geniali artisti del secondo Novecento italiano, senza però mai affrontare e chiarire le dinamiche, le fonti e le eventuali suggestioni alla base delle loro creazioni nelle quali impiegano il mosaico facendolo slittare dalla tradizionale e ben nota bidimensionalità ad una tridimensionalità assoluta, inedita e non così immediatamente giustificabile. L’italo-argentino Lucio Fontana (1899-1968), già partecipe del movimento di “Corrente” a Milano e poi fondatore del movimento Spazialista, nei primi decenni del Novecento è sempre diviso tra i soggiorni in Argentina e i rientri in Italia. Fontana fin dagli ultimi anni trenta mostra l’interesse per la sperimentazione in materiali diversi realizzando, dal 1937, alcune opere in ceramica nelle quali definisce la sua singolare e molteplice dialettica tra spazio-segno-colore e materia.

La bibliografia di Fontana colloca nell’ambito delle sperimentazioni in materiali diversi la produzione di un ristretto gruppo di straordinarie opere in mosaico, figure e ritratti, soprattutto datate tra il 1938 e il 1940 – ma l’utilizzo del mosaico avrà una breve ripresa anche nell’immediato dopoguerra – con le quali lo scultore “[…] tende non solo a sperimentare materiali nuovi, nella sua continua intenzione di ricerca e provocazione immaginativa, ma propone specificatamente un modo ulteriore di frantumare quell’assolutezza plasticovolumetrica della scultura stessa contro la quale ha operato fin dall’inizio del decennio, e ora esattamente nel gioco delle preziosità luministiche e cromatiche permesse appunto anche dal mosaico policromo […]”.

Il friulano Mirko Basaldella (1910-1969), di contro, prima dell’orientamento plastico di tipo totemico per il quale è grandemente apprezzato a livello internazionale, nelle sue opere figurative degli anni trenta e dei primi anni quaranta è fortemente orientato ad un’espressività concitata ed espressionista, corrispondente al suo particolare modo drammatico di partecipare alla poetica del “primordio”; in quel contesto linguistico esegue in mosaico la testa Furore del 1944, una prova certamente impressionante, da considerare un unicum di grande forza è impatto. Le prime prove plastiche mosaicate di questi due artisti, nella bibliografia di riferimento per il mosaico, sono state implicitamente e superficialmente considerate come il loro contributo originale, sollecitato dal più ampio dibattito sul recupero della tecnica musiva nella grande decorazione pubblica e architettonica del Regime ad opera di Gino Severini (1883-1966) “padre dell’arte musiva moderna”. Impegnato in grandi cicli musivi, sia religiosi che laici, a partire dagli anni trenta del Novecento, Severini amplierà la sua esperienza anche al “mosaico mobile” producendo le prime nature morte nel 1935 a Venezia, e alla didattica del mosaico con la prima stesura, del 1934, di un “progetto” per una scuola musiva8. Per inciso, trasferitosi stabilmente a Parigi nei primi anni Cinquanta, Severini terrà la cattedra di mosaico, nella scuola da lui fondata, con Riccardo Licata come assistente. Al dibattito sul mosaico contribuirà nello stesso periodo anche l’attività di Mario Sironi (1885-1961) e il suo interesse non superficiale per quest’arte.

Nel 1933 Sironi aveva redatto il “Manifesto della pittura murale”, sottoscritto da Carrà, Campigli e Achille Funi, e Campigli e Funi seguirono Sironi anche nella sperimentazione del mosaico con risultati straordinari9. Quello per l’arte del mosaico è un interesse che si diffonde per tutto il decennio, di pari passo con lo studio e il recupero critico dei grandi modelli del passato, dall’antichità romana a quella ravennate bizantina, e che vede in Italia, tra le altre, le realizzazioni musive di Ferruccio Ferrazzi e Antonio Giuseppe Santagata10, Felice Casorati e Enrico Prampolini, Fortunato Depero e Silvio Canevari comparire nei palazzi pubblici del potere e alle esposizioni Internazionali e Nazionali come le Biennali veneziane e le Quadriennali romane. Questo clima di dibattito sul recupero dell’arte del mosaico nel contemporaneo era certamente noto a Fontana e Mirko, anche se questo si orientava essenzialmente sull’arte bidimensionale, pubblica o “mobile”, che faceva tesoro degli aulici modelli forniti dalla storia e dal patrimonio nazionale; in nessun modo tale dibattito accennava all’impiego del mosaico sulla tridimensionalità e quindi sulla scultura.

Vien difficile pensare che, in quegli anni, tra fine anni trenta e primi anni quaranta, Fontana e Mirko possano aver intrapreso la sperimentazione del mosaico sulla scultura, semplicemente trasponendo le riflessioni di Severini, Sironi e gli altri alla loro arte, senza che sentissero l’esigenza di operare una riflessione storica, una ricerca che fornisse anche a loro un modello di riferimento antico, un punto di partenza che giustificasse la sperimentazione del mosaico facendola slittare dal piano bidimensionale a quello tridimensionale. Una riflessione in tal senso pone la questione della ricerca di una fonte plausibile e verosimile per i due artisti, un esempio che possa aver fatto scattare quell’iniziale “corto circuito” creativo che aprirà la sperimentazione plastica mosaicata nel contemporaneo. Se per il mosaico bidimensionale, come si è detto, la storia nazionale forniva modelli precisi ed aulici, questi sono assolutamente inesistenti nell’ambito della scultura ed andranno cercati “altrove”, in altri ambiti culturali ugualmente accessibili ai due artisti.

Se uno degli elementi fondanti e distintivi dell’arte del Novecento, sin dalla sua apertura, è la diffusione in Europa della scultura negra e primitiva che mette in crisi il concetto di cultura “tradizionale”, allora è in quell’ambito che è necessario indagare alla ricerca della nostra fonte. Senza voler ripercorrere nei dettagli le motivazioni, anche storiche, dell’enorme diffusione della scultura negra e primitiva in occidente, è necessario almeno ricordare che l’interesse per il “primitivismo”, inteso come arte arcaica, popolare o dei “popoli primitivi” giunge agli artisti – dalle prime Avanguardie Storiche in poi – soprattutto grazie alla nuova consapevolezza dell’esistenza di altre forme di civiltà, diverse, ma non inferiori a quella europea, dovuta al fiorire degli studi antropologici, etnologici ed etnografici che, nel giro di pochi anni solleciteranno la formazione delle più importanti raccolte museali etnografiche italiane ed europee. In tale contesto generale, la passione per l’oggetto primitivo infiammerà gli artisti, divenendo fonte di ispirazione fondamentale soprattutto per i valori formali nuovi ed anti-classici, in grado di liberare la rappresentazione artistica dalle regole accademiche (proporzione, prospettiva, ecc.).

Le specifiche caratteristiche della scultura negra e primitiva, quali la forza espressiva e la sensibilità fortemente plastica e deformante, ma anche il valore magico e la profonda spiritualità, saranno i fondamentali motivi di suggestione per gli artisti. Se questa è la cornice culturale generale entro la quale agiscono anche Fontana e Mirko, l’unico riferimento plausibile in grado di coniugare l’attenzione per il “primitivismo” – diffuso e ormai completamente assimilato tra gli anni trenta e quaranta – con le sollecitazioni sul recupero dell’arte del mosaico da parte di Severini e innestare quel singolare “corto circuito” creativo alla base delle loro creazioni col mosaico dovremmo individuarlo nella scultura azteca, che entrambi possono aver avuto occasione di vedere in momenti e luoghi diversi.[…]