CERCANDO MARIOLA PER RAVENNA / La Romagna da Sanremo all’Eurovision, fra Amadeus, Pausini, Muti, Ferrini e Casadei. E non sono solo canzonette

Si è concluso con la vittoria del duo Mahmood & Blanco il 72° Festival di Sanremo condotto da Amadeus, a suo modo ravennate o quasi. Amadeus, infatti, è lo pseudonimo di Amedeo Umberto Rita Sebastiani nato da famiglia siciliana a Ravenna nel 1962, vissuto nella nostra città per qualche tempo, quando era piccolo. Chissà che ricordi conserva Amadeus di Ravenna, se ne ha? E di Raoul Casadei? Sta di fatto che fra i tanti artisti ricordati al festival, per il re del liscio non c’è stata nemmeno una piccola menzione e i suoi familiari non l’hanno presa bene. Amadeus bocciato in romagnolità.

Per fortuna il vincitore Mahmood ha da parte sua un piccolo aggancio con la nostra città, perché ha fatto tappa proprio a Ravenna – in area portuale – per registrare il video di lancio di uno dei suoi ultimi successi prima di Sanremo. Da Sanremo è uscita poi la terna di presentatori del prossimo Eurovision Song Contest che si terrà a Torino: fra loro Laura Pausini da Solarolo, vanto canoro italiano e romagnolo nel mondo. Eurovision promosso in romagnolità?

Fin qui gli agganci – tirati per i capelli – per qualche considerazione a freddo su Sanremo. Perché, checché se ne pensi e se ne dica, non sono solo canzonette.

La Rai è la più grande industria culturale del paese. Non sono parole mie, ma le abbiamo sentite pronunciare più volte dalle più alte cariche dello Stato, nelle più diverse occasioni. E in effetti credo anch’io sia così, nel bene e nel male. Forse più nel male che nel bene. Non perché la Rai sia il male, per carità, ma perché fuori dalla Rai c’è troppo poco bene in campo culturale, cioè pochi investimenti e pochi spettacolari impegni anche solo nella musica classica e sinfonica, nelle orchestre, nei teatri e così via, come lamenta da sempre a ragione il nostro Maestro Riccardo Muti (a proposito è stato invitato? e se no, perché?).

Ma se la Rai è questo, cos’è allora Sanremo, cioè il maggiore investimento e prodotto della Rai? Se ne deduce, sillogisticamente, che è il più grande evento-investimento culturale del paese. Ecco, detta così suona male, lo so. Ma quale altro evento culturale muove più soldi e più persone di Sanremo?

Non torno sulla antica diatriba fra cultura alta e bassa, quella colta e la popolare. Certamente la tv è il tempio della cultura popolare, una volta si sarebbe detto nazional-popolare. E lo spettacolo di Sanremo – il festival della canzone italiana – è la massima rappresentazione di questa cultura nazional-popolare. Insomma, tutto torna. Abbiamo i più importanti giacimenti culturali del mondo, a detta di tutti, ma l’investimento più importante che facciamo è… Sanremo. Sono le nostre contraddizioni di sempre.

Qui non mi interessano le canzoni (non sono un critico musicale), né la conduzione e lo spettacolo tv (non sono un critico televisivo e poi l’auditel ne ha decretato il trionfo e ogni parola sarebbe sommersa dai numeri). Eppure, siccome nel gran tritacarne di Sanremo ci finisce sempre tutto, spettacolo, musica, cultura, attualità, politica, valori, diritti, tendenze, mode, satira, costume e chi più ne ha più ne metta… permettetemi qualche osservazione a margine.

Drusilla Foer
Coriandoli

La prima osservazione riguarda il fattore gender. Cioè la questione delle identità e dei generi sessuali, uomini e donne, gay e lesbiche, sessualità fluide, trans, en travesti… Se ne sono viste e sentite di tutti i colori intorno a Sanremo. Perfino l’ineffabile Mario Adinolfi – quello del Popolo della Famiglia – si è indignato e ha parlato di complotto per la vittoria di Mahmood & Blanco (la sua tesi strampalata è che qualcuno vuol far vincere la cultura gender attraverso le canzonette).

Lasciamo da parte la questione dell’identità sessuale fluida o fluidità sessuale, la tendenza dei più giovani a scegliere un partner del proprio o dell’altro sesso, senza limiti e senza tabù. È una tendenza apparsa in tutta la sua plasticità in questa edizione di Sanremo popolata da giovanissimi. Ma è questione troppo delicata per parlarne qui, da profano.

Qualche parola invece per Drusilla Foer, Checco Zalone, Achille Lauro. Gianluca Gori che si traveste da Drusilla per farne una maschera di successo, fa la stessa operazione che ha fatto il nostro Maurizio Ferrini (e tanti altri) dando vita alla signora Coriandoli. Non c’è alcuna differenza, a parte il fatto che Drusilla è una maschera aristocratica e colta mentre la Coriandoli è una maschera plebea e sgrammaticata. Nessuna delle due mi pare sia paladina della causa dei diritti civili. E che qualcuno abbia voluto vedere o mettere su questo piedistallo Drusilla a me è sembrato uno spettacolare fraintendimento. Come voler vedere quello che non c’è per eccesso di politicamente corretto.

