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Manifesto per il centro storico di Faenza: riflessioni sulla città di ieri e quella di oggi, per guardare al futuro

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È mia opinione che le questioni che riguardano urbanistica, viabilità, economia, vita sociale e culturale e vita tout court del centro della nostra città siano quelle più pregnanti per tracciare un futuro della comunità, ma, purtroppo, le più trascurate da cittadini ed amministratori. Cercherò di argomentare questa affermazione apodittica rifacendomi a qualche cenno storico.

Faenza gode di una posizione privilegiata, ai margini della Pianura Padana ed ai piedi delle colline, perché è posta alla confluenza di due fiumi ed all’incrocio di due direttrici fondamentali: la Via Emilia e la via Firenze-Ravenna, tanto che, quando si decise di costruire una ferrovia transappenninica romagnola (a partire dal 1880) venne scelta la città di Faenza come punto di partenza. L’abbondanza d’acqua poi, in un bel terreno fresco, ha reso possibile, nei secoli passati, che l’agricoltura (in particolar modo orticoltura e frutticoltura) ad alto valore aggiunto del faentino determinasse uno sviluppo economico forse senza pari in Romagna; un effetto di questo è stata anche l’altissima concentrazione di famiglie della nobiltà terriera a Faenza, presenza che si è fatta sentire molto non solo sul piano economico, ma anche sul piano culturale ed artistico.

Una fortissima agricoltura intensiva (in questo comprendo anche l’allevamento a questa funzionale), a differenza di una realtà industriale diffusa, necessita, per sua natura, di un “centro”. Questo perché, mentre la grande diffusione di realtà industriali, anche piccole, può essere praticamente autosufficiente (vedi le campagne venete ricoperte di capannoni che hanno pochissime relazioni con piccoli centri urbani vicini), l’agricoltura dei secoli XVIII, XIX e XX necessitava di un centro aggregante per tutti i servizi a valle ed a monte e comportava che comunque i grandi proprietari terrieri andassero “in villa” solo in estate.

Il centro storico di Faenza, già cospicuo fin dai tempi di Federico II e poi dei Manfredi, si è riempito di grandiosi palazzi e di attività di grande pregio e valore economico, che hanno comportato l’estensione della sua dimensione commerciale e culturale anche oltre la Romagna. Fino agli anni ’60 si è mantenuta la piazza di Faenza come luogo degli “affari” ed il mercato di Faenza ancora oggi (pur decimato) vede tre giornate di presenza e si tiene in piazza centrale, a differenza di quasi tutte le altre città. Ovviamente la sviluppatissima agricoltura ha favorito la creazione di innumerevoli attività industriali, artigianali, cooperative, associazioni, banche ecc. e, l’accumulazione originaria del capitale, dovuta al surplus dell’agricoltura, aveva determinato anche lo sviluppo di industrie a lei non direttamente collegate e con uno sbraccio internazionale. Il centro storico di Faenza ha tratto beneficio da tutto questo in termini di popolazione residente e di PIL (acronimo che mi piace poco ma che rende l’idea). Il prodotto generato nel e dal centro storico è stato per secoli preponderante, perché anche la produzione agricola in buona parte derivava da scelte, conoscenze ed opportunità lì collocate.

La logistica poi è stata determinante; la collocazione stradale e ferroviaria ha comportato la possibilità di far arrivare e far partire merci in grande quantità e sicurezza (hanno viaggiato molto anche idee, arte e cultura, come vedremo successivamente). Per quasi un secolo la stazione di Faenza e stata un importantissimo snodo intermodale, centro per lavori sulla linea e concentrazione di ferrovieri (pensiamo al Dopolavoro ferroviario). La popolazione faentina, all’atto dell’Unità d’Italia, era equivalente a quella di Ravenna (intorno ai 35.000 abitanti) e superiore a quella di Imola o di Rimini; ancora prima della Seconda guerra mondiale, il numero di abitanti nel centro storico era piuttosto elevato in relazione al totale della popolazione.

