Politica. Nicola Zingaretti conquista l’Almagià e lancia da Ravenna la sua corsa per cambiare il Pd

Vuole un partito aperto, che ponga fine alle correnti e alla pratica del leaderismo, che tessa nuove alleanze - Zingaretti ha messo in guardia contro la terza fase del populismo, quella della spallata alla democrazia che sarà tentata dopo il fallimento del governo giallo-verde

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“Insieme si può” recita la scritta principale sopra il palco che accoglie Nicola Zingaretti, Elisabetta Gualmini e Michele de Pascale all’Almagià ieri sera, martedì 27 novembre, per l’apertura della campagna congressuale del Pd a Ravenna. E se Zingaretti è venuto a Ravenna per ben tre volte negli ultimi sei mesi una ragione c’è: sente che qui ha l’appoggio sempre più convinto di una fetta sempre più larga di quello che fino a ieri era il partitone. Ora il Pd è decisamente ridimensionato e ancora febbricitante dopo la scoppola del 4 marzo. Ma il corpo del partito è in cerca di motivazioni e motivatori per risollevarsi.

Il congresso ormai lanciato – ma con quale ritardo! dicono tutti dal palco – fa da catalizzatore di energie. E uno dei motivatori principali per risollevare il morale della base è proprio lui, Nicola Zingaretti. Che non porta in giro il simbolo del Pd (non perchè me ne vergogno, sostiene) in quanto vuole costruire una piazza grande, più grande dello stesso Pd, in cui tutto il mondo del centro sinistra possa ritrovarsi, costruendo nuove alleanze. E infatti in un’Almagià strapieno di militanti Pd, non mancavano ieri sera gli osservatori interessati di una sinistra più ampia, come quelli di Articolo 1 MDP o di Sinistra per Ravenna o della Cgil, per dirne alcuni.

Zingaretti è pacato, riflessivo, sorridente. In una parola rassicurante. Ma allo stesso tempo deciso. Parla degli errori e non degli erranti. Non fa sconti sugli errori. Ma non cita nessuno, proprio nessuno dei suoi predecessori nè dei suoi competitori per la guida del Pd. L’unico citato nel suo discorso è Romano Prodi, che sia un caso? Non vuole polemizzare (la cosa peggiore è denigrare o insultare un compagno di partito – ha detto – e per troppo tempo lo si è fatto anche in tv) perchè il Pd ha passato troppo tempo a litigare e poco tempo a discutere. E lui vuole discutere e confrontasri ora. E vuole soprattutto essere inclusivo, costruire un partito aperto. Basta correnti e casacche, dice. “Voglio un partito delle persone e non delle correnti. – afferma con vigore – Voglio un partito che quando incontra delle nuove energie, dei giovani, non chiede loro di schierarsi per questo o per quello e di tifare, ma di darsi da fare.”

Alla fine il caldo applauso che chiude la serata dice che Nicola Zingaretti ha conquistato la sua platea. Ha convinto. Ieri sera ancor più di quella sera a Porto Fuori, quando la sua candidatura era appena lanciata. E più che alla Festa nazionale dell’Unità, dove appariva ancora un leader in potenza ma non pienamente sbocciato. Dall’Almagià esce invece un candidato forte alla guida del Pd, convinto dei suoi mezzi, e i sondaggi lo confermano. Una forza tranquilla, per usare una locuzione fin troppo abusata. Basterà nella competizione interna con Minniti e Martina, i suoi due avversari più agguerriti nella corsa per la guida del Pd?  

 

Michele de Pascale cita Churchill

Facciamo un passo indietro. Per primo prende la parola il Sindaco di Ravenna Michele de Pascale, sostenitore di Zingaretti fin dalla prima ora. Quando tocca a lui sul palco campeggia una frase di Churchill: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Nel suo discorso il Sindaco spiega ben presto il senso di questa citazione. Si tratta di un monito rivolto sia agli elettori italiani (nella prima parte), sia ai militanti Pd (nella seconda). In altre parole, ben presto gli elettori capiranno che il voto del cambiamento ha portato a un governo del cambiamento che è un bluff e non porterà alcun miglioramento al Paese. Mentre i militanti democratici devono rendersi conto fino in fondo che cambiare è una condizione essenziale per migliorare, ovvero per rilanciare e far crescere il Pd.

Sul congresso de Pascale va giù duro: “arriva vergognosamente tardi” e “Nicola Zingaretti è stato l’unico a chiedere che lo si facesse al più presto”. Il congresso non come panacea di tutti i mali, ma per rimettere in moto il partito, per aprire una fase nuova per il Pd e per il centro sinistra. 

Michele de Pascale chiude quasi con un’invocazione: “Aiutiamo Zingaretti a cambiare il Pd e l’Italia.”

 

La lezione di Elisabetta Gualmini

Quella di Elisabetta Gualmini, vice Presidente dell’Emilia-Romagna è stata un’intensa lezione politica, con tanto di slides e un video. Ma senza inutili fuochi d’artificio. Qui le slides e il video servivano a sottolineare le pacate e ficcanti riflessioni della Gualmini, non a fare spettacolo.

