Ravenna, Alessandro Barattoni: il Pd impari dai territori, “la politica non è potere per il potere, è potere per cambiare le cose”

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Nella sua breve vita, di momenti difficili il Pd ne ha visti tanti. Ma gli ultimi 10 giorni – dopo quel “mi vergogno del mio partito” urlato da Zingaretti – sono stati particolarmente sofferti. Dopo il primo sbandamento e tanto sconcerto, dopo i molti richiami a ripensarci, è apparso subito chiaro che il giocattolo s’era rotto e Zingaretti non l’avrebbe aggiustato. Perciò in casa dem sono corsi ai ripari e hanno richiamato la riserva: Enrico Letta, cacciato dal governo 7 anni fa, dopo un tweet -#enricostaisereno – e dopo un voto traditore dei maggiorenti del partito. Da bravo cattolico ed ex democristiano, Letta ha perdonato ed è tornato a dare una mano. Ha posto delle condizioni, accettate. Ieri il suo insediamento plebiscitario. Abbiamo chiesto al segretario Pd ravennate Alessandro Barattoni di commentare quanto è accaduto e, in particolare, di dare un primo giudizio sul nuovo corso di Enrico Letta.

L’INTERVISTA

Segretario Barattoni, dopo più di una settimana di passione è tornato Enrico Letta e l’avete eletto praticamente all’unanimità segretario nazionale del Pd. È stata la soluzione migliore?

“Credo sia un ottimo risultato quello raggiunto ieri con il voto all’Assemblea nazionale Pd. In questo momento, riuscire a chiudere in 10 giorni la crisi che si era aperta ai vertici del partito in maniera così decisa, forte e autorevole credo sia un bel segnale per tutti. Questa soluzione ora consente al Pd di concentrarsi di più sui grandi problemi del paese. Siamo abituati ad avere segretari legittimati dalla partecipazione popolare, dai gazebo e dalle primarie, questa volta è andata diversamente, ma non abbiamo fatto niente che fosse contrario allo statuto del nostro partito. Con questa scelta abbiamo dato una mano al Pd, ma aiutiamo anche il governo e l’Italia.”

L’elezione quasi unanime senza una discussione preventiva è come prendere un prodotto a scatola chiusa. E non ha voluto dire nascondere il problema delle correnti denunciato da Zingaretti sotto il tappeto?

“Fin dalla fondazione del Pd nel 2007 Enrico Letta era uno dei candidati alla segreteria del partito. L’abbiamo conosciuto, testato, provato. Aggiungo, come ha detto lui, che Letta è anche cambiato nel tempo. Abbiamo messo in campo una figura importante del Pd, con dei valori e dei principi, un uomo capace di fare politica ma anche di fare altre cose. Rispetto al tema delle correnti, l’impostazione data da Letta mi convince. O le correnti sono utili sul piano culturale, per il confronto e la discussione nel merito dei problemi e per costruire il programma del partito, oppure non hanno senso di esistere. Anche qui a Ravenna, nei territori, esistono diverse sensibilità politiche, frutto di storie ed esperienze diverse: è normale in un partito aperto e plurale. Il nodo arriva quando si prendono le decisioni: allora bisogna stabilire se si sta insieme e si va nella stessa direzione mettendo gli interessi generali del partito davanti, oppure se viene prima l’appartenenza alla corrente. E questo non può essere. Le correnti non sono il male in sé. Se servono alla discussione vanno bene, se servono alla divisione dei posti di potere fanno male.”

Come le è sembrato il discorso di Letta? Che cosa l’ha colpita di più favorevolmente?

“Ha parlato dell’economia condivisa, della partecipazione dei lavoratori alla discussione su sviluppo e crescita delle aziende. Importante il tema della lotta alla denatalità. Il tema dell’ambiente unico in cui viviamo, per cui è chiaro che nessuno si salva da solo. Ha ribadito la centralità della salute. Ha denunciato alcune di quelle fratture emerse da tempo quando si parla di disuguaglianze: la frattura fra vecchie e giovani generazioni, fra centro e aree periferiche del paese. Ha parlato della necessità di ricercare il giusto equilibrio fra ambiente ed economia. Poi ha dato molto valore al ruolo della scuola, della formazione, dell’università.”

La destra ha alzato già le barricate sul tema dello jus soli. Che cosa ne pensa?