Questa felice congiunzione (non astrale, ma economico-sociale) ha fatto del centro storico di Faenza un concentrato di storia, cultura, arte ed idee progressive che hanno dato il meglio di sé nel ‘700 ed ‘800, durante il Risorgimento e nei primi anni del secolo scorso, fino alla sciagurata guerra fascista. Possiamo parlare del Neoclassico faentino (Sgarbi lo paragona a Parigi e San Pietroburgo), della maiolica e della Scuola per la Ceramica ed il Museo internazionale, dei cenacoli letterari ed artistici, del primo Liceo della Romagna in età napoleonica (ma già dal 1500 i gesuiti avevano in città un “collegio” in cui studiò Evangelista Torricelli), dei tanti nobili e grandi borghesi che hanno partecipato attivamente alle idee progressive ed al Risorgimento: due per tutti i Laderchi padre e figlio. Le numerose famiglie che si fregiavano di titoli nobiliari e le grandi famiglie borghesi hanno lasciato a Faenza un patrimonio di cultura ed arte invidiabile; pensiamo solo a centinaia di metri quadri di affreschi del Giani o alle meraviglie di Palazzo Milzetti. Ma sarebbe riduttivo non considerare anche tutte le altre espressioni artistiche in cui Faenza ha espresso eccellenze di valore europeo. Eccellenze diffuse anche in una miriade di “arti e mestieri” di lavoratori e tecnici faentini che arricchivano il tessuto del centro urbano e facevano di Faenza una città colta, operosa e ricca.

Dove c’è ricchezza c’è anche cultura ed arte; a Faenza si è realizzato tutto ciò e dobbiamo lavorare affinché il ricordo non si allontani sempre più. Nel 1908 la prestigiosa “Esposizione Torricelliana” venne inaugurata dal Re a testimonianza della grande importanza che aveva la città nel panorama nazionale. Il centro storico di Faenza si è nutrito di tutte le cose di cui sopra, accumulando nelle sue pietre i segni del passaggio di persone, beni, idee, azioni, vittorie, sconfitte, scoperte e conoscenza in una città che fin dal tempo dei romani non è mai stata marginale nella storia d’Italia. Ancora negli anni ’60 e primi ’70 del secolo scorso il centro di Faenza (cui aggiungo anche alcune aggregazioni “fuori porta” come le zone di Porta Ravegnana, Imolese, Montanara, Viale Stazione/Laghi che da ora considererò sempre come facenti parte), comprensivo ovviamente del Borgo d’Urbecco, era un enorme, attivo e frequentato centro commerciale, di ben altre dimensioni, importanza ed attrattiva rispetto a “Le Maioliche” o qualsivoglia altro centro commerciale, sempre diffusore di prodotti di massa, spesso di livello basso. A Faenza in quei tempi trovavi un’offerta ampia, diversificata, anche di grande qualità e prestigio che produceva un richiamo dal suo vasto comprensorio ed anche da Imola, Forlì e Lugo.

Stesso richiamo produceva la scuola, così come le botteghe artistiche ed artigiane, lo sport (la Spem è stata a lungo in serie A, il tennis e tanto altro) e la cultura. Senza dilungarmi troppo, il centro di Faenza è stato per secoli, fino a pochi decenni fa, l’eccellenza per quanto riguarda quasi tutti gli aspetti della vita umana (e non ho parlato di altri aspetti importanti come la sanità, quando la prima TAC della provincia venne istallata a Faenza come dono dei commercianti). Quindi un centro ad altissimo valore aggiunto che sprizzava ricchezza da ogni poro dove ricchezza vuole essere un termine onnicomprensivo.

L’aspetto immediatamente correlato a tale sviluppo è quello della densità abitativa. Siamo in presenza di una correlazione biunivoca che rappresenterà il cuore di queste mie riflessioni: centro abitato-centro ricco, centro spopolato-centro povero.

Anche per la città si può pensare ad una correlazione: centro storico popoloso, rinnovato e attivo = città ricca; centro storico in sofferenza e desertificato = città tutta impoverita ed in declino.

L’ultima volta che i cittadini e le amministrazioni hanno “pensato” in termini organici e fattivi al centro di Faenza è stato nella seconda metà degli anni ’70, e fu in contemporanea anche con un piano di espansione della città, che si pensava potesse arrivare ad 80.000 abitanti (illusione). Forse si tratterebbe piuttosto di capire se un piano di espansione sia compatibile, nella tempistica e negli strumenti, con un piano del centro storico e con la programmazione dei servizi, ma non è questo il mio scopo attuale. Comunque (e per fortuna) si mise mano ad un ottimo parziale risanamento e rivalorizzazione che non ha tuttavia avuto seguito nei decenni recenti. Per quanto riguarda l’eccessiva espansione ritengo si possa dare un giudizio più negativo, perché una proposta di espansione così formulata, assieme al “mito della villetta a schiera”, ha procurato molto danno al centro storico, come cercherò di dimostrare in seguito.

