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Depressione, malattia invisibile. Per sette ore al pronto soccorso del Centro Salute Mentale di Ravenna, nè visitata nè ascoltata

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Buonasera,

non sono solita sollevare polveroni per cose private, soprattutto quando riguardano la mia famiglia, ma la scorsa settimana è successo un accadimento che mi ha molto turbata e che soprattutto ha avuto ripercussioni negative sulla salute mentale di mia madre. Sono una cittadina ravennate la cui madre soffre di diversi decenni di depressione, ha seguito diverse terapia farmacologie, frequentando fino alla scorsa settimana dal Centro Salute Mentale di Ravenna.

Chi conosce questo tipo di malattia, per esperienza vissuta o per vicinanza ad un caro che ne soffre, sa che possono esserci dei momenti di particolare ricaduta e che comunque, ci si deve convivere per il resto della vita.

Quando mia madre “sta bene” è una persona solare, eccentrica, espansiva. Sempre vestita colorata e dai mille accessori anche discordanti fra loro, non si direbbe mai che soffra di depressione. Sembra più pazzerella di quando sta veramente male. E’ stata insegnante di francese – attualmente è in pensione – ed è quindi una persona estremamente intelligente che conosce profondamente la cultura.

Quando la malattia si ripresenta in maniera violenta, tuttavia, si può assistere ad un vero e proprio cambiamento dell’umore: è spaventata dalla vita, costantemente con il magone, piange in continuazione e soprattutto smette di aver voglia di fare qualsiasi cosa. Un classico esempio di depressione.

Attualmente, complice anche il caldo che non aiuta le persone che soffrono di questa malattia, è in corso una pericolosa ricaduta. Così, visto che si tratta di una persona che vuole stare bene ed ha intenzione di collaborare attivamente nel suo percorso curativo, ha trovato la forza di prendere l’autobus e arrivare fino al CSM mentre io ero a lavoro.

Vorrei specificare che per mia madre era impossibile prendere un appuntamento con lo psichiatra che la seguiva, poiché la struttura è sotto organico e i medici vanno e vengono, costringendola ad aver cambiato diversi dottori nel giro di pochi anni e ricominciando ogni volta una relazione medico-paziente. In segreteria le hanno quindi indicato che in casi di necessità era aperto il reparto urgenze, una sorta di pronto soccorso per le malattie mentali. Cosa che ha appunto fatto la scorsa settimana, giorno in cui è rimasta in attesa dalle 12.00 fino alle 19.30 senza che nessuno la ricevesse (il pronto soccorso resta aperto fino alle 20.00).

Nonostante fosse presente il suo medico di riferimento, che stava gestendo degli appuntamenti (anche se mia madre non sia mai riuscita a prenderne uno), e nonostante fosse lì da diverse ore, è stata semplicemente guardata dal personale con la giustificazione che essendo un pronto soccorso, anche lì si trovano dei codici di urgenza. La dottoressa che la seguiva ha fatto degli intervalli, l’ha guardata ma senza mai chiederle perché fosse lì. Posso solo immaginare cosa si prova ad essere soli e disperati, in un ambiente che dovrebbe prendersi cura di te e che invece ti ignora o ti rivolge superficialmente qualche sguardo pietoso.

Questo inoltre mi ha lasciata esterrefatta perché, trattandosi di una malattia mentale e non di un braccio rotto e non essendo stata visitata o nemmeno ascoltata, mi sono chiesta con quale criterio le fosse stato associato un codice. Non a caso ho specificato in breve la personalità di mia madre.

Capisco perfettamente il momento storico e capisco che la sanità pubblica è oberata ora più che mai, ma mia madre è rientrata da questa esperienza più fragile di come era prima, nonostante sia una struttura adibita per offrirle supporto.

Oggi inizierà un nuovo percorso con uno specialista privato, che spero possa offrirle una continuità medico-paziente e soprattutto la professionalità che le serve per sollevarsi da questo momento estremamente delicato. La struttura che prima la seguiva, ora le rievoca solo brutte sensazioni ed è pertanto impensabile riprendere eventualmente i rapporti.

Mi chiedo, e se lo chiede anche la mia mamma, se per caso non sia successo anche ad altre persone, magari che non hanno la sua forza di reagire, o che non hanno qualcuno di vicino a loro che le possa consolare e suggerire di intraprendere comunque un percorso clinico, cosa che per questa malattia è essenziale.

Mi scuso per la mail estremamente prolissa e non so se sia una notizia adatta alla pubblicazione, ma ora, a mente fredda, credo che questa esperienza non dovrebbe ripetersi perché deontologicamente scorretta e non professionale.

Cordialmente,
Matilde

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Commenti

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  1. Scritto da Paolo

    Cara Matilde,
    capisco tutto. La differenza è che io sono approdato al CSM dopo 10 anni di esperienza privata in cui il terapeuta non mi aveva mai diagnosticato la malattia di cui soffro né è stato presente nel momento in cui avevo davvero bisogno. Sua madre è già stata bravissima a prendere il bus. Forse, anziché al CSM , avrebbe fatto meglio ad andare direttamente in reparto. Ma tant’è. La situazione del CSM è come Lei la descrive con psichiatri che ruotano in continuazione (e pochissimi psicologi). Ma anche a quello non vedo una possibile soluzione a breve (tante assunzioni costano). Concludo con un sincero augurio alla mamma (ed anche a Lei) di aumentare il più possibile i momenti di ‘solarità’.

  2. Scritto da piccinini

    Sig.ra Matilde, la depressione è una brutta compagnia che, anche se a volte non la senti, non ti lascia più. Io ci convivo da oltre 40 anni. Sono passata dal pubblico al privato ed ho avuto la fortuna d’incontrare un bravissimo psicologo (purtroppo deceduto) che ancora oggi ricordo ogni volta che sono in difficoltà e mi rinnovo le sue parole e i suoi insegnamenti, poi mi sono rivolta anche alla terapia con l’agopuntura per attenuare i tanti problemi legati ai miei problemi di salute e alla menopausa.
    Auguro a sua madre che possa trovare chi saprà veramente darle sicurezza in se stessa, che le faccia capire che ce la fa e che l’accompagni nella sua lotta contro la depressione. Tanti auguri e un caro saluto a sua madre. Liviana