D.D.L. Pillon. Il consiglio comunale di Cervia vota “la contrarietà”

Hanno votato a favore della "contrarietà al DDL Pillon" i consiglieri del Partito Democratico

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Il Consiglio comunale di Cervia, nella seduta svoltasi ieri mercoledì 27 febbraio, ha votato la propria “Contrarietà al D.D.L. Pillon”, ritienendo che il principio corretto della condivisione delle responsabilità genitoriali tra madri e padri si sia trasformato nel DDL 735 in un attacco ai diritti dei bambini, e delle madri separate in condizione di fragilità, per motivi economici o per violenze familiari.

 

Il consiglio comunale ha impegnato Sindaco e Giunta: “a contrastare, nelle sedi nazionali più opportune e con gli strumenti più adeguati, il merito delle proposte in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità contenute nel DDL 735 Pillon; a sensibilizzare tutti i parlamentari eletti in Emilia Romagna, affinché promuovano e garantiscano seri ed ampi confronti con tutti i soggetti istituzionali, associativi e professionali coinvolti, comprese le rappresentanze femminili, le associazioni familiari e le figure di garanzia per i minori, al fine di sospendere l’attuale iter di approvazione; a verificare i dati di dettaglio circa la situazione ed i bisogni delle famiglie e degli individui all’esito di procedimenti di separazione, in collaborazione con gli enti interessati e i soggetti competenti sul tema”.

Secondo i consiglieri del Partito Democratico il ddl Pillon presenta una serie di rischi di arretramento sia per i minori che per la genitorialità in particolare femminile:
“tra gli aspetti controversi di questa riforma del Diritto di famiglia vi è la netta prevalenza del punto di vista patrimoniale ed economico degli adulti, rispetto all’interesse primario dei figli e figlie minori; l’obbligo di ricorrere a mediazione professionale a carico delle parti; la previsione di legare la permanenza nella casa coniugale al coniuge proprietario, nonché l’abolizione dell’addebito della separazione con conseguenze inevitabili di aumento della conflittualità intra-familiare”.

Inoltre “il disegno di legge non tiene conto delle esigenze di figlie e figli, costretti ad adeguarsi ai genitori e non viceversa in quanto “divisi” a metà, e abolisce l’assegno di mantenimento in favore dei figli mentre prevede il mantenimento diretto da parte di entrambi i genitori, a prescindere dal fatto che madre e padre possano effettivamente offrire pari tenore di vita. Il diritto al benessere del/della minore, strettamente legato a quello di mantenere il proprio luogo di vita e di crescita, viene minato dalla previsione del pagamento di un indennizzo – canone di locazione ai prezzi di mercato – al “genitore proprietario” e quindi il coniuge economicamente più debole viene ulteriormente penalizzato e, di conseguenza, i suoi figli”.

I consiglieri hanno sottolineato che “tutte le rilevazioni statistiche territoriali, nazionali e internazionali ci dicono, nell’ambito di un generale impoverimento delle famiglie con figli nella fase di separazione, il coniuge più debole è nella maggior parte dei casi la donna: sono le donne a lasciare il lavoro quando nasce un figlio, sono loro che vengono penalizzate nel fare carriera e sono sempre loro a guadagnare mediamente di meno degli uomini, tanto che dati Istat 2017 ci dicono che l’occupazione femminile registra una differenza media di circa 30 punti percentuali tra lavoratrici senza figli e lavoratrici madri con figli a carico, le quali ricorrono per il 19,1% al part time contro il 6,5% degli uomini e che nelle famiglie con capofamiglia donna c’è un maggior tasso medio di povertà”.

Secondo i consiglieri che hanno votato per la contratietà al Ddl: “Il problema dell’impoverimento delle famiglie, delle madri e anche dei padri – che pure esiste ed ha trovato anch’esso nella crisi una accentuazione più evidente, non può essere negato o trascurato, ma non può certamente essere affrontato nel modo sbagliato proposto dal DDL, né, più in generale, rischiare di scatenare un deleterio conflitto tra uomini e donne; il pensiero alimentato dallo stesso DDL e già presente nell’opinione pubblica secondo cui le madri si arricchiscono a scapito dei padri in conseguenza di una separazione, non corrisponde a dati reali e si configura quale ennesimo stereotipo ai danni dell’autodeterminazione femminile”.

 

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