Il centro di Faenza (sempre nel senso allargato) ha subito dei danni devastanti a causa della guerra, 54 pesanti bombardamenti, i tedeschi in ritirata ed un mese di fronte di qua e di là del fiume hanno completamente distrutto o seriamente danneggiato il 60% della città; una città prima della guerra racchiusa nelle sue mura e nelle porte storiche e dopo praticamente inabitabile anche dalle poche migliaia di persone che erano rimaste. La città si è “tirata su”, ha ricostruito centro urbano, economia e società, a volte bene, a volte con evidenti “sfregi”, ma comunque fino agli anni ’60 e ’70 si poteva dire che fosse tornata abbastanza bella e viva e che servisse solo un piccolo “refitting” come quello allora messo in campo. Da allora sono passati 40 anni, il mondo è cambiato moltissimo ed anche il ruolo dei centri storici e delle città; è cambiato il modo di produrre, il commercio e le abitudini delle persone, è cambiato il modo di abitare e di passare il tempo libero, ma non tutte le città si sono fatte travolgere dagli eventi. Alcune sono riuscite a governare certi processi, ma Faenza non è fra queste. Mi rendo contro che si tirano in ballo tantissime questioni: primeggiano fra queste la viabilità e l’abnorme aumento delle auto e la mancanza di parcheggi/garage (ma siamo sicuri che si sia fatto tutto il possibile per ovviare? La città storica è praticamente spopolata, migliaia di faentini si sono trasferiti nelle zone residenziali (moltissimi via da Faenza addirittura, ma questa è un’altra storia); molte migliaia di immigrati hanno sostituito in parte i vuoti, ma vedremo che non è assolutamente la stessa cosa in termini economici e sociali e neppure in termini urbanistici (anzi, purtroppo anche per gli stessi immigrati, ne amplificano il degrado, come vedremo). Vi è una quantità di costruzioni vuote e/o abbandonate, sia di proprietà privata che pubblica (metto nel pubblico anche la Curia), intere vie sono spopolate (in via Marini su 5 immobili 4 sembrano vuoti), intere vie sono nel degrado (vedi S.Giovanni Bosco e zone limitrofe), Via Campidori ha enormi problemi, così come Via Nuova o via Naviglio, vi sono grandi palazzi “pubblici” che sono dismessi da tempo immemorabile e non hanno ricevuto una destinazione. La vecchia INPS, la vecchia SIP, il vecchio consultorio, solo per fare un esempio, occupano spazi preziosi; che dire anche dei tanti palazzi enormi e costosi, come in Via Cavour, che sono occupati in minima parte; cosa si farà con i tanti conventi ormai vuoti? Quanto degrado creano le cosiddette “case Manfredi”, quelle di fronte alla biblioteca e la chiesa Dei Servi e perché non sono state messe fra le priorità 30 anni fa?! Utilizzare la chiesa per espandere la biblioteca e per archivi, sarebbe stata un’eresia? Molte vie presentano uno o due immobili vuoti, in molti palazzi vi sono appartamenti ristrutturati anche di pregio che attendono un compratore o un conduttore; quando un bel palazzo a 4 piani in stile eclettico, a 40 metri dalla fontana, si trova nello stato in cui è, si capisce benissimo che nel centro non c’è più business, che l’iniziativa è stagnante ed il futuro prevedibilmente impoverito. Esistono edifici di ragguardevoli dimensioni, vuoti anche fuori dal centro storico, come le vecchie scuole ai Cappuccini, che occupano spazi e non hanno ricevuto una destinazione, mentre la città si espande sempre più ad est ed a nord, senza una vera necessità sociale.