Ha parlato dell’angoscia e della rabbia che attraversa il Paese. Quella rabbia che il Pd non ha capito né interpretato. “Non abbiamo colto quello che è successo. Abbiamo dato una lettura ottimistica della realtà nell’epoca della globalizzazione, senza prestare troppa attenzione ai perdenti.”

Aggiunge che i democratici non hanno capito nemmeno le contraddizioni poste dalle migrazioni, dai migranti, dalla società multiculturale: soprattutto non hanno capito le paure che questi fenomeni hanno prodotto nel corpo sociale. 

Paura che nasce dalla marginalizzazione economica che si somma a paura che nasce dal confronto con chi è diverso da noi. Quelle paure non sono state interpretate dalla sinistra, ma sono state invece cavalcate dai populisti e dagli estremisti, che hanno saputo offrire a chi nutriva quelle paure un nemico con cui prendersela.

Ecco le ragioni del voto del 4 marzo. E del consenso al sud per il M5S, al nord per la Lega. 

La Gualmini ha parlato poi dei tre grandi errori del Pd dopo il 4 marzo, senza giri di parole. Il primo: avere fatto il tifo in modo sconsiderato per la saldatura fra Cinque Stelle e Lega, saldatura che andava assolutamente evitata. Non significava per forza fare un governo Pd – M5S, ha detto la vice Presidente della Regione, ma almeno con i Cinque Stelle si poteva parlare e dialogare e invece no, si è deciso che dovevano governare loro, si sono preferiti i pop corn. Il secondo errore: avere deciso di chiudere il Pd nel suo fortino del 18% senza fare politica e senza fare opposizione. Il terzo: avere rinviato il congresso. 

Poi Elisabetta Gualmini ha parlato del governo giallo-verde: “il peggiore governo possibile” in cui si fondono dilettantismo e autoritarismo. E in cui si vede la mano forte di Salvini con quello slogan “Prima gli Italiani” che lei definisce “lo slogan peggiore, perchè delinea un’Italia razzista e xenofoba, una società chiusa” che discrimina in sostanza anche tanti che vivono tra noi, con noi, come noi.

La vice Presidente dell’Emilia-Romagna ha poi parlato di quello che si sta facendo in Regione e che “può insegnare qualcosa”. Ha ricordato la crescita economica che è intensa tanto che in alcune aree si è raggiunta di fatto la piena occupazione. Ha ricordato che, malgrado la crescita, sono aumentati negli anni della crisi la povertà e il disagio sociale e che su questo fronte sono state messe in campo politiche importanti. Non misure assistenziali, ma misure di sostegno – un welfare dinamico, lo ha definito – modulate sul bisogno e nel tempo, in modo da aiutare persone e famiglie in difficoltà temporaneamente, cercando di creare le opportunità per uscire dalla fase del bisogno.

È questo il senso del Reddito di Solidarietà (RES) messo in campo dalla Regione che va da un minimo di 110 a un massimo di 891 euro di sostegno e che finora nel 2018 è andato a oltre 17.000 beneficiari (le domande sono state 35.000).

La Gualmini ha parlato poi di tre sfide su cui il Pd e la sinistra devono misurarsi a viso aperto. Sul tema dell’immigrazione bisogna smettere di far finta di nulla o avere un atteggiamento buonista: “Ci sono dati sulla microcriminalità che abbiamo ignorato per 15 anni; – ha detto – il 58% dei borseggi e il 50% dei furti nelle case vengono compiuti da stranieri che rappresentano solo l’8% della popolazione.”

È evidente che qualcosa non ha funzionato nel modello di integrazione: “Quando i richiedenti asilo vanno davanti ai supermercati a chiedere l’elemosina è un fallimento: è un fallimento per loro e anche per noi che non abbiamo saputo costruire adeguate politiche per l’accoglienza e l’integrazione. E ha aggiunto che di fronte all’insicurezza e alla paura dei cittadini non si può avere la puzza sotto al naso o voltarsi dall’altra parte. Bisogna dare risposte. 

Le altre due grandi sfide per la Gualmini sono: creazione del lavoro e innovazione tecnologica da una parte, nuovo welfare e sanità dall’altra.

 

Nicola Zingaretti: dopo il fallimento giallo-verde, attenzione, arriverà la terza fase del populismo, cioè la spallata alla democrazia

Poi tocca a Zingaretti. “La prima cosa che bisogna cambiare è noi stessi” esordisce. E affonda subito il dito nella ferita ancora sanguinante del 4 marzo, quel voto che lui chiama tragedia. Parla dei due errori contrapposti fatti dal e nel Pd dopo il 4 marzo. Da una parte è emersa l’idea liquidazionista, cioè l’idea che bisognasse sciogliere il Pd, poichè hanno vinto gli altri e il Pd non serve più: “è un’idea folle, abbandonare il campo come Pd, semmai dobbiamo cambiare e rimettere in pista il Pd.”