“Letta ne ha parlato nell’ambito di un ragionamento più ampio su scuola, formazione, diritti sociali e civili. La destra affronta invece questo tema sempre in chiave strumentale. Come se discutere di jus soli impedisse di discutere di pandemia o economia o di tutto il resto. Noi siamo concentrati su tutte le cose fondamentali di cui oggi il paese ha bisogno. E poi c’è anche lo jus soli, che è una cosa che non distoglie l’attenzione e, soprattutto, non toglie niente a nessuno. Chi è contrario, pensa forse di dover rinunciare a qualcosa per sé? Non è così. Questa è una battaglia culturale e di civiltà che dà a qualcuno, ma non toglie a tutti gli altri.”

Le parole tradiscono una differente impostazione culturale. La destra parla di jus soli intendendo i migranti. Voi parlate di persone, giovani, che sono qui e vivono insieme a noi, parlano come noi. A volte meglio di noi.

“Infatti, i giovani questa cosa la danno per scontata. Perché vanno a scuola insieme, fanno sport insieme, si divertono insieme. Non si capisce perché non si debba dare la cittadinanza italiana a queste persone che sono nate qui. È un diritto. La destra deve rispondere a queste domande: che cosa toglie a voi lo jus soli? Cosa toglie a chi nasce da genitori italiani? Che differenza fa dare la cittadinanza già adesso, invece di far aspettare fino al 18° anno di età? Lasciando stare anche tutti gli aspetti di miglioramento delle condizioni sociali, con effetti positivi per tutti. La strumentalità con cui la destra affronta questo tema è un problema, anche per la qualità della democrazia in questo paese.”

Enrico Letta ha detto che il Pd non può essere il partito del potere. Che cosa significa secondo lei?

“Come viene percepito il Pd dipende da quello che il Pd fa e dice. Se un giorno sì e l’altro pure il Pd parla solo di cariche e ministeri allora è chiaro che viene percepito come partito di potere. Se invece il Pd fa come nei territori, come qui a Ravenna, dove parliamo delle cose che riguardano da vicino la vita delle persone, cambiano la prospettiva e la percezione. Se parliamo di salute, scuola, lavoro, famiglia, casa, se parliamo di giusta remunerazione del lavoro e di lotta al precariato, allora siamo vicini alla gente e non un partito di potere. Il fatto che negli ultimi 10 anni siamo stati al governo del paese per 8 anni e mezzo può dare l’idea che il potere sia ragione di vita del Pd, anche con la funzione di protezione civile di cui ha parlato Letta. Ma nei territori questo non accade, perché nel governo delle città la politica non è potere per il potere, è potere per cambiare le cose.”

Anche se a Ravenna il Pd nelle sue varie declinazioni è al potere da oltre 50 anni?

“Sì. C’è perché lo hanno votato i cittadini. Non perché sono state messe in campo azioni per rimanere aggrappati al potere ad ogni costo, per occupare Palazzo Merlato o altri palazzi. E siamo votati perché i cittadini vedono nel Pd la forza centrale capace di garantire il governo delle città. In questo noi dobbiamo sempre migliorare e avere la capacità di proporre innovazioni, a partire da un nuovo welfare per il mondo che verrà dopo la pandemia. Noi pensiamo di avere proposte di governo migliori e alternative rispetto a quelle che mettono in campo gli altri. Penso solo al dibattito nel centrodestra sul candidato sindaco: a me non pare normale che il candidato Sindaco di Ravenna debba essere il frutto di accordi fra partiti che riguardano Bologna, Rimini e altre città. Perché uno deve andare alla Lega, uno a Fratelli d’Italia e uno a Forza Italia.”

Alessandro Barattoni

Voi non avete questo problema, il candidato l’avete già.

“Certo. È Michele de Pascale e ne siamo molto convinti. Perché la sfida non è sul potere, ma su chi propone delle soluzioni, per esempio sulla pandemia. Mentre la destra fa solo propaganda o specula.”

Spieghi meglio.