La forsennata lottizzazione di aree intorno a Faenza ha provocato danni al centro paragonabili a quelli dei 54 bombardamenti. Ogni vano realizzato in via Fornarina (presa solo ad esempio) fa numerosi danni sociali (cioè a tutti noi). Rispetto al recupero di edifici già esistenti: 1) si consuma terreno buono, 2) si producono dei costi di urbanizzazione (comprese tutte le utenze), 3) si producono costi logistici pubblici e privati, 4) si producono costi per i servizi (tipo scuola), 5) si allarga la “maglia sociale”.

Il danno più grosso però è che l’espansione esagerata ha indotto la gente a rinunciare alla sistemazione di soluzioni abitative in centro, in favore della “villetta a schiera”; questo effetto è stato potenziato dal fatto che c’erano pochi nuovi arrivi a Faenza e che le stesse persone/famiglie riempivano un alloggio vuotandone un altro.

Mi permetto una piccola digressione polemica: c’è stato un grande vantaggio e profitti considerevoli per pochi e una bella quantità di lavoro per tanti nell’arco di 30 anni. Tuttavia il lavoro ci sarebbe stato lo stesso con le ristrutturazioni (ed anche più qualificato) e i profitti di pochi hanno rappresentato un costo per la città, il suo centro e tutti noi. Da non talebano comprendo benissimo che un certo “allargamento” della città era inevitabile; tutti noi occupiamo più spazio, abbiamo maggiori esigenze, così come le attività, ma Faenza ha spinto oltre un limite ragionevole.

Un’economia a ”somma zero” significa che se tre persone hanno un bene di ugual valore e una delle tre sottrae il bene agli altri 2 si avrà un +2 per questo e un -2 per gli altri e la somma dà zero; un’economia a somma positiva (come è quella dello sviluppo) vede le tre persone che mettono in campo i loro beni e, come frutto dell’azione coordinata, i beni totali (o il loro valore) diventano 5 (cioè +2), come poi viene distribuito l’incremento è un’altra storia. A Faenza si è realizzato un gioco a somma zero, perché l’incremento di valore realizzatosi con la lottizzazione eccessiva ha prodotto un decremento praticamente identico del valore aggregato del centro storico. Considero poi anche il fatto che l’incremento è stato dovuto in massima parte alla circostanza che un mq agricolo vale 2-3 euro mentre abitativo ne vale 500, quindi sola speculazione; mentre il decremento del centro storico comporta la perdita di un patrimonio di beni, lavoro, cultura, vita comune, realizzatosi nei secoli e buttato in pochi anni. Un’azione di recupero e valorizzazione di grandi porzioni di centro non sottrarrebbe nulla alle zone residenziali; proprio perché sono quasi solo residenziali non verrebbero private di attività ed attrazione e non si creerebbe una “somma zero”.

Quand’ero scolaro delle elementari la maestra ci insegnava che Faenza aveva 50.000 abitanti, a distanza di 60 anni ne ha circa 58.000, ma solo per la massiccia immigrazione straniera che ammonta a circa 10 mila unità. In realtà ci sono 2.000 faentini “autoctoni” in meno (e non c’entra nulla la xenofobia, anzi, per fortuna che ci sono 10.000 immigrati, altrimenti ci mancherebbero servizi, lavoro, affitti ecc..).

Il discorso relativo agli immigrati ha una stretta correlazione con la riflessione sull’impoverimento ed il degrado evidente del centro storico e qui torna il discorso del PIL (come somma di tutti i redditi lavorativi, commerciali, rendite ecc.).

Se si potesse calcolare il PIL del centro storico e si confrontasse quello odierno con quello di 60 anni fa, vedremmo questo: allora un centro abitato e pieno di gente, famiglie con molti giovani che consumavano, molto lavoro, molti negozi anche di livello superiore, molti consumi materiali ed immateriali, affitti alti facilmente pagati, insomma un centro ricco con un PIL alto. Oggi: un centro storico svuotato, pochi giovani, pochissimo lavoro, una moria drammatica di negozi, consumi stagnanti, affitti bassi spesso difficili da pagare, case e negozi sfitti. Mi rifaccio al discorso dell’immigrazione: i proprietari hanno molti immobili degradati che possono affittare solo ad immigrati che (purtroppo) possono pagare poco ed hanno consumi bassi; l’altra componente sociale, maggioritaria nel centro, sono i pensionati che hanno pensioni basse (e senza possibilità di avere “aumenti di stipendio o fare gli straordinari) e consumi bassi. Torno a ripetere che non c’è nessun giudizio di valore, ma solo l’analisi fotografata della situazione. Il centro storico di Faenza soffre di poco “circolante”. Altre cose sono ovvie: una famiglia giovane con figli, che lavora ed ha reddito alto, difficilmente si mette in una situazione abitativa in cui non c’è garage (anche per 2 auto), le case vecchie, se ristrutturate, si troverebbero in mezzo ad altre degradate, non ci sono servizi moderni perché sono stati collocati fuori dal centro. Seconda cosa ovvia: se una famiglia abita a 3-4 chilometri dal centro, cosa le cambia fra prendere l’auto per recarsi all’Ipermercato con parcheggio gratuito oppure di prenderla per recarsi in centro storico con parcheggio a pagamento e con un’offerta sempre più in calo? La conclusione è che il PIL del centro storico è enormemente più basso (in proporzione) di quello della Faenza dei “tempi d’oro”.

Il problema grave, all’origine di tanti altri, è quello demografico: pochi abitanti e “poveri” significa pochi negozi, poco lavoro, poca vita; alla base dei vuoti e del degrado urbanistico di Faenza centro c’è lo svuotamento ed una sindrome da declino. Per non buttare tutta la croce addosso ai faentini, cittadini o amministratori che siano, sottolineo che anche tante scelte e cause esterne, come quella di chiudere la sede distaccata del Tribunale, della CCIIAA, o il depotenziamento dell’ospedale o ancora certe crisi di banche, hanno contribuito non poco all’impoverimento ed alla “desertificazione”.

Ora non interessa cercare le colpe soggettive, giudicandolo un compito da lasciare alla polemica ed alla politica, ma interessa il classico: Che fare? Quali sono gli obiettivi?

Obiettivo 1: riportare gli abitanti nel centro storico

Obiettivo 2: aumentare il PIL del centro storico

Obiettivo 3: riqualificare il centro come insieme di commercio e servizi

Obiettivo 4: sostenere la dimensione culturale ed incrementare il turismo

Il nostro centro, a differenza di tante altre città con impianto romano e medievale, ha la “fortuna” di essere abbastanza ampio, arioso, con strade e piazze larghe. E’ il prodotto di alcune “sfortune”, come l’abbattimento della rocca, gli sventramenti in epoca fascista, la guerra, ma tant’è. Questo può facilitare il compito di farlo tornare ad essere abitato e vissuto, trasformando le “offese” passate in opportunità di modernizzazione e razionalizzazione con meno vincoli rispetto a borghi rimasti più di aspetto medievale. Per riportare popolazione affluente nel centro storico (servono almeno 3-4000 persone) bisogna che possano trovare una vita facile, comoda ed arricchita.

La prima cosa da considerare è l’auto: bisogna mappare tutte le possibilità di reperire garage ben distribuiti, multipli e singoli (ad es. ci sono tantissimi negozi e piccole attività che non riapriranno: dare la possibilità di trasformare in garage) in questo modo si rendono di nuovo appetibili palazzine destinate all’abbandono, perché nessuno compra una casa o un appartamento senza garage. Un piano dei parcheggi che prenda in considerazione soluzioni razionali proposte da anni e anni e non si limiti al “fare cassa”. Non illudiamoci di creare un mondo senza auto nei prossimi decenni, finora sono solo state sempre spostate un po’ più in la. Poi le soluzioni abitative: un grande piano di risanamento e messa a norma, puntando ad incentivare i privati, eliminando le ottuse limitazioni a modernizzare e valorizzare, togliendo per 10 anni l’IMU, togliendo o abbassando altri balzelli, prevedendo azioni del Comune per agevolare il credito ecc., i soldi ci sono, basta farli tirare fuori ai proprietari. Puntare ad un centro comodo ai servizi, non solo per chi vi abita ma che richiami anche da fuori (ad es. c’era la possibilità di avere certi servizi sanitari in centro, invece si è scelto di mandarli fuori). Prevedere contributi all’affitto per le famiglie giovani solo nel centro storico. Intervenire sugli immobili pubblici per creare ottime, moderne e comode soluzioni abitative, ma anche per servizi ed attività. Ovviamente la misura fondamentale e prioritaria è di fermare tassativamente l’espansione edilizia ed il consumo di suolo ed indirizzare gli operatori verso le migliaia di vani da recuperare. Un vano recuperato in centro storico significa: meno fognature, meno allacci di utenze, meno marciapiedi, meno verde e manutenzione, meno autobus e così via. La città compatta è risparmio economico ed energetico.