Che dire di Achille Lauro che si tocca e si battezza da solo? È solo puro spettacolo (il livello lo decide ognuno da sé), non perdiamoci in dietrologie. Nemmeno mi colpisce che Checco Zalone nel suo monologo anti-omofobia abbia “usato” uno stereotipo trito e ritrito, il trans brasiliano “visitato” abitualmente dal re omofobo. Sono dell’opinione che non si possa chiedere alla satira di essere politicamente corretta o ai comici di farsi imbrigliare da tale ansia. Se no non si ride più di nulla. A patto poi che ci facciano ridere, e con Zalone spesso succede, grazie alle sue canzoni scorrette e surreali, come quella straordinaria sui virologi.

La cosa che invece personalmente ho trovato maschilista, misogina, machista, insopportabile è un’altra. Perché nell’Anno del Signore 2022 chi conduce Sanremo deve ancora avere il codazzo di co-conduttrici donne che de facto vengono relegate al deprimente ruolo di vallette, cui viene data e tolta la parola a piacere da parte del conduttore maschio di turno? E perché alcune donne si prestano ancora a un tale ruolo senza protestare? Capisco i soldi e la notorietà in ballo, ma che spettacolo deprimente vedere una donna come Sabrina Ferilli marginalizzata in quella maniera! Amadeus e la Rai bocciati nella politica per la parità di genere. Invitare donne sul palco perché ci devono essere le quote rosa e poi relegarle al ruolo quasi di comparse è una cosa che offende. Oltretutto è in controtendenza plateale con tutto quello che il festival dei musicisti e dei giovani ha mostrato.

Ho visto molte chiacchiere sul resto, non su questo che mi pare il punto dirimente vero. Chissà cosa ne pensa Nolite? Se faranno condurre ad Amadeus anche il 73° festival, spero che nessuna donna accetti di fargli da valletta come è accaduto quest’anno.

La seconda osservazione riguarda il fattore razzismo. Ne ha parlato nel suo monologo della prima serata Lorena Cesarini, l’attrice della serie Suburra, che affiancava Amadeus. Ne ha parlato lei italiana con la pelle nera, riferendo degli attacchi ricevuti sui social dopo la chiamata a Sanremo. Lo ha fatto fra le lacrime, ma a me è parso un monologo fin troppo elementare, terra terra, stiracchiato. La sua testimonianza non credo abbia aggiunto nulla alla consapevolezza acclarata che il razzismo è fra noi, in particolare sui social e con la protezione dell’anonimato. Non passa giorno senza una qualche testimonianza. Ma, soprattutto, a me pare che il razzismo sia cosa troppo seria per essere trattata in una forma puramente compassionevole, in chiave tv del dolore.

La terza riguarda il fattore diversità intesa come disabilità. E qui invece ho trovato il monologo dell’attrice Maria Chiara Giannetta intenso, forte, emozionante e convincente grazie al contributo fondamentale di quattro persone non vedenti. Loro l’hanno aiutata a interpretare in modo magistrale il personaggio di Blanca in una fiction tv e lei li ha portati e resi protagonisti sul palco sanremese. Chapeau.

La quarta riguarda gli odiatori di professione che infestano i social. Anche in questo caso debbo dire che è stato diretto, incisivo e utile il dialogo fra il cantante Marco Mengoni e il giovane attore dell’ultimo film di Sorrentino Filippo Scotti. Tutto questo odio sparso sui social a piene mani è diventato da tempo insopportabile e procura danni enormi, soprattutto ai più giovani e ai più fragili. È un problema culturale (e probabilmente non solo) a cui bisognerà trovare un argine (ma quale, a parte le giuste condanne e reazioni?). Fra l’altro, se ne è avuto un esempio miserabile allo stesso Sanremo con gli attacchi contro Gianluca Grignani dopo la sua partecipazione ed esibizione.

Mengoni Scotti

Mi fermo qui. In definitiva ho citato due elementi positivi e due negativi di Sanremo. Quattro fra i tanti.

La morale n. 1, lo ripeto, è che non sono solo canzonette e, quindi, si può essere snob finché si vuole, ma poi Sanremo è Sanremo, e tocca parlarne. La morale n. 2 è che non è affatto tutto trash e da buttare in chiacchiericcio quello che luccica sul palco (anche se ci vorrebbe un Sanremo per tutta l’arte italiana e non solo per le canzonette). Fra le canzonette di Sanremo ricordo che ci sono state in passato e ci saranno ancora parole e melodie che sono entrate per sempre nella memoria collettiva e nella cultura di massa degli italiani (e non solo) da Modugno ai Maneskin. Una sorta di patrimonio nazionale, nel blu dipinto di blu. Da brividi. E allora, zitti e buoni!?