“La destra ravennate e romagnola nella prima ondata proponeva di sanificare le strade e di dare i buoni spesa solo agli italiani. Nella seconda ondata hanno detto fino a poche settimane fa che bisognava riaprire tutto, tanto ormai è passata. E con la terza ondata abbiamo avuto la destra che per una settimana – quando tutti i dati erano allarmanti, parlavano di un aumento dei contagi e dei focolai nelle scuole – ha fatto la polemica perché Forlì rimanesse arancione scuro e non diventasse rossa. Quando era chiaro che serviva mettere un freno ovunque ai contagi. Questo modo di fare politica per me è insopportabile.”

Quindi lei accusa la destra di usare la pandemia per fare propaganda, se non ho capito male?

“Certo. Ci vuole serietà. Non si scherza su queste cose. Comprendiamo il disagio delle persone e delle categorie più colpite. E stiamo molto attenti a chiudere i territori, si tratta di scelte dolorose. Ma portare avanti lo slogan “non vogliamo morire di Covid e nemmeno di fame” come fa la destra è da irresponsabili. Bisogna dire chiaro e tondo che al primo posto va la salute delle persone. Senza la salute non c’è nemmeno il resto. E naturalmente ci vuole attenzione ai bisogni delle persone, con tutti gli aiuti e i ristori che servono per andare incontro a disagi e sofferenze di famiglie e categorie. Ma sulla pelle delle persone non si può e non si deve giocare. E credo che i romagnoli e i ravennati giudicheranno queste posizioni con severità. Noi non abbiamo mai messo la discussione sulla pandemia sul piano della polemica politica.”

Parliamo delle alleanze. La convince lo schema di alleanze larghe proposte da Letta?

“È quello che ho sempre auspicato. Non ho mai capito perché nei territori si riescono a fare le alleanze larghe che comprendono tante sensibilità politiche mentre a Roma nella discussione prevalgono sempre veti e divisioni. Oppure schieramenti costruiti a tavolino senza un progetto comune. Fare alleanze significa mettere insieme culture, storie, esperienze, sensibilità diverse che però individuano un’idea comune di paese o di città. Questo schema del centrosinistra largo è quello che pratichiamo sui territori. A Ravenna andiamo dal Pri fino a LeU, Coraggiosa, i Verdi. Un progetto aperto a tutti quelli che vogliono discutere di un progetto di governo di Ravenna e che ovviamente non si pongono l’obiettivo di stare comunque all’opposizione.”

E poi ci sono i Cinque Stelle.

“Certo. Serve un approccio costruttivo con i Cinque Stelle. Che non sono un totem rispetto al quale bisogna essere o contro o a favore. Questo è un approccio ideologico. La società è più avanti. Fra l’altro i Cinque Stelle sono cambiati e se non ci rendiamo conto di questo rischiamo di perdere una grande occasione: che non è quella di fare un’alleanza a prescindere, ma è quella tentare, su tanti valori, di rimettere insieme persone che sono vicine o la pensano alla stessa maniera. Le alleanza non si fanno solo con le prove di forza, si fanno anche con pazienza, discutendo, cercando di partire dalle cose che uniscono. I Cinque Stelle su Europa, salute, scienza hanno messo insieme delle posizioni importanti. Non capisco perché invece bisogna partire sempre dalle cose che ci dividono.”

Come sarà la campagna di discussione nei circoli annunciata da Letta?

“Discuteremo fra noi tenendo conto ovviamente delle regole imposte dall’emergenza sanitaria. Sarà una discussione aperta e approfondita ma in sicurezza. Oggi arriverà il vademecum annunciato da Letta. Noi siamo pronti. Abbiamo le piattaforme digitali per tenere le discussioni a livello comunale e nei circoli. Giovedì terremo la direzione provinciale. È una grande occasione per tutti: chi vuole partecipare alla discussione sul futuro del Pd e di tutto il centrosinistra avrà la possibilità di farlo. A livello locale abbiamo messo in campo anche 12 tavoli di lavoro per il programma amministrativo di Ravenna, a cui i cittadini possono partecipare.”

Nicola Zingaretti

 

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Commenti

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  1. Scritto da batti

    premetto che letta mi sta più che bene, anzi mi sembra sprecato a segretario del pd, sarebbe adatto a presidente della repubblica. ma andare alla assemblea col segretario già fatto, mi sembra già l inizio della fine. già i “notabili” hanno eliminato il segretario eletto delle primarie, già quello da il senso che il voto dei inscritti non interessa un cazzo. non è il segretario che puzza è metodo