L’altra idea sbagliata è quella minimalista, cioè che “si è perso perchè si è litigato troppo e comunicato male, ma che poi gli elettori capiranno e tornerammo da noi. No, non è così, non è vero. Non torneranno da noi se non lanciamo il segnale che abbiamo capito e che siamo cambiati.”

Ha parlato del 27 settembre, Nicola Zingaretti, quando Luigi Di Maio dal famoso balcone annunciava che la povertà era stata abolita, dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri della Finanziaria. Un messaggio potente, se ci pensate, ha detto Zingaretti, di fronte a un Paese in cui larga parte della popolazione soffre.

Ma due mesi dopo lo scenario è cambiato completamente. Perchè la ricetta del governo è sbagliata e sta facendo perdere miliardi al Paese e agli italiani. Il reddito di cittadinanza che avevano promesso non ci sarà e quello che arriverà, sarà molto diverso da quanto promesso. La quota 100 per le pensioni è solo un titolo ma non prevede nulla di buono per gli italiani. Mentre la flat tax è sparita dalla circolazione, e per fortuna, dice Zingaretti.

Infine è fallita la strategia antieuropea: “prima Juncker era un ubriacone, adesso ci vanno a cena insieme.”

Salvare la democrazia italiana: questa è la nostra missione” ha detto Zingaretti. Perchè “dopo la prima fase del populismo – cavalcare e interpretare la rabbia – e dopo la seconda fase del populismo – con un governo fondato su idee irrealizzabili – attenzione, arriverà la terza fase del populismo, cioè la spallata alla democrazia“.

Non è il vecchio fascismo, sarà una cosa nuova. La chiamano democrazia popolare ma è una svolta autoritaria in cui si fa appello al popolo e al voto popolare per far saltare un quadro di regole condivise, le regole democratiche, le regole costituzionali: “Diranno che la democrazia liberale non funziona e poi diranno che ci vuole una democrazia in cui chi vince nel voto fa come gli pare.” 

Quindi – ha messo in guardia Zingaretti – non basta attendere il fallimento del governo giallo-verde, che arriverà, ma occorre costruire un’alternativa perchè quando loro falliranno gli Italiani abbiano un nuovo punto di riferimento. E bisogna fare presto. Come a dire che il fallimento giallo-verde è dietro l’angolo.

Zingaretti ha parlato dello sgombero e dell’abbattimento delle ville dei Casamonica a Roma e ha ricordato che c’è andato anche lui sul set allestito dai media dove ha incontrato Salvini, ma non è salito sulla ruspa. E qui si è chiesto con forza perchè la gente nelle urne ha scelto gli altri e non il Pd.

Ha snocciolato gli errori. Quello di non avere capito che la globalizzazione stava producendo non solo ricchezza ma anche nuovi poveri e tanta disuguaglianza. Da lì è nata la rabbia, quella rabbia verso la quale il Pd non ha mostrato comprensione, e alla quale non ha dato rappresentanza, nè risposta.

Ha parlato dei migranti, l’altra grande paura degli italiani. E qui ha ricordato i 10 miliardi di tagli agli Enti locali anche dei governi di centro sinistra, tagli ai servizi, tagli alle prestazioni sociali, tagli ai progetti di integrazione. Tagli che nelle sue parole sono sinonimo di errori. 

Ha parlato dell’Europa, senza la quale l’Italia sarà spazzata via: “Ma non possiamo difendere questa Europa, nata dall’egemonia della destra. Non è l’Europa sociale e delle persone e davvero popolare che volevamo noi. Gli altri l’Europa la vogliono picconare, noi la dobbiamo rifondare.”

Parla di economia giusta, cioè di un’economia che sappia tenere insieme crescita e giustizia sociale, produzione di ricchezza e redistribuzione, con un’attenzione nuova alle compatibilità ambientali e alla green economy. Parla di grande piano delle infrastrutture, di welfare e salute. Parla dei giovani (ce ne sono parecchi in sala).

Infine parla del Pd, dell’idea di Pd che lui ha in testa. E dice due o tre cose molte chiare. Basta con la cultura della leadership che è subalterna alla destra, basta in sostanza con il partito dell’io, serve quello del noi: “Voglio un Pd dove ci sia una democrazia partecipata.”

Non funziona il Pd che basta a se stesso e che nel corso degli anni ha destrutturato – con il concorso degli altri – il suo sistema di alleanze, che gli aveva permesso di vincere e governare.

Infine, lo abbiamo già detto, basta con il partito delle correnti: Zingaretti vuole un partito aperto a tutti, il partito delle persone, dove contino le idee delle persone, non la loro appartenenze a questa o quella corrente. Un partito aperto e inclusivo.

Alla fine, si diceva, l’applauso è stato caloroso e convincente. Il Pd di Ravenna è in buona parte con lui e questo forse lo si sapeva già. Ma lui, Zingaretti, ieri sera ha dato più forza e convinzione ai suoi sostenitori. La corsa verso la guida del Nazareno è partita ma sarà molto lunga. E trattandosi proprio del Nazareno, Zingaretti e i suoi si augurano almeno non si trasformi in una Via Crucis. 

 

A cura di P. G. C. 

 

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