Far ristrutturare, risanare e modificare tanti edifici provoca un notevole lavoro ed un incremento di valore del centro. Si investa di più per fare di Faenza anche una “città d’arte” mettendo meglio in rete le nostre eccellenze, una città gradevole ed una promozione internazionale. In questo modo possono incrementarsi affitti e vendite (un ritorno economico per i proprietari), ritornano attività commerciali, vi torna ad abitare una fascia di popolazione più affluente, si rivedono i bambini, le attività artistico/culturali ne hanno beneficio, il turismo può essere stimolato con le carte in regola. Ho fatto solo qualche esempio senza la pretesa di essere esaustivo, ma l’obiettivo deve essere di mettere in campo tutte quelle risorse ed iniziative che alzano il PIL del centro storico. In questo modo si restituisce un po’ di quel valore che il centro storico ha perso negli ultimi decenni. E’ dai tempi di Pericle che denaro ed economia forte producono cultura ed arte; di Atene vedete tutti cosa è rimasto, di Sparta nulla!!

Faenza vede l’organizzazione di innumerevoli eventi che, durante l’anno, anche indirettamente sostengono la vocazione commerciale della città; questo è un merito dell’Amministrazione di tante associazioni e di singoli cittadini, ma, con la crisi che vivono le attività in questi anni, tutto questo è ancora insufficiente. Per invertire il trend va migliorata l’accessibilità al centro storico (anche per chi vi lavora), migliorato il decoro e l’immagine della città, pensato un modo per migliorare l’offerta sia merceologica che nelle fasce di mercato (ad es. non si può avere un negozio di occhiali ogni 50 metri ed uno solo di calze). Vanno approfondite le sinergie fra Comune ed associazioni di categoria; va trovato l’incentivo per far sì che chi si muove in quest’angolo di Romagna pensi di “fare un salto” nel nostro centro storico e non solo al centro vicino all’autostrada. Il nostro centro storico è un “giacimento di cultura”, ci sediamo in osteria con Oriani, attraversiamo la piazza con Campana o Serantini, passiamo davanti a Torricelli, ma anche alla Bottega Bertaccini, allo splendido teatro Masini o ai vicoli del “Distretto A”. La sedimentazione di secoli di “bello” e di idee che si è verificata nel nostro centro, nei palazzi e per le vie, forse non ha eguali in Romagna per diffusione nella coscienza collettiva e nella formazione di tantissimi giovani: nascere a Faenza è stato ed è un vantaggio competitivo anche per “l’aria che si respira”. Salvare il futuro del centro storico di Faenza e rilanciarne la funzione ed il valore è l’unico modo per mantenere quest’aria.

Mi scuso per le imprecisioni che potrete cogliere nello scritto, anche se non inficiano il senso del discorso, ma non sono specialista di nulla, solo un accumulatore di concetti e problematiche, innamorato della città in cui vivo.

P.S. (24 maggio 2020) poco tempo fa è stata aperta una botteghina etnica di alimentari nella loggia di fronte al Duomo, il centro della Faenza monumentale. Non si discute il diritto di chiunque di aprire qualunque cosa, ma quella botteghina in un loggiato che farebbe invidia anche a Firenze, nel cuore di quello che dovrebbe essere un centro commerciale di pregio, è la miglior certificazione delle mie preoccupazioni.

Ho scritto queste note prima dello scoppio della pandemia; la drammatica crisi economica che ci sta investendo rende ancor più urgente ed indispensabile la messa all’ordine del giorno delle misure per salvezza del centro storico ed, in definitiva, di Faenza. Se le prossime elezioni per il rinnovo dell’Amministrazione Comunale non segneranno una robusta svolta nelle priorità non parleremo più di declino, ma di agonia.

Luciano Spada

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  1. Scritto da Luciano

    Un sasso nello stagno provoca onde, ma se lo stagno è melmoso viene assorbito e non si vede